Antonio De Lisa- La realtà irreale. Arte, marketing, comunicazione

L’immagine raddoppiata. Socio-semiotica dell’ibridazione pubblicitaria

In questo studio ci proponiamo di analizzare il modo in cui l’immagine pubblicitaria si appropria di opere famose di storia dell’arte per aumentare efficacia e prestigio del messaggio consumistico. La pubblicità è come il cibo, suscettibile della stessa domanda formulata da Roland Barthes: “Che cos’è il cibo? Non è soltanto una collezione di prodotti, bisognosi di studi statistici o dietetici. E’ anche e nello stesso tempo un sistema di comunicazione, un corpo di immagini, un protocollo di usi, di situazioni e di comportamenti” (R. Barthes, (“Sulla società di massa”, in Scritti. Società, testo, comunicazione, Einaudi 1998). Si tratta di elementi che si inseriscono nell “unità funzionale di una struttura di comunicazione”. In questo contesto, qual è l’effetto dell’ibridazione?

Date queste premesse semiotiche, in che cosa consiste Il primo passo da fare per pubblicizzare un bene di consumo e la marca di produzione? Bisogna ricorrere a un piano di marketing, che consiste nello studio del loro posizionamento (brand position e brand image). Prima ovviamente si fa un’analisi accurata delle caratteristiche del prodotto e della marca, in modo da individuare una fascia di probabili consumatori (target group). In seguito si decide la strategia creativa (copy strategy), da cui dipende la possibilità di imporre il prodotto su vasta scala, tenendo conto dei criteri di distribuzione (trade), dei canali pubblicitari e delle eventuali attività di sostegno, come la promozione, sponsorizzazione, il direct marketing, i rapporti con la stampa specializzata (ufficio stampa); tutto questo costituisce una campagna pubblicitaria, della quale è necessario stimare anche l’entità dei costi di produzione e i livelli di profitto.

L’immagine riprodotta secondo Walter Benjamin

Ora bisogna vedere le premesse iconiche che rendono possibile sfruttare le immagini a fini commerciali. Il filosofo Walter Benjamin pubblica nel 1936 “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica“, in cui rivoluziona il concetto di opera d’arte. Secondo il teorico tedesco l’arte va studiata ” materialisticamente ” sia nei suoi modi di elaborazione e di rappresentazione anche tecnica sia nelle particolari modalità percettive del suo fruitore. Lo sviluppo delle forze produttive, rendendo tecnicamente possibile la riproducibilità delle opere d’arte, ha messo fine all’alone di unicità, originalità e irripetibilità dell’opera d’arte, ossia all’ ” aura ” che la circonda di sacralità agli occhi della borghesia, la quale proietta in essa i suoi sogni e ideali aristocratici: l’aura è quindi l’alone ideale che rende sensibile al fruitore l’unicità irripetibile dell’atto creativo. Nella società di massa regna la riproducibilità dell’opera d’arte. Questa segna il trionfo della copia e del ” sempre uguale “, per uomini rimasti privi di saggezza; ma in ciò, secondo Benjamin, si annida un potenziale rivoluzionario, perché apre alle masse, soprattutto nelle forme del cinema e della fotografia, l’accesso all’arte e alle sue capacità di contestazione dell’ordine esistente. Benjamin era partito da premesse culturali che gli addetti al marketing capovolgeranno nel corso del secolo.

Gli artisti entrano nel mondo pubblicitario: la Belle Époque

Tra fine Ottocento e inizio Novecento tutta una serie di artisti collabora con la pubblicità, rendendo le strade e i mezzi pubblici cittadini delle vere gallerie d’arte. La nascita del manifesto pubblicitario avviene infatti a Parigi negli anni della Bella Èpoque, tra il 1890 e il 1915. I posters pubblicizzano locali alla moda, cabaret, café chantant, spettacoli teatrali e luoghi di divertimento. Gli imprenditori parigini della zona di Montmartre, di Pigalle e degli Champs Elisées hanno intuito l’importanza dei manifesti per pubblicizzare l’intrattenimento parigino. Successivamente anche industrie di noti marchi di champagne e biscotti decidono di affidare la propria immagine ai designers del tempo.

Le pubblicità sono vere opere d’arte. Si vedano le litografie realizzate da Toulouse-Lautrec per il Moulin Rouge. Il pittore Marcello Dudovich è considerato il padre della moderna cartellonistica pubblicitaria: sue sono le famosissime serigrafie per la Rinascente, la Pirelli e il Liquore Strega.

Anche gli artisti futuristi realizzano pubblicità, come Depero che disegna la bottiglietta conica del Campari; spesso le loro pubblicità si facevano portatrici di messaggi propagandistici fascisti. In quest’ottica rientra l’immagine della donna venduta dal regime, che viene raffigurata formosa e sana, molto diversa da come effettivamente era la donna durante il periodo fascista.

Un capovolgimento storico a partire dalla Pop Art

Resa possibile la fruizione di massa delle immagini artistiche, si può operare una libera manipolazione delle stesse. All’inizio sono gli artisti a fare la pubblicità o a ispirarsi ad essa, ora i ruoli si sono invertiti: sono i creativi pubblicitari ad ispirarsi agli artisti famosi. Ma vediamo l’inizio del processo.

Tutto è cominciato a partire dalla Pop Art. “Movimento artistico nato tra l’Europa e l’America negli anni Cinquanta e Sessanta del 20° secolo. Attraverso la scelta del termine pop la pop art vuole identificare un’arte che parla un linguaggio che tutti conoscono: quello dei mass media, della pubblicità, della televisione e del cinema, ovvero il linguaggio per immagini tipico della società dei consumi. Entrando in gara con il linguaggio aggressivo e impersonale dei mass media, la pop art sperimenta tecniche inedite, si serve di fotografie ritoccate, di collage e assemblages, di sculture in gesso e persino di gesti teatrali per svelare luci e ombre del recente benessere e denunciare lo smarrimento dell’uomo di fronte a una civiltà che impone desideri sempre nuovi e sogni sempre più amplificati.” (Treccani Enciclopedia, ad vocem).

Le opere Pop parlano il linguaggio del consumo di massa: la riproduzione serigrafica di bottigliette di Coca-Cola o di scatole di detersivi, la famosa Soup di Del Monte realizzate da Andy Warhol, o il mega-tubetto di dentifricio e il Lipstick di Claes Oldenburg; e poi ancora i fumetti e la ragazza con la palla di Roy Lichtenstein, che riproduce un manifesto pubblicitario di una stazione sciistica a Pocono Mountains (in Pennsylvania). Gli artisti si sentono ispirati da oggetti della minuta realtà quotidiana: automobile, televisione, frigorifero, poster, lavatrice, lattine, riviste e giornali. Le opere di questo movimento si immaginano come puri prodotti commerciali.

Mario Schifano, Coca-Cola, 1967-1969, 101 X 106. Roma. Collezione privata, Deniarte

La pubblicità inverte i ruoli

Dagli esempi che seguono si potrà osservare che la pubblicità ha invertito i ruoli, riportando alle masse le opere che forse le masse neanche conoscono, ma che hanno sentito nominare a scuola o per caso. Tutto questo fa prestigio. La pubblicità ha incarnato la strategia commerciale del visivo fino a diventare uno dei cardini della società e della cultura di massa, per aspirare infine a essere uno dei luoghi privilegiati della creatività postmoderna. Da questo punto di vista, si può dire che la pubblicità non nutre più nessun complesso di inferiorità rispetto alla grande arte. Si entra nel campo della pura manipolazione con pretese “artistiche”.

Per ottenere questo effetto, possiamo riconoscere l’uso delle opere d’arte con finalità pubblicitarie in tre modi:

  • un originale (l’opera d’arte o solo una parte di essa),
  • un’opera d’arte modificata ed adattata a ciò che viene pubblicizzato,
  • un’immagine che ricorda l’opera d’arte originale.

Il Quarto Stato secondo Lavazza

“Nel 2000 sulla stampa periodica e quotidiana appare la pubblicità di una macchina per il caffè del marchio Lavazza, curata da Armando Testa. Si tratta di un vero e proprio calco figurativo del quadro più famoso di Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato (olio su tela, 1898-1901), solo che i protagonisti – braccianti e operai – sono sostituiti da una schiera di ‘colletti bianchi’ in giacca e cravatta o tailleur, e la donna in primo piano non tiene tra le braccia un bambino ma l’apparecchio per il caffè reclamizzato. Anche la gamma cromatica è simile, giocata sul predominio di tonalità ocra, brune e rosate che, nella foto pubblicitaria, sono ravvivate da una più incisiva presenza di bianchi e rossi. Il quadro è considerato “il monumento più alto che il movimento operaio abbia mai potuto vantare in Italia […] Testa gioca ironicamente con tutto questo. L’headline recita ‘Tutti hanno diritto a una buona pausa caffè‘, nel payoff si ribadisce che il prodotto reclamizzato è ‘il tuo ideale compagno di lavoro‘ e la lunga body-copy si apre così: ‘Per avere in ogni ufficio un grande espresso firmato Lavazza non è necessario fare una rivoluzione‘. (http://www.italipes.com/artepopolo.htm)

Dalla Cappella Sistina a Dalì

Vediamo altri esempi, partendo dalla reinterpretazione della Cappella Sistina del Vaticano per l’Adidas:

E’ il caso anche della della Lexus,  che si ispira sfacciatamente a Dalì.

 “Quando spendi 450 milioni di dollari
per un quadro ma non ti piace la cornice”. 

Prendendo spunto da una recente asta tenuta da Christie’s a New York, in cui il dipinto Salvator Mundi, attribuito a Leonardo, è stato venduto alla cifra stellare di 450 milioni di dollari battendo ogni record, IKEA ha ideato una campagna pubblicitaria realizzata in collaborazione con l’agenzia Acne. Per pubblicizzare le sue cornici, infatti, la celebre casa svedese, ha riportato sotto l’immagine del quadro, incorniciato da “Virserum”, modello di cornice da 9,99 dollari, lo slogan “Quando spendi 450 milioni di dollari per un quadro ma non ti piace la cornice”. 

“Di Frakta ce n’è una sola e come lei non c’è nessuna”

Qualcosa di simile è accaduto con il modello di borsa lanciato da Balenciaga alla “modica cifra” di 1.700 euro, ma di fatto molto simile all’iconica shopper Ikea, denominata Frakta, acquistabile a 60 centesimi. “Di Frakta ce n’è una sola e come lei non c’è nessuna” rimarcava la casa svedese, sottolineando l’originalità del suo modello. E non si era limitata solo allo slogan. IKEA infatti aveva anche riportato una sorta di vademecum per riconoscere la “vera e originale” borsa. 1) Scuotila, se il rumore è un fruscio, allora la tua borsa è vera; 2) la vera bag è multifunzione, può trasportare mattoni attrezzatura da hockey e persino acqua; 3) resistenza: la vera Frakta può essere risciacquata con un tubo da giardino quando si sporca; 4) il prezzo: la borsa vera costa solo 0,99 centesimo di dollaro.

Una pubblicità di Versace ispirata ai Bronzi di Riace

La pubblicità “Eros” Eau de Toilette per uomo di Versace
I Bronzi di Riace

Dal bacio di Klimt al profumo

Il “Bacio” opera molto famosa e sensuale di Gustav Klimt è utilizzata per pubblicizzare un profumo.

“Libertà, fraternità, uguaglianza di tariffe”

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La “Libertà che guida il popolo” di Delacroix è la fonte d’ispirazione di questa pubblicità di una compagnia telefonica. La drammaticità del dipinto dell’artista francese viene completamente eliminata per lasciare spazio ad una scena di gioco.

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La pubblicità degli orologi Vagary ed utilizza “La Creazione di Adamo” di Michelangelo.

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Il “Pensatore” di Rodin, a sinistra, utilizzato per una pubblicità di pneumatici, a destra.

Per le quattro immagini precedenti abbiamo potuto giovarci dalle analisi di Ana Moutinho (https://ufernandopessoa.academia.edu/AnaMoutinho), che si è occupata con intelligenza di questi argomenti.

La pubblicità e la strategia commerciale del visivo

Circa un secolo fa Edward Bernays, pubblicitario, ammetteva nel suo libro “Propaganda” (Edward L. Bernays. Propaganda. Horace Liveright, New York, 1928): Coloro che hanno in mano questo meccanismo […] costituiscono […] il vero potere esecutivo del paese. Noi siamo dominati, la nostra mente plasmata, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite, da gente di cui non abbiamo mai sentito parlare. […] Sono loro che manovrano i fili…”. Combinando le idee di Gustave Le Bon (autore del libro Psicologia delle folle) e Wilfred Trotter (studioso del medesimo argomento) con le teorie sulla psicologia elaborate dallo zio, Bernays fu uno dei primi a commercializzare metodi per utilizzare la psicologia del subconscio al fine di manipolare l’opinione pubblica. A lui si devono le locuzioni “mente collettiva” e “fabbrica del consenso”, concetti importanti nel lavoro pratico della propaganda.

Bernays non si riferiva solo alla propaganda politica, ma anche alla pubblicità commerciale: la sua campagna per la American Tobacco Company negli anni venti, per incitare le donne a fumare, consistette per esempio nell’associare visivamente in maniera costante la sigaretta e i diritti o la libertà della donna. Questa campagna fece aumentare le vendite a tal punto che la società Philip Morris riprese più tardi questa idea per gli uomini, e lanciò il famoso cow-boy Marlboro. Con i primi manifesti pubblicitari nasceva il marketing. Le immagini veicoli di significati ben precisi, si intuiva lo stretto collegamento tra il prodotto da pubblicizzare e chi lo avrebbe comprato. Tramite le immagini era possibile creare dei desideri nelle persone che il prodotto avrebbe poi soddisfatto. La pubblicità creava un mondo irreale all’interno stesso della realtà.

Antonio De Lisa
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Categorie:040.03- Semiotica della comunicazione, 060.05- La società delle immagini, U02- Storia della Pubblicità

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