Il ruolo dell’immagine nella persuasione pubblicitaria

Circa un secolo fa Edward Bernays, pubblicitario, ammetteva nel suo libro “Propaganda” (Edward L. Bernays. Propaganda. Horace Liveright, New York, 1928): “Coloro che hanno in mano questo meccanismo […] costituiscono […] il vero potere esecutivo del paese. Noi siamo dominati, la nostra mente plasmata, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite, da gente di cui non abbiamo mai sentito parlare. […] Sono loro che manovrano i fili…”.

Bernays non si riferiva soltanto alla propaganda politica, bensì anche alla pubblicità commerciale, i cui strumenti sono gli stessi: la sua campagna per la American Tobacco Company negli anni venti, per incitare le donne a fumare, consistette per esempio nell’associare visivamente in maniera costante la sigaretta e i diritti o la libertà della donna. Questa campagna fece aumentare le vendite a tal punto che la società Philip Morris riprese più tardi questa idea per gli uomini, e lanciò il famoso cow-boy Marlboro.

La pubblicità è una forma creativa che realizza informazioni commerciali per attirare possibili acquirenti, utilizzando i mezzi e i supporti a disposizione.
La pubblicità ha tre ingredienti che la identificano e la differenziano dagli altri concetti:

a) la capacità informativa (che fornisce informazioni relative ai prodotti o servizi, le loro caratteristiche e il modo in cui si possono acquistare),
b) la sua forza persuasiva (che cerca sempre di portare il pubblico interessato ad acquistare il prodotto pubblicizzato)
c) il suo carattere commerciale.
L’obiettivo principale della pubblicità non è di informare, ma di farvi sognare, per dare interesse a prodotti o marchi (che di solito non ne hanno) al fine di far sì che la gente li compri.

Altri obiettivi pubblicitari sono di permettere ad un prodotto o un servizio di far conoscere le sue caratteristiche e le modalità d’impiego; motivare il recettore e richiamare la sua attenzione con argomenti specificamente rivolti verso di lui, per evidenziare gli aspetti precedenti, al fine di ottenere una buona impressione sul prodotto o servizio pubblicizzato.

Fra tutte le possibili classificazioni della pubblicità forse quella più semplice e basilare è la classificazione in relazione al fine ultimo profit/non profit (e cioè se la réclame è più o meno a scopo di lucro):

  • Pubblicità commerciale: è quella volta a reclamizzare un prodotto di mercato (o comunque la ditta che lo produce). È la forma di pubblicità più diffusa.
  • Pubblicità sociale: è quella volta a promuovere finalità socialmente rilevanti.
  • Advocacy advertising: è quella volta a promuovere un consenso relativo a tematiche su cui esiste una divergenza di opinioni.
  • Pubblicità pubblica: è quella impiegata dallo Stato o dalla Pubblica Amministrazione volta a comunicare informazioni relative ai diritti e ai doveri dei cittadini.
  • Propaganda politica: è quella volta a reclamizzare un partito o un’idea politica.

Ovviamente esistono molte altre classificazioni, che non necessariamente si escludono a vicenda. Si può andare da classificazioni molto generiche come ad esempio quella in relazione al tipo di medium che veicola la réclame (radio, televisione, cinema, giornali, periodici, affissioni, Internet) fino a classificazioni piuttosto specifiche come ad esempio quelle in relazione al tipo di target (ossia il destinatario).

AIDA (attenzione, interesse, desiderio e azione)

AIDA (attenzione, interesse, desiderio e azione) è la nozione dei principi di pubblicità classica che devono essere presenti in ogni campagna pubblicitaria. In base ad essi, la pubblicità deve richiamare l’attenzione sul prodotto o servizio, promuovere il suo interesse, renderlo noto attraverso le informazioni fornite, provocando il desiderio di procedere alla sua acquisizione.
Tutto questo può essere realizzato utilizzando l’effetto sorpresa che cattura l’interesse del lettore.

I diversi media

Diversi sono gli spazi utilizzati dalla pubblicità per diffondere i propri messaggi: Tv, radio, cinema, stampa e affissione sono i principali. I primi tre possono essere considerati mezzi per pubblicità dinamiche, mentre gli ultimi due sono mezzi per pubblicità stauche. Le prime immagini impongono allo spettatore un tempo di fruizione che è interno al messaggio stesso e che a sua volta si impone al tempo dell’individuo che guarda. Le rimanenti, viceversa, lasciano che sia lo spettatore a decidere il tempo di osservazione e l’effetto ottico è giocato su relazioni di stabilità, abitudine e novità che si susseguono nel campo visivo.

All’origine fu il manifesto

La storia dell’immagine pubblicitaria va ricondotta, almeno inizialmente, alla storia del manifesto che fu il primo ad avere specifiche caratteristiche pubblicitarie. Il manifesto era già nato prima delle ricerche di Cheret e Lautrec che ne fecero un riconosciuto mezzo espressivo con proprie regole; ma la programmazione della moltiplicazione dell’immagine (sempre piú rapida con il perfezionarsi delle tecniche litografiche), e il differente rapporto tra immagine e scrittura, sono fatti nuovi rispetto al passato. La negazione del concetto di unicità dell’immagine sviluppatosi di pari passo con la nascita, nella seconda metà dell’Ottocento, della cultura metropolitana nata dall’industrialismo, è poi collegata allo sviluppo dell’illustrazione del libro (in particolare dell’illustrazione popolare) e a quello delle affiches teatrali.

L’illustrazione aveva trovato nuovi stimoli con le opere di P. Gavarni e H. Daumier che privilegiavano le immagini rispetto ai testi letterari; nelle affiches s’inaugurava di pari passo l’autonomia del mezzo al quale veniva affidato il compito di uniformare testo e immagine e nel contempo di creare interesse. Le affiches teatrali, piú delle illustrazioni dei libri, segnarono la storia del manifesto nella nuova funzione assegnata alle immagini dirette a un nuovo pubblico: esse dovevano informare e pubblicizzare un’opera, erano esposte all’aperto rivolgendosi a quella piccola e media borghesia che affollava le platee dei caffè parigini.

I primi manifesti

Tra i primi manifesti pubblicitari va citato quello disegnato dall’americano J. W. Morsen: Five celebrated clowns del 1856 (una Xilografia lunga 3,5 m), in cui cinque clowns riempiono quasi tutto lo spazio mentre la scritta assumeva un ruolo del tutto secondario. Jules Cheret ed Henry de Toulouse Lautrec furono i primi artisti in Francia a eseguire veri e propri manifesti pubblicitari. Cheret realizzò i suoi poster direttamente sulla pietra litografica dedicandosi soprattutto alla pubblicizzazione di spettacoli teatrali dove diversamente dall’esempio di Morsen, la scritta era un elemento inscindibile e parte integrante dell’immagine. Cheret, infatti, pur essendo convinto della prevalenza dell’immagine sul testo, parte dall’esigenza – come nei manifesti per le Folies Bergères del 1881 o per l’Exposition Universelle des Arts Incoherentes del 1889 – di costruire entro i termini dell’immagine una sintesi di racconto derivata dall’illustrazione popolare di romanzi in cui il testo è necessario all’esplicazione delle immagini.

Manifesto di Luis Chéret
Manifesto di Jules Chéret

Meno accademica, la cultura di Toulouse Lautrec parte dallo studio approfondito delle xilografie giapponesi e dal riferimento alla pittura di van Gogh e Gauguin. Già con le sue prime opere, Divan Japonais (1892), Jane Avril (1893), Babylone d’Allemagne (1894) si assiste a una netta rottura con il passato.

Lautrec- Babylone d'Allemagne
Toulouse Lautrec- Babylone d’Allemagne

L’immagine è ridotta a profilo, il chiaroscuro eliminato, il colore usato per determinare le gerarchie, i particolari sono solo accennati. La scritta è in funzione dell’immagine, ridotta di volta in volta a formare la base o lo sfondo di un sistema che evidenzia soprattutto le figure. La comprensione è affidata alle sole immagini, metafore del messaggio. Con il manifesto pubblicitario, tra il 1890 e il 1900, si misurarono anche altri grandi artisti del momento – Pierre Bonnard, Felix Vallotton, Maurice Denis, Jacques Villon – ma senza apportare novità particolari.

Una delle figure piú stimolanti del periodo è sicuramente Alphons Maria Mucha che in alcune opere degli anni Novanta (La trappistine, Salon des cent) realizzò dei testi fondamentali per la successiva cultura del manifesto, operando sulla stilizzazione dei contorni e utilizzando il testo scritto come base dell’equilibrio geometrico del messaggio figurale. Ma la conciliazione tentata sullo scorcio del secolo tra cultura dell’immagine e cultura letteraria non riuscì a risolvere la dicotomia esistente tra testo e immagine, problema centrale della funzione della immagine pubblicitaria nel mondo della comunicazione di massa.

L’espressionismo

Fu il clima dell’espressionismo a porre nuovi problemi, la funzione dell’immagine nel contesto urbano venne rivoluzionata da artisti come Heckel, Kirchner, Kokoschka, Schiele che determinarono questa rottura: il manifesto espressionista tedesco non è piú una pagina di libro, né una rappresentazione della realtà, ma una «enfatizzazione simbolica di alcuni elementi di un modello» (A. C. Quintavalle, 1977) divenendo nel contempo mezzo di persuasione e di creazione di consenso, identificandosi successivamente con quel momento di presa di coscienza nazionale tedesca, come uno dei mezzi di comunicazione ideologica prioritari.

Anche in America, in Inghilterra, in Italia, sia pur differenziandosi per riferimenti culturali e scelte iconologiche, i manifesti vennero utilizzati per la propaganda. Un’esperienza fondamentale per la storia del manifesto e della pubblicità in generale, è stata quella del Bauhaus (1919) dove furono definiti i rapporti tra arte e industria. Dal clima del Bauhaus usciranno i manifesti scientifico-surrealisti di Herbert Bayer e quelli legati al razionalismo astratto di Moholy-Nagy che influenzeranno prima la grafica europea e poi quella nord-americana. I temi pubblicizzati dai manifesti sono spettacoli, prodotti del progresso industriale, biciclette, automobili, carburanti. La forma estetica è quella della cultura figurativa dell’avanguardia. La rivoluzione nella grafica del Bauhaus non è semplicemente formale, non è un fatto limitato all’invenzione di alcuni caratteri, all’applicazione di un metodo di composizione che ridistribuisce il testo nella pagina o all’applicazione della fotografia, ma di una vera rivoluzione del valore della scrittura. I caratteri sono progettati in relazione alla loro funzione.

Al di fuori del clima del Bauhaus, in Europa domina, tra gli anni Venti e Trenta, la cultura post-cubista che in Germania trova uno dei suoi rappresentanti in McKnight Kauffer. In Francia o pubblicitario piú noto è Cassandre; il suo Nord-Express del 1927 mostra chiaramente il richiamo alla radice post-cubista, mentre Dubo-Dubon-Dubonnet del 1934 unisce componenti diverse: la semplificazione d’immagine post-cubista, la successione significante che è propria del fumetto, l’impiego della scrittura come elemento strutturante dell’immagine.

In Svizzera, invece, con Herbert Matter, il riferimento primo è la cultura surrealista. Con la seconda guerra mondiale il manifesto diviene soprattutto strumento di propaganda politica – stampa e radio lo accompagnano. I manifesti trascrivono in immagini le ideologie dei paesi in guerra e la composizione estetica volge decisamente al realismo. Opere significative sono quelle di Ben Shahan negli Stati Uniti, di Karl Golb in Germania e di Boccasile in Italia.

Manifesti della Rivoluzione russa 1917/1927 – Majakovskij, Lissitzky, Rodcenko e Moor

I manifesti di Majakovskij sono  dei veri e propri racconti satirici, che ricordano in parte il procedimento dei fumetti o delle vignette per i giornaletti infantili. Nel disegno ricordano anche certi giocattoli futuristi del nostro De Pero. Ma nel manifesto maiakovskiano ha una grande importanza la parola, il verso, la strofetta mordente. Majakovskij è stato anche un grande inventore di slogans politici e pubblicitari. Poesia visiva ante-litteram, dunque; ma di precisa funzionalità: caustica, allegra, aggressiva.
 
Moor è stato probabilmente il più fecondo autore russo di manifesti. In questa cartella ve ne sono alcuni di bellissimi e tipici, come quello eseguito per sollecitare la solidarietà verso i contadini delle regioni del Volga colpite dalla carestia: su di un fondo buio uniforme, dove sono graffite due spighe di grano spezzate, si leva al centro, allungata e deformata espressivamente, la figura di un mugico con le braccia alzate. Una sola parola di commento: Aiuto! … Si tratta di un mirabile esempio di grafica, essenziale e urtante, come deve essere un vero cartellone d’agitazione.
 
Manifesto di Moor
Manifesto di Moor

Ha fatto epoca il manifesto di Lissitzky, stampato nel 1920 per l’Armata Rossa. “Con il cuneo rosso, colpisci i bianchi!”, dice la didascalia. E Lissitzky, con un semplice schema geometrico, in cui un acuto triangolo rosso, spaccandolo, penetra profondamente in un cerchio bianco, ci dà un’immagine strutturale di un effetto tagliente e lampante, dimostrando come anche il linguaggio astratto-costruttivista poteva essere adoperato con la più esplicita leggibilità.

Lissitzky- Colpite i bianchi col cuneo rosso
Lissitzky- Colpite i bianchi col cuneo rosso

Il manifesto del periodo fascista

Nel periodo fascista coesistono gli ultimi manifesti in stile liberty e i primi della nuova propaganda fascista. Nel 1926 Guido Mazzali fonda «L’Ufficio Moderno» rivista che riunì molti dei pubblicitari del tempo. Nel 1928 una agenzia pubblicitaria americana, la Erwin Wasey, apre a Milano; sul suo modello, e nel giro di pochi anni, ne nascono molte, tutte italiane. Nel 1930 a Roma e nel 1931 a Milano si svolgono il 1° e il 2° Congresso della Pubblicità; viene messo in discussione il manifesto del passato che non teneva realmente conto delle esigenze del fruitore – iniziano i primi studi sul target ed è in questo momento che al grafico si affianca il lavoro del fotografo. Nei lavori dei pubblicitari attivi nel periodo pre-bellico, come F. Seneca, S. Pezzati, M. Nizzoli, G. Boccasile, D. Villani, all’enfasi coloristica tipica delle immagini p precedenti si sovrappone una griglia compositiva geometrizzante.

La pubblicità nel secondo dopoguerra

Nel dopoguerra si assiste a una inversione di tendenza in campo pubblicitario: se, infatti, fino a quel momento erano stati i governi a indirizzare le mitologie di massa e a determinare la direzione del consenso, nel dopoguerra essi rinunziarono a questa funzione lasciando spazio alla libera iniziativa nel campo dell’immagine e della pubblicità, stimolati dalla linea di tendenza già operante negli Stati Uniti. Dal manifesto, che era stato ancora nelle due guerre il mezzo principale per la diffusione dell’immagine pubblicitaria – accompagnato solo dalla radio – si passa rapidamente all’uso dei settimanali e dei cartelloni stradali. Con la pubblicità murale la comunicazione si sviluppa e, grazie all’opera di cartellonisti quali Leonetto Cappiello, Adolf Hohenstein, Giovanni Maria Mataloni, Leopoldo Metlicovitz e Marcello Dudovich diventa una vera e propria forma d’arte. In ambito statunitense si cominciano anche a elaborare dei particolari sistemi di persuasione che si avvalevano delle tecniche studiate da sociologi e psicologi.

Manifesto di Dudovich
Manifesto di Dudovich

L’avvento della pubblicità televisiva

Ma l’importanza del manifesto come creatore e diffusore dell’immagine pubblicitaria diminuí moltissimo soprattutto con l’avvento della pubblicità televisiva. Con la televisione la pubblicità si fa racconto, il messaggio si svolge nel tempo, le immagini non sono piú fisse ma mobili, il fruitore non deve solo guardare ma anche ascoltare. Nello stesso tempo il mondo della pubblicità si arricchisce di nuove competenze; fino a quel momento il fotografo era quasi l’unico collaboratore, esterno all’agenzia, che avesse un ruolo di rilievo; adesso, anche registi, producer, creatori di jingle e scenografi assumono ruoli di primo piano. Il set diviene il luogo d’elezione per la pubblicità degli anni ’70 e ’80: piú del 50 per cento della spesa pubblicitaria è rivolta infatti al mezzo televisivo, mentre di gran lunga minori sono gli investimenti su quotidiani, periodici, affissioni, radio e cinema. Del resto, la televisione, con la sua grande capacità di copertura (numero di individui che si suppone di poter raggiungere) è senz’altro il mezzo piú adatto alla diffusione del messaggio pubblicitario. Ogni mezzo, infatti, viene valutato anche in base al rapporto tra il costo complessivo dell’operazione e il numero di persone che si ritiene possa raggiungere (rapporto costo-contatto). Nel caso della televisione, anche se i costi sono particolarmente elevati, il numero di persone che ogni giorno sono potenzialmente raggiungibili è talmente elevato da compensare largamente le spese. L’efficacia della pubblicità televisiva è inoltre determinata dalla possibilità di arrivare al fruitore non solo attraverso la vista ma anche attraverso l’udito; in questo modo, la possibilità che il messaggio giunga a destinazione si raddoppia.

Mentre nel cinema l’immagine pubblicitaria ha caratteristiche simili a quelle televisive pur avendo a disposizione tempi piú lunghi e possibilità di utilizzare effetti sofisticati, il ruolo svolto dall’immagine pubblicitaria in riviste e giornali è molto diverso basandosi oltre che sullo slogan, sul preponderante spazio dato alla parte scritta che deve informare e illustrare le qualità del prodotto pubblicizzato.

La storia dell’immagine pubblicitaria in Italia

La pubblicità in Italia nasce verso la fine dell’Ottocento; i giornali dedicano l’ultima pagina ai piccoli annunci, sui tram a cavalli vengono applicati i primi cartelli pubblicitari ed è il momento in cui nascono le prime imprese di affissione. Nel 1836 A. Manzoni fondò la prima concessionaria italiana che curava le inserzioni per un certo numero di giornali, e nel 1881 venne creata da A. Montorfano l’IGAP (Istituto Grafica e Affissioni Pubblicitarie) che pose le fondamenta per la diffusione del manifesto. Così come in Europa, anche in Italia i primi pubblicitari provenivano dall’ambiente artistico. Leonetto Cappiello ad esempio arrivò al manifesto dopo aver conosciuto vasta notorietà come ritrattista e caricaturista, pittori come Fortunato Depero e Marcello Nizzoli si dedicarono anche alla pubblicità.

Tra i protagonisti della storia della pubblicità in Italia vanno citati Leonetto Cappiello e Marcello Dudovich; il primo lavorò soprattutto a Parigi, dove si trasferì nel 1898. Fu definito l’inventore del «manifesto marchio» di rapida comunicazione e alta memorabilità. Il secondo, dal 1888 fu attivo soprattutto a Milano per le Officine Ricordi. I destinatari delle sue pubblicità sono gli uomini del suo stesso ambiente: un mondo colto e borghese che poteva apprezzare la qualità delle sue immagini e che non aveva problemi di spesa. In questa prima fase, l’operatore pubblicitario non era toccato da vincoli né obblighi, era lasciato libero di dare spazio alla propria immaginazione senza dover scendere a compromessi.

Sullo scorcio del secolo il manifesto cominciò ad avere anche una certa fortuna editoriale. Nel 1899 sulla rivista «Le arti applicate» viene presentata una rassegna di manifesti. Ai primi del Novecento a Milano e a Genova vengono fatte le prime mostre dei lavori pubblicitari, e nel contempo escono anche i primi libri sull’argomento: L’arte della reclame di Bernet, L’arte del persuadere di G. Prezzolini. Nel primo decennio del Novecento, grazie ad alcune grandi concessionarie vennero attuate le prime campagne pubblicitarie sull’intero territorio nazionale: quella della Pirelli fu tra le piú importanti. In queste prime immagini p il prodotto pubblicizzato svolge un ruolo di secondo piano ed è utilizzato come oggetto-simbolo aggiunto all’atmosfera di lusso che viene rappresentata, senza acquisire una propria autonomia. Il prodotto fa parte del decoro borghese, ne è il simbolo e la stilizzazione. Inoltre, non vi sono toni aggressivi o competitivi, non vi sono slogan, né veri e propri personaggi mancando in realtà quell’aspetto concorrenziale assunto nel secondo dopoguerra dalle proposte del mercato.

Il modello industriale americano

Nel dopoguerra in Italia va affermandosi rapidamente il modello industriale statunitense, basato sul grande consumo di beni d’uso quotidiano come le cucine economiche, lavatrici, prodotti di pulizia come detersivi, cere e di bellezza, mentre nel contempo la martellante campagna pubblicitaria per la benzina indica l’apparire di un nuovo e mitico soggetto di mercato destinato a un largo consumo: l’automobile. D’altronde il fervore stesso dell’economia italiana provoca l’interesse del capitale statunitense: la Lintas nel 1948 e la Thompson nel 1951 aprono le loro Agenzie in Italia. Con l’America arrivano gli studi di marketing e le ricerche motivazionali che mettono la parola fine all’improvvisazione artigianale e alle pretese artistiche degli esordi; piú  dell’immagine, ora, è lo slogan che conta.

Carosello

Un’esperienza tutta italiana è stata quella di «Carosello» – dal 3 febbraio 1957 al 1° gennaio 1977 – che fece entrare in modo stabile la pubblicità nella vita degli italiani. Fu un’invenzione della Rai per regolare la pubblicità televisiva (allora appena agli inizi) cercando una formula che costituisse un punto d’incontro tra le esigenze degli inserzionisti e quella del pubblico. Ogni pubblicità aveva a disposizione 2 minuti e 15 secondi; 135 secondi dovevano essere dedicati a uno spettacolo non pubblicitario e solo gli ultimi 30 secondi al messaggio. L’esperimento si concluse per volere degli stessi inserzionisti che pagavano cifre troppo elevate per l’organizzazione dei «Caroselli» in confronto al tempo dedicato al vero e proprio messaggio pubblicitario.

Negli anni Sessanta furono le grandi agenzie internazionali a prendere il sopravvento; gli studi e le piccole agenzie cessarono di avere un ruolo di rilievo. In questo periodo la pubblicità viene preparata con bozzetti su carta (layout); la visibilità del prodotto è ottenuta con l’uso del mezzo fotografico. L’abilità dell’art director si misura sulla capacità di guidare il lavoro del fotografo. Nello stesso periodo cominciano però anche a uscire una serie di libri che si schierano contro la logica della produzione e del consumo (La folla solitària di D. Riesman del 1956 o I persuasori occulti di V. Packard del 1958). Con la crisi economica degli anni Settanta poi le grandi agenzie si spaccano, sorgono le prime strutture indipendenti che offrono ricerche e servizi, mentre negli anni Ottanta con la caduta del monopolio Rai e l’apertura delle reti private, l’investimento pubblicitario si sposta decisamente a favore della televisione.

Marketing mix

A un primo livello di analisi appare evidente come le variabili in gioco siano talmente tante che pretendere che la pubblicità possa determinare in modo meccanico le vendite non è molto realistico. Senza contare poi il fatto che, in ogni caso, la pubblicità non è sola ma fa parte del cosiddetto Marketing Mix, cioè a incidere sul volume delle vendite non vi è solo la réclame. La pubblicità, per quanto valida possa essere, dovrà sempre fare i conti con:

  • Prodotto sia a livello della qualità (per un prodotto scadente non c’è campagna pubblicitaria che tenga) e sia a livello dei significati simbolici (cosa vuol dire possedere quel prodotto);
  • eventuale Design dell’oggetto, il Packaging che lo confeziona, il Nome con rispettivo Logotipo (e Marchio) stampato sopra;
  • Brand image, Corporate image, e Made In image, che sono rispettivamente le immagini della marca del prodotto, dell’industria che produce quella marca, e del paese dove risiede quell’industria;
  • Prezzo;
  • Distribuzione (è difficile acquistare un prodotto irreperibile o esaurito);
  • incidenza che può avere il Punto Vendita a svariati livelli (quanto è simpatico o antipatico il negoziante);
  • Promozioni in atto (le offerte 3×2);
  • ritorno di immagine dovuto a Sponsorizzazioni;
  • Concorrenza (che vende un prodotto identico ma di un altro colore).

Per queste ragioni l’immagine pubblicitaria è divenuta col tempo sempre più creativa.

Analisi dell’immagine pubblicitaria su stampa

Lo scopo di ogni immagine pubblicitaria è quello di creare attenzione. Essa è ricercata attraverso la combinazione di diversi fattori come: la scelta del tipo di illustrazione, l’uso del colore, la scelta della forma, l’armonia dell’illustrazione con la scritta. Nella maggioranza dei casi i prodotti vengono illustrati con immagini realistiche mentre le immagini astratte – se pur utilizzate quando si ricercano effetti di sorpresa o novità – sono meno impiegate perché non mettono in atto quel processo di proiezione, necessario perché scaturisca il desiderio di acquisto. Il colore è uno degli elementi piú importanti per richiamare attenzione; a parità di condizioni è favorito un annuncio a piú colori rispetto a uno in bianco e nero o a un solo colore. In generale sono preferite le composizioni di tipo geometrico alle forme naturali o fantastiche. Le illustrazioni servono anche a guidare l’occhio verso lo slogan o sull’eventuale testo; le immagini sono composte in modo tale da mantenere l’occhio all’interno dello spazio pubblicitario mentre sono evitate composizioni che conducono lo sguardo all’esterno dello spazio previsto. Un altro fattore importante nel determinare attenzione è l’elemento novità. Esso è ottenuto giocando su diversi fattori come: una disposizione particolare dell’illustrazione nella pagina, accentuando gli ornamenti, i colori o i contorni o trovando soluzioni originali nei chiaroscuri o nei dettagli, ecc.

Natura dell’illustrazione

Il pubblicitario dispone essenzialmente di tre tipi di illustrazioni: la fotografia, disegni pieni, disegni al tratto. Generalmente è la fotografia la piú utilizzata perché piú reale e naturale. La scelta del disegno o della fotografia è relativa ai seguenti fattori: 1) al tipo e qualità della stampa; è preferita una buona riproduzione al tratto a una cattiva riproduzione della mezza tinta. La buona qualità della stampa è una condizione che porta alla scelta della foto; 2) allo scopo dell’illustrazione. Se l’illustrazione ha lo scopo di convincere i fruitori o di attirare la loro attenzione si utilizza, generalmente, la fotografia; se essa ha lo scopo di far comprendere o di agire sulla memoria, il disegno, anche schematico, è il mezzo prescelto; 3) al soggetto dell’illustrazione. Figure umane, oggetti, animali, possono essere ripresi secondo accorgimenti che li rendono piú o meno fotogenici (anche in base alla bravura dell’operatore o del ritoccatore). Ma, se il soggetto dell’illustrazione presenta difficoltà di ripresa, è preferito il disegno a mezza tinta; 4) all’elaborazione dell’illustrazione. L’intervento della macchina fotografica non esclude quello dell’artista; verso il 1880 E. e J. Concourt avevano già scoperto come si coloravano le foto in camera oscura. Questa tecnica è usata anche da molti pubblicitari di oggi per ottenere immagini fedeli ma singolari e stupefacenti nel contempo.

L’impaginazione

L’impaginazione è lo scheletro di ogni pubblicità, attribuisce a ogni elemento del testo e a ogni illustrazione uno spazio proprio, a seconda del loro grado d’importanza. L’impaginazione è il mezzo attraverso il quale si rende armonico il rapporto tra l’immagine e il testo. L’impaginazione è soggetta ai seguenti fattori: 1) fattori riguardanti il testo; ogni testo assume un significato differente a seconda delle parole che vogliono essere evidenziate; 2) fattori inerenti all’illustrazione; la dimensione e lo spazio assegnato alle illustrazioni di un annuncio pubblicitario è relativo alle funzioni che esse svolgono;  3) fattori inerenti alla disponibilità di spazio;  4) fattori relativi alla necessità che l’annuncio abbia caratteri di novità, continuità, originalità.

Insieme alla scelta delle immagini è di gran rilievo anche la scelta dei caratteri tipografici. In un annuncio pubblicitario possono essere utilizzati due generi di caratteri: quelli tipografici e quelli disegnati. I primi sono dei caratteri studiati da specialisti che li vendono sotto forma di caratteri colati da una matrice. I secondi sono dei caratteri disegnati e riprodotti direttamente mediante fotolito. I primi sono standardizzati, i secondi possono dar luogo a qualsiasi variante. I caratteri, a loro volta, sono soggetti ai seguenti criteri di selezione:

1) la loro semplicità; devono essere sempre estremamente leggibili;

2) la dimensione (esiste una dimensione ottimale per ciascuna parte del testo);

3) la frequenza (esistono distanze ottimali tra carattere e carattere che facilitano e invogliano la lettura);

4) l’orientamento. È dato dall’inclinazione del testo rispetto alla linea orizzontale. Il grado di obliquità di una sequenza di caratteri è relativa al tipo di effetto che si vuole produrre su chi guarda.

Analisi delle immagini pubblicitarie su impianti di affissione cosí come le immagini p create per la stampa anche quelle create per gli impianti di affissione sono immagini statiche. Ma, mentre la pubblicità su stampa può essere guardata per il tempo che si desidera e ad una distanza ravvicinata, i cartelloni pubblicitari – posti lungo le strade delle città o lungo le grandi vie di collegamento – vengono necessariamente osservati durante uno spostamento e comunque da lontano; il destinatario, l’uomo della strada, potrà dedicare alla visione del messaggio solo il tempo che gli è consentito dalla velocità del suo mezzo di locomozione (piedi, macchina, ciclomotore, autobus, ecc.) o dal flusso di traffico; per vincere la competizione che la città – con la sua sterminata quantità di messaggi visivi – impone, il manifesto pubblicitario gioca soprattutto sulla forza dell’impatto visivo e sulla sinteticità del messaggio. Il testo viene inserito in un manifesto solo quando l’immagine non è sufficientemente esplicativa; in questo caso si utilizzano frasi brevi e di tipo imperativo. Le immagini coprono generalmente quasi tutto il campo visivo e sono stagliate su fondi neutri.

Obiettivi della pubblicità: Goodwill e Life Style

A questo punto è quindi evidente come le variabili in gioco siano davvero tante e complesse. Pretendere quindi che una pubblicità di per sé riesca a vendere, o per converso a farci comprare, è un po’ troppo semplicistico.

  • Scopo della pubblicità è piuttosto, secondo una visione più realistica, quello di stimolare una propensione al consumo o prima ancora un’intenzione all’acquisto. Per efficacia si intende quindi la capacità che ha una determinata pubblicità di creare goodwill verso il prodotto (letteralmente: benevolenza, amicizia, simpatia), cioè evocare il desiderio, la convinzione che quel prodotto rappresenti una soluzione valida e desiderabile, anzi la migliore delle soluzioni possibili.

Ma sebbene questo resti l’obiettivo primario non bisogna trascurare però il fatto che nella nostra civiltà la Pubblicità ha assunto anche altre funzioni:

-innanzitutto quella di attribuire, come già accennato, caratteristiche differenziali a Prodotti sempre meno riconoscibili l’uno dall’altro al momento della produzione e quella di valorizzare le Marche rispetto al generale appiattimento delle caratteristiche distintive obiettivamente riscontrabili;

-poi, più ambiziosamente, quella di trasformare i Prodotti e le Marche in segni, cioè riverberare sulla fisicità dei prodotti significati simbolici che vanno ben oltre le caratteristiche materiali.

Ciò è possibile in una società come quella occidentale, dove è stata da tempo superata la fase di soddisfazione dei bisogni primari e il consumo appare progressivamente trasformarsi in comunicazione: la pubblicità sfrutta questo meccanismo essendone sì un effetto, ma divenendone anche al contempo una causa. Gli individui, infatti, ricercano nei beni che acquistano, oltre all’utilità funzionale:

-da un lato, che si può considerare storico, un modo per esprimere uno status sociale al quale si appartiene o al quale si vorrebbe appartenere, ostentare cioè un prestigio sociale;

-da un altro lato, che è invece è un po’ più attuale, un modo per esprimere una cultura moderna con la quale si è integrati o con la quale ci si vorrebbe integrare. Si parla in tal caso di consumo di cittadinanza. Gli oggetti rivestono un significato sociale perché comunicano secondo convenzioni universalmente accettate, quindi alla stregua di una lingua, i valori degli individui che li possiedono, il loro life style (letteralmente: stile di vita), forse addirittura la loro reale identità. Il messaggio espresso dal singolo prodotto acquista un significato solo nei rapporti e nelle relazioni che instaura con altri messaggi, con il sistema complessivo della comunicazione degli oggetti. A sua volta il codice generale – la lingua degli oggetti – si articola secondo i codici subculturali dei diversi gruppi di cui si compone il sociale.

Ibridazioni

I pubblicitari spesso evocano importanti e conosciute opere d’arte del passato per aumentare l’efficacia del messaggio.

Il “Bacio” opera molto famosa e sensuale di Gustav Klimt è utilizzata per pubblicizzare un profumo.

Per ottenere questo effetto, possiamo usare delle opere d’arte in tre modi:

* un originale (l’opera d’arte o solo una parte di essa),
* un’opera d’arte modificata ed adattata a ciò che viene pubblicizzato,
* un’immagine che ricorda l’opera d’arte originale.

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La “Libertà che guida il popolo” di Delacroix è la fonte d’ispirazione di questa pubblicità di una compagnia telefonica. La drammaticità del dipinto dell’artista francese viene completamente eliminata per lasciare spazio ad una scena di gioco.

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La pubblicità degli orologi Vagary ed utilizza “La Creazione di Adamo” di Michelangelo.

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Il “Pensatore” di Rodin, a sinistra, utilizzato per una pubblicità di pneumatici, a destra.

Le quattro immagini precedenti sono tratte da uno studio di Ana Moutinho. Per un approfondimento sulle ibridazioni e sui simbolismi delle immagini pubblicitarie si veda: Antonio De Lisa, La comunicazione pubblicitaria, in “Cronaca e Storia”, https://storiografia.me/2012/04/10/l-immaginario-nella-pubblicita-di-antonio-de-lisa/

BIBLIOGRAFIA

Periodici

Le riviste che nel mondo si occupano di pubblicità a vari livelli sono numerose. Tra le più importanti, a titolo esemplificativo, è possibile citare:

  • Advertising Age – rivista americana, a carattere divulgativo (fondata nel 1930)
  • Journal of Advertising Research – rivista americana, a carattere scientifico (fondata nel 1960)
  • Campaign – rivista inglese, a carattere divulgativo (fondata nel 1968)
  • the Journal of Advertising – rivista americana, a carattere scientifico (fondata nel 1971)
  • Stratégies – rivista francese, a carattere divulgativo (fondata nel 1971)
  • Adweek – rivista americana, a carattere divulgativo (fondata nel 1978)

Anche in Italia sono edite varie riviste. Tra quelle principali è possibile citare:

  • Linea Grafica – per quanto concerne la grafica pubblicitaria (fondata nel 1956)
  • Pubblicità Italia – per quanto concerne la pubblicità trattata in maniera generale (fondata nel 1989)
  • È possibile menzionare inoltre La pubblicità, rivista storica ma non più stampata (fondata nel 1924)

Dizionari enciclopedici

Esistono dizionari enciclopedici dedicati totalmente o in significativa parte alla pubblicità o alla grafica pubblicitaria. Tra le opere relativamente più recenti, in lingua italiana, è possibile citare:

  • Alberto Abruzzese e Fausto Colombo (a cura di). Dizionario della pubblicità. Zanichelli, Bologna, 1994.
  • Giorgio Fioravanti. Il dizionario del grafico. Bologna, Zanichelli, 1993.
  • Franco Lever, Pier Cesare Rivoltella e Adriano Zanacchi. La comunicazione. Il dizionario di scienze e tecniche. Roma, Rai-Eri, Elledici, Las, 2002.
  • Fausto Lupetti e G. Manfredini (a cura di). Nuovo dizionario illustrato della pubblicità e comunicazione. Lupetti, Milano, 2001.

Saggi

Le monografie dedicate alla pubblicità sono innumerevoli, e affrontano l’argomento da molti punti di vista. Ma se da un lato è possibile citare almeno alcuni dei principali volumi pubblicati nell’ultimo quarto di secolo in lingua italiana, dall’altro è bene tener presente che tale elenco ha un mero scopo didattico, e costituisce più che altro un termine di paragone rispetto ad altre pubblicazioni. In particolare la seguente esigua lista deve aiutare a discernere la vera e propria saggistica scientifica da un’altra tipologia di libri, sempre dedicata al mondo della réclame, ma che ha molte più affinità con la narrativa (cfr. sezione successiva). Per un elenco esaustivo ed ufficiale di tutte le opere pubblicate sulla pubblicità si invitano i lettori a consultare l’indice SBN OPAC.

  • David A. Aaker e John G. Myers. Advertising Management. Englewood Cliffs, New Jersey, Prentice-Hall Inc., a division of Simon & Schuster, 1987 (Trad. It. Management della pubblicità. Milano, FrancoAngeli, 1998.
  • Alberto Abruzzese. Metafore della pubblicità (2a. ed. aggiornata). Costa&Nolan, Genova, 1997.
  • Bruno Ballardini. La morte della pubblicità. Castelvecchi, Roma, 1994.
  • Luis Bassat e Giancarlo Livraghi. Il nuovo libro della pubblicità (2a. ed. aggiornata). Il Sole 24 Ore, Milano, 2001.
  • Enrico e Giulio Bizzarri, Lorenzo Soprani (a cura di). Pubblicità canaglia. Zelig, Milano, 2002.
  • Vanni Codeluppi. Che cos’è la pubblicità. Carocci, Roma, 2001.
  • Vanni Codeluppi. Pubblicità. Zanichelli, Bologna, 2000.
  • Antonio De Lisa, La comunicazione pubblicitaria, in “Cronaca e Storia”, https://storiografia.me/2012/04/10/l-immaginario-nella-pubblicita-di-antonio-de-lisa/
  • Giampaolo Fabris. La pubblicità. Teoria e prassi. Milano, FrancoAngeli, 1997.
  • Gian Luigi Falabrino. Pubblicità serva padrona: protagonisti, strategie e battaglie del mercato italiano. Il Sole 24 Ore, Milano, 1999.
  • Gian Luigi Falabrino. Effimera & bella: storia della pubblicità italiana: Venezia 1691-Roma 2001 (2a. ed. aggiornata in occasione del “Congresso nazionale della pubblicità” Roma ottobre 2001). Silvana, Cinisello Balsamo, 2001.
  • Marco Giusti. Il grande libro di Carosello. Sperling&Kupfer, Milano, 1995.
  • Amedeo Nigra. La pubblicità e i suoi contratti tipici, 2000, Maggioli Editore,
  • Daniele Pitteri. La pubblicità in Italia: dal dopoguerra ad oggi. GLF editori Laterza, Bari-Roma, 2002.
  • Daniele Pitteri e Paola Papakristo (a cura di). Archeologie della pubblicità: alle origini della pubblicità moderna. Liguori, Napoli, 2003.
  • Annamaria Testa. La pubblicità. Bologna, il Mulino, 2004.
  • Annamaria Testa. La parola immaginata di: 2006
  • Mark Tungate. Adland: a global history of advertising. Londra, Kogan Page Publisher, 2007 (Trad. It. Storia della pubblicità – Gli uomini e le idee che hanno cambiato il mondo. Milano, FrancoAngeli, 2010.
  • Ugo Volli. Semiotica della pubblicità. GLF editori Laterza, Bari-Roma, 2003.

Narrativa

Esiste finalmente una letteratura del tutto peculiare caratterizzata da libri, scritti da pubblicitari, a metà strada tra l’autobiografia e il manuale pedagogico (se non in certi casi addirittura il romanzo). Il capostipite di questa tradizione, che poi ha avuto numerosi epigoni, fu Claude C. Hopkins nel lontano 1927. È possibile citare i volumi più celebri:

  • Frédéric Beigbeder. 99 Francs, 2000. (Trad. It. Lire 26.900. Feltrinelli, Milano, 2001.
  • Claude C. Hopkins. My Life in Advertising. Harper & Brothers, New York, 1927 (Trad. It. I miei successi in pubblicità. Biblioteca dell’Ente Nazionale Italiano per l’Organizzazione Scientifica del Lavoro, Roma, 1932).
  • David Ogilvy. Confessions on Advertising Man, first published 1963 by Atheneum, new and revisited edition published 1987 by Pan Books Ltd., London, (Trad. It. Confessioni di un pubblicitario. Lupetti, Milano, 1989.
  • Rosser Reeves. Reality in Advertising. Alfred A. Knopf Inc., New York, 1960 (Trad. It. I miti di Madison Avenue. Lupetti, Milano, 1988.
  • Jacques Séguéla. Ne dites pas à ma mère que je suis dans la publicitè… Elle me croit pianiste dans un bordel. Parigi, Flammarion, 1979 (Trad. It. Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario… Lei mi crede pianista in un bordello. Lupetti, Milano, 1986.

Sull’altro versante, ossia quello dell’opposizione alla pubblicità, il classico per eccellenza è rappresentato, invece, da:

  • Vance Packard. The hidden persuaders . David McKay, New York, 1957 (Trad. It. di Carlo Fruttero: I persuasori occulti. Einaudi, Torino, 2005.


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