Il concetto di relatività in fisica
Galileo, per difendere la teoria copernicana dai suoi critici, si sforza di dimostrare, nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, l’impossibilità, da parte degli esseri viventi, di rendersi conto del duplice moto terrestre. Lo fa ricorrendo al famoso paragone della nave, i cui abitanti sono assimilati a quelli del nostro pianeta.
“[…] Rinserratevi con qualche amico nella maggior stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anche un gran vaso d’acqua e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anche in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza: i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto. […] Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, perché niun dubbio ci sia che mentre il vascello sta fermo non debban succeder così, fate muovere la nave con quanta si voglia velocità; che (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprendere se la nave cammina o pure sta ferma […] le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché mentre la gocciola è per aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con più fatica noteranno verso la precedente che verso la susseguente parte del vaso […] e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i loro voli indifferentemente verso tutte le parti, né mai accadrà che si riduchino verso la parte che riguarda la poppa,quasi che fussero stracche di tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo trattenendosi per aria, saranno state separate […]”
Con questo brano del Dialogo, Galileo inaugura la lunga storia del concetto di relatività in fisica, fondato essenzialmente sul principio di inerzia, usato dallo stesso Galilei in una accezione circolare: esattamente come gli abitanti della Terra sono animati da due moti circolari, quelli della nave percorrono sul globo tratti di cammino circolari. Così, le gocce che cadono dal vaso più alto in quello più basso, non restano indietro, quando la nave è in moto uniforme, perché conservano la velocità angolare iniziale. Il passo successivo consisterà nella sostituzione dell’inerzia circolare con l’inerzia lineare, principio già intravisto da Galileo, per quanto riguarda i moti violenti, e formulato in termini rigorosi e generali, da Cartesio e da Newton.

Fig.1
Per introdurre quella che, alquanto impropriamente, è stata definita relatività galileiana, è necessario definire il concetto di sistema inerziale. Un sistema cui riferire i moti degli oggetti, si chiama inerziale, se ha origine in un punto qualunque dello spazio, e orientamento costante rispetto alle stelle lontane (dette impropriamente, con reminiscenza aristotelica, stelle fisse), oppure, se è in moto rettilineo uniforme rispetto a un sistema come quello appena definito.In figura, sono mostrati due sistemi inerziali. Quello di destra, è animato da velocità costante V rispetto a quello di sinistra. Le velocità del punto P rispetto ai due sistemi, sono legate dalla semplicissima formula:
Da questa si deduce facilmente, per le accelerazioni del punto P rispetto ai due sistemi:
Da cui:
Quest’ultima formula ci dice chiaramente che, se un osservatore legato a un sistema di riferimento inerziale, esperimenta l’azione di una forza F sul punto P, lo stesso accade per un ossevatore legato a un qualunque altro sistema di riferimento inerziale. La seconda legge della dinamica è covariante rispetto alle trasformazioni galileiane. In altre parole: un esperimento fatto da un osservatore inerziale – cioè collegato a un sistema inerziale – non può mettere in luce lo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme dell’osservatore stesso, rispetto a qualsiasi altro osservatore inerziale.
C’è ancora da osservare che un sistema di riferimento terrestre, essendo legato a un oggetto animato da due moti rotatori, non è un sistema inerziale, ma, usualmente, si comporta grosso modo come tale, per il debole effetto delle rotazioni terrestri su di esso. Tuttavia, la non inerzialità di un sistema terrestre può essere evidenziata da opportuni esperimenti. Ad esempio, se un oggetto cade a perpendicolo dalla cima di un altissimo monte, il punto in cui raggiunge il terreno è posto a est della base del monte, in quanto, la conservazione della velocità lineare consente all’oggetto di andare incontro al sole, più velocemente di quanto non faccia la terra (fenomeno della caduta dei gravi verso Oriente). Galileo avrebbe, invece, affermato che l’oggetto cade esattamente ai piedi del monte, e un suo avversario aristotelico, che l’oggetto cade a ovest del monte, e avrebbero sbagliato entrambi.
La relatività galileiana, perfettamente valida per spiegare la covarianza delle leggi di natura meccanica nel passaggio da un sistema inerziale all’altro, cade in difetto quando si prendano in considerazione fenomeni di natura elettromagnetica. Tali fenomeni sono riassunti, in termini qualitativi, dalle seguenti leggi:
- Legge di Coulomb (il campo elettrico di una carica puntiforme);
- Le linee del campo magnetico sono continue e non hanno inizio o fine;
- Un campo magnetico variabile nel tempo produce un campo elettrico (induzione elettromagnetica);
- Un campo magnetico può essere prodotto sia da un flusso di corrente che da un campo elettrico variabile.
Le equazioni che reggono tali fenomeni – equazioni di Maxwell (James Clerk Maxwell, 1831-1879) – non sono covarianti rispetto alle trasformazioni galileiane: se queste ultime fossero universalmente valide, un osservatore inerziale il quale esegua un esperimento di natura elettromagnetica, potrebbe accorgersi di essere in quiete o in moto rispetto a un altro osservatore inerziale, a seconda dell’esito di un esperimento analogo, condotto da questo secondo osservatore.
Le trasformazioni galileiane assicurano la covarianza delle leggi fisiche, al variare dei sistemi inerziali, solo per quanto riguarda i fenomeni meccanici, ma cadono in difetto quando si prendono in considerazione fenomeni di natura elettromagnetica. Si deve ad Albert Einstein (1879-1955) una notevole estensione delle formule di Galileo, che assicura la covarianza di tutte le leggi fisiche, al variare dei sistemi inerziali. Poniamo, le une accanto alle altre, le formule di Galileo e di Einstein, per esaminarne le somiglianze e le differenze. Ci riferiamo alla Fig.1, supponendo, per semplicità, che il moto relativo dei due sistemi avvenga nella direzione dell’asse x, comune ai due.
Einstein | ||||
Galileo |
Le formule in basso (trasformazioni galileiane), in cui le coordinate spaziali sono rigorosamente indipendenti da quelle temporali, implicano che i due osservatori, in moto l’uno rispetto all’altro, abbiano orologi sincroni. Le formule in alto (trasformazioni di Lorentz, assunte da Einstein), in cui le coordinate spaziali e quella temporale si implicano a vicenda, comportano che i due osservatori, in moto l’uno rispetto all’altro, abbiano orologi asincroni. Le trasformazioni di Lorentz danno risultati apprezzabili, ogni qual volta la velocità v con cui un sistema si muove rispetto all’altro, è paragonabile a quella c della luce – circa 300.000 Km al secondo – mentre, come è immediato osservare, se il rapporto v / c è trascurabile, si riducono sostanzialmente a quelle di Galileo. La velocità della luce, e ogni altro fenomeno elettromagnetico, sono covarianti al variare dei sistemi inerziali, al pari delle leggi di natura meccanica, se si assumono come valide le trasformazioni di Lorentz.
Nel 1916, Einstein ha esteso il principio di relatività a tutti i sistemi di riferimento, anche non inerziali, mediante formule che assicurano la covarianza di tutte le leggi di natura, al variare degli osservatori (Relatività Generale). In particolare, ogni osservatore misura nel proprio spazio-tempo (generalmente di natura non euclidea), la distanza fra due eventi spazio-temporali, mediante una metrica, i cui coefficienti sono funzioni delle distribuzioni di materia-energia nello spazio stesso. Ciò comporta che lo spazio e il tempo non siano più, come per Newton, due contenitori vuoti, in cui trovano posto i fenomeni naturali, ma una costruzione degli stessi fenomeni. Gli effetti gravitazionali, come ad esempio le maree, trovano posto in questa splendida costruzione teorica, in cui conserva validità, con qualche correttivo, anche la formula di Newton. Ma c’è da osservare che tale formula, nel contesto della Relatività Generale, non esprime fantomatiche azioni a distanza, bensì moti spontanei o naturali, lungo le lineee di lunghezza minima (geodetiche) dello spazio-tempo. Secondo le suggestive parole di Max Jammer (contenute nella Storia del concetto di Spazio): “[…] la gravitazione non possiede, nella Relatività Generale, le caratteristiche di una forza, ma si riduce a una proprietà dello spazio-tempo. Il programma di Cartesio (ossia la geometrizzazione della fisica), è stato finalmente realizzato da Einstein“. Si potrebbe aggiungere che la validità, in tale contesto, della formula gravitazionale di Newton, realizza anche, in qualche modo, una sintesi fra le idee cartesiane e quelle dello stesso Newton.
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