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Home – Nuova Storia culturale e visuale / New Culturale and Visual History

Antonio De Lisa- Verso una Storia visuale

Scrive Huizinga: “Immaginate di disporre solo di nozioni piuttosto scarse sul declino del mondo antico: potete allora andare a leggervi dei libri sull’argomento per integrare quelle nozioni. Ora però vi capita la fortuna di visitare Ravenna e di vederne i mosaici. Da questo momento in poi quando penserete a quei secoli vedrete sempre il medesimo splendore immobile, il guizzo del verde e dell’oro in San Vitale, il crepuscolo di blu notturno nel mausoleo di Galla Placidia. La vostra immagine storica di quel periodo è illuminata per sempre da quei ricordi. Siamo di fronte solo a un’inutile associazione di idee oppure quei mosaici ci aiutano veramente a capire meglio la storia, cioè a vederla? [Huizinga 1993, p.26]. Non si potrebbe iniziare meglio questo discorso. Le parole del grande storico ci aiutano a capire meglio il confronto fra immagini e storia e a penetrare in quel fascinoso argomento rappresentato proprio dalle immagini della storia.

La storia visuale si basa su documenti visivi, come disegni, grafici, mappe, fotografie. La domanda cui risponde è: “E’ possibile documentare un avvenimento o un periodo storico in mancanza di documenti scritti, facendo uso solo di tracce visive?” Forse per rispondere a questa domanda ci sarà bisogno di un periodo di rodaggio. Per il momento ci accontentiamo di integrare la documentazione scritta con una serie mirata e commentata d’immagini concernenti la questione trattata.

La storia visuale si situa naturalmente nell’ambito della storia culturale. Nel corso del 2004 due importanti volumi, provenienti l’uno dal mondo accademico anglosassone, l’altro da quello francese (Peter Burke, What is Cultural History?, Cambridge, Polity; Philippe Poirrier, Les enjeux de l’histoire culturelle, Paris, Seuil), hanno, ciascuno a suo modo, fatto il punto sullo statuto disciplinare della storia culturale, disegnandone un profilo storico e discutendone le tendenze attuali. Piuttosto che chiudere il discorso, le due pubblicazioni, con la documentazione che mettono a disposizione del lettore, hanno aperto in termini nuovi la possibilità di rivedere natura e caratteristiche della (sotto-) disciplina.

Lo stesso Peter Burke ha avuto modo di allargare il discorso in direzione della storia visuale. Lo storico inglese ritiene che le immagini potrebbero essere assunte dallo storico come “prove” (storiche), allo stesso modo di quelle tradizionali provenienti da archivi di «documenti scritti o dattiloscritti»? Su questo tema bisogna fare riferimento al suo saggio Eyewitnessing. The Use of Images as Historical Evidence.

Burke s’impegna a considerare le immagini come “prove storiche” nonostante lo scetticismo degli storici tradizionalisti, che nutrono ancora riserve verso questo tipo di “documentazione”, riservando alle immagini un ruolo “sussidiario” ai metodi tradizionali di ricerca storica. Ad avviso di Burke, infatti, “gli storici non prendono ancora abbastanza sul serio il valore documentario delle immagini, al punto che in una recente discussione si è giunti a parlare dell’”invisibilità del visivo“. Citando uno storico dell’arte: “Gli storici […] preferiscono avere a che fare con testi e con fatti politici o economici, e non con i livelli più profondi dell’esperienza che le immagini sondano” mentre un altro parla della “condiscendenza verso le immagini che questo implica”.

Molti storici- secondo Burke- usano le immagini o come semplici illustrazioni in un libro lasciandole senza nessuna didascalia, o se ne parlano del testo, come illustrazioni per conclusioni cui sono giunti già con altri metodi, ma mai riservando all’immagine un ruolo principe per «fornire nuove risposte o per porsi nuovi interrogativi» [Testimoni oculari – Il significato storico delle immagini, di Peter Burke, pag. 12, Carocci Editore, Roma 2013].

Un caso diverso è quello offerto da Alessandro Barbero e Chiara Frugoni nel loro libro Medioevo. Storia di voci, racconto di immagini, Laterza, Bari 1999. “La figura, nel Medioevo, impone consensi, esprime bisogni e attese. Allo storico di oggi molte informazioni riguardanti la società, il modo di combattere, lo stato di salute, la religiosità, gli atteggiamenti mentali, sono fornite dal repertorio iconografico. Questo libro privilegia le immagini, largamente commentate, attribuendo loro lo statuto di fonte” [Barbero-Frugoni 1999, p.VII]

La storia culturale ha fatto molti progressi sulla strada della valorizzazione delle immagini, ma non bisogna però dimenticare i grandi precursori di questa disciplina, primo fra tutti Johan Huizinga, con il suo libro “Le immagini della storia”, da cui abbiamo tratto la citazione che ha aperto questo articolo. 

Naturali compagni di strada della Storia visuale sono la Geografia visuale, la Sociologia visuale e l’Antropologia visuale. Queste discipline hanno raggiunto un buon livello di scientificità nei loro settori. Osiamo sperare che simili risultati possano essere raggiunti anche dalla Storia visuale.

Facciamo qualche esempio di ricerca. Nella seconda metà del XX secolo per merito di alcuni studiosi si sono approfonditi temi concernenti  quelle che loro stessi hanno definito “Religioni politiche”, in riferimento a regimi dispotici come il fascismo e il nazismo, che cercavano il consenso con un uso spregiudicato delle immagini e della propaganda. Discorso simile è stato fatto per il comunismo sovietico, in particolare dello stalinismo, sia pure evidenziandone differenze ed elementi originali ed è possibile fare ancora oggi per il comunismo cinese. In questi casi ci si trova a dover analizzare le stesse immagini prodotte dalla propaganda di regime. Un discorso diverso andrebbe fatto per le democrazie occidentali, la cui sfera di persuasione non è interna all’apparato di potere, ma esterna: si pensi ai valori veicolati (per immagini) dal cinema di Hollywood.

La Storia visuale non riguarda solo la modernità. Essa è applicabile a diversi periodi storici. L’accortezza in questi casi è cercare di coniugare nuovi spunti di ricerca con vecchi specialismi, almeno nel caso in cui questo sia possibile.

Ma che cosa può scoprire in definitiva la storia visuale che non sia già in evidenza nelle fonti scritte? Citiamo un caso fornito da [Barbero-Frugoni 1999]: l’esame dell’affresco del Buon Governo del Lorenzetti (1338-39) nel Palazzo Pubblico di Siena, “che tanto esalta il fervore della vita in campagna e in città, permette di constatare l’assenza totale della ruota! Non c’è un carro, si cammina a piedi, seguendo le carovane di muli carichi di balle di lana. Un’osservazione che permette  di dare un contorno più preciso allo scorrere della vita quotidiana, ai suoi ritmi, al paesaggio fisico e mentale degli uomini del Medioevo” [Barbero-Frugoni 1999, p.VIII].

Quando si fa storia bisogna sempre partire dalle fonti. Le prime a dovere essere usate sono quelle primarie come Documenti e materiali di cui si serve lo storico per sostanziare la sua ricerca. Sono tracce dirette e contemporanee di una presenza o di un’attività umana legate all’argomento dello studio (documenti scritti, testimonianze orali, oggetti d’uso, giornali e riviste ecc.).

Sono invece fonti secondarie quelle costituite da opere storiografiche a loro volta frutto di un lavoro condotto su fonti. In particolare, grazie al contributo della Scuola delle Annales (Bloch, Marc, Febvre, Lucien), nel XX secolo il significato di questa espressione si è molto esteso, cosicché dal monopolio quasi assoluto dei documenti scritti si è passato a riconoscere come fonti anche monumenti, fotografie, immagini, prodotti culturali o legati alla «cultura materiale» di un dato contesto.

Il problema è come integrare le varie fonti, specie ora che si pone all’attenzione degli esperti la valutazione delle fonti nate dal web 2.0. Con questi ultimi strumenti di lavoro bisognerà fare i conti in maniera seria, rilevandone le potenzialità ma anche i rischi. In questi casi saranno fondamentali il metodo di ricerca e le sue cautele disciplinari, sottoponendo i materiali a severa verifica. Può essere utile in questa prospettiva fare riferimento agli studi di Visual Culture, considerando della genesi, dello sviluppo e dell’articolazione attuale degli studi sulla cultura visuale, prendendo in considerazione i testi e le idee di una serie di autori attivi negli anni ’20 e ‘30 (Béla Balázs, Walter Benjamin, Siegfried Kracauer, László Moholy-Nagy, Dziga Vertov), e di una serie di autori contemporanei che hanno contributo all’affermazione di campi di ricerca come i visual culture studies, la Bildwissenschaft e la Medienwissenschaft e la théorie de l’image (Alpers, Baxandall, Belting, Bredekamp, Didi-Huberman, Freedberg, Kittler, Siegert, Sturken/Cartwright). In quest’ambito si sono registrati significative acquisizioni nel senso di “critica delle fonti visive”, attivando strumenti ermeneutici che possono essere utili agli storici.

Nel 2021 è uscito un libro di Franco Cardini intitolato Le dimore di Dio in cui lo storico attua una lunga disamina visiva e simbolica dei luoghi “nei quali Egli in qualche modo si manifesta, o la Sua presenza è comunque avvertita, o immaginata, o sognata” [Cardini 2021, p.12]. Il testo intende presentare un ventaglio tipologico-fenomenologico rapsodico, certo, “ma ampio abbastanza da comprendere alcuni dei tratti salienti del presentarsi del sacro e del divino nelle principali culture che si sono avvicendate  nella dinamica della storia umana: sia considerate ciascuna in sé, sia viste nei loro reciproci rapporti e in una prospettiva ce non esclude né l’ottica diffusionista, né quella strutturalista” [Cardini 2021, p.21].

Un altro percorso interessante è quello illustrato da Angela Giallongo sulla storia dei gesti.”Da J.Le Goff, J.C Schmitt, A.Corbin, M.Greilsammer e J.M.Mehl emerge che la ricostruzione dell’evoluzione e dell’organizzazione dei gesti deve tener conto di un insieme di fattori: dagli squilibri di potere fra i due sessi alla lotta fra i gruppi sociali, dai conflitti generazionali all’opposizione fra cultura popolare e d’élite. I gesti, in genere  considerati eterni e naturali, privi di storia e di cultura, non sono immobili e insignificanti. Lavori antropologici e studi etnografici provano l’esistenza di legami fra i gesti di una società e certi aspetti della sua organizzazione e l’incredibile varietà di significati culturali che essi assumono” [Giallongo 1995, p.6]. Anche i gesti hanno una storia e questi sono molto più documentati nel campo del visibile che in quello dei tradizionali documenti scritti.

Ritornando alle origini del nostro discorso ci si potrebbe ancora chiedere: “Che cos’è allora la storia culturale? […] Forse il carattere fondamentale comune a tutti gli storici culturali potrebbe essere identificato nell’interesse  per i simboli e la loro interpretazione [Burke 2004, p.9].

Recentemente l’”antropologia del visivo” ha prodotto altri lavori interessanti, come per esempio l’analisi dei monumenti dal punto di vista storico: “Riguardo al rapporto con la sfera del potere e il suo esercizio, il monumento da un lato corrisponde compiutamente all’esigenza connaturata al potere stesso di autorappresentarsi ed esibirsi in immagine: un’area di ricerca sulla quale ha condotto studi ormai classici Louis Marin […] Dall’altro è esso stesso immagine potente ed efficace, performativa nel senso che induce reazioni e produce risposte nel pubblico, secondo le modalità esplorate dall’approccio altrettanto classico di David Freedberg [Piretto 2014, p.18].

In conclusione possiamo dire che questo nuovo terreno di ricerca pone delle sfide interessanti a menti aperte e a spiriti liberi.

Antonio De Lisa

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Riferimenti bibliografici

[Barbero-Frugoni 1999], Alessandro Barbero e Chiara Frugoni, Medioevo. Storia di voci, racconto di immagini, Laterza, Bari 1999.

[Burke 2004], P. Burke, What is Cultural History?, Cambridge, Polity 2004 (tr.it. La storia culturale, Il Mulino, Bologna 2009].

[Burke 2013] P. Burke, Testimoni oculari – Il significato storico delle immagini, pag. 12, Carocci Editore, Roma 2013.

[Cardini 2021], F. Cardini, Le dimore di Dio. Dove abita l’eterno, Il Mulino, Bologna 2021.

[Giallongo 1995], A.Giallongo, L’avventura dello sguardo. Educazione e comunicazione visiva nel Medioevo, Dedalo, Bari 1995.

[Ginzburg 1992], C. Ginzburg, Miti emblemi spie. Morfologia e storia, Einaudi, Torino 1992.

[Ginzburg 1994], C. Ginzburg, Indagini su Piero. Il battesimo, il ciclo di Arezzo, La flagellazione di Urbino, Nuova edizione con l’aggiunta di quattro appendici, Einaudi, Torino 1994.

[Huizinga 1940], J.Huizinga, Herfstij der Middeleeuwen (tr. It. L’autunno del Medioevo, Sansoni Firenze 1940, IV edizione 1978).

[Huizinga 1993], J.Huizinga, Le immagini della storia, Scritti 1905-1941, Einaudi, Torino 1993.

[Landes 1983], D.S.Landes, Revolution in time, by the President and Fellows of Harvard College (tr.it. L’orologio nella storia. Gli strumenti di misurazione del tempo e la nascita del mondo moderno, Mondadori, Milano 2009, I ed.1984)].

[Panofsky 1939], E.Panofsky, Studies in Iconology, Oxford University Press, New York 1939 (tr. It. Studi di iconologia. I temi umanistici nell’arte del Rinascimento, Einaudi, Torino 1999)].

[Piretto 2014, G.P.Piretto (a cura di), Memorie di pietra. I monumenti delle dittature, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.

[Poirrier 2004], P. Poirrier, Les enjeux de l’histoire culturelle, Paris, Seuil 2004.


Antonio De Lisa

[Docente di Storia]

www.storiografia.org

www.visualhistory.eu

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