Antonio De Lisa- Basilicata medievale
Il nome compare per la prima volta in un documento del 1175 e sembra derivare da quello del funzionario bizantino (basilikos) che amministrava nel sec. XI parte dell’antica Lucania.
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Le invasioni
Alla fine del V secolo la Lucania era già ampiamente cristianizzata. Si è ritenuto, su basi a quanto pare non certe, che il cristianesimo abbia fatto la sua comparsa nella Lucania et Bruttii già verso la fine del sec. III; ma le prime notizie sicure circa l’esistenza di vescovi (Stefano a Venosa) e di sedi episcopali (Venusium, Acheruntia, Grumentum, Potentia, Metapontum) risalgono al sec. V. A fronte comunque delle scarse notizie documentarie si deve registrare una certa abbondanza di testimonianze archeologiche che permettono di colmare un apparente vuoto storico. Dopo la caduta dell’impero romano La Basilicata restò in possesso bizantino.
I primi secoli del Medioevo furono caratterizzati dal contrasto fra Greci accampati sulle coste e Goti prima, e Longobardi poi, prementi dall’interno. Nel 402 i Goti di Alarico invasero Potenza, poi, nel secolo successivo, questa fu aggregata dai Longobardi al ducato di Benevento, da cui si staccò nella divisione dell’847.
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La conquista longobarda
Nel 568 la Basilicata fu conquistata dai longobardi, entrando a far parte del Ducato di Benevento.
Nel 568 il re Alboino varcò le Alpi con circa 300.000 uomini e marciò sulla pianura Padana dove solo la città di Pavia riuscì a resistere per lungo tempo. Gran parte della popolazione padana fuggì verso il Veneto, andando a occupare le isole della laguna. Molti fuggirono lungo la costa, in città inattaccabili dai Longobardi che non possedevano una flotta. L’Italia viveva in quel tempo un periodo di pace dopo la riconquista giustinianea. La sede della capitale era stata portata a Ravenna, era stato esteso anche all’Italia il Corpus Iuris Civilis e la burocrazia bizantina aveva imposto pesanti tributi. In un primo tempo i Longobardi non formarono un Regno unitario; divisi in gruppi familiari (fare) comandati da duchi, spezzettarono il territorio in ducati il cui numero arrivò a 35. L’Italia settentrionale fu divisa in due parti: la Longobardia (da cui deriverà “Lombardia”), comprendente le terre conquistate dai Longobardi, e la Romània (da cui deriverà “Romagna”), cioè i territori rimasti ai Bizantini. I ducati maggiori furono quelli del Friuli, di Trento, di Spoleto e Benevento; molti Longobardi si stanziarono anche in piccoli centri o fondarono nuove città. Cacciata la burocrazia bizantina si impadronirono di terre e ridussero la popolazione romana a una condizione quasi servile. Alla morte di Alboino (572) e del suo successore Clefi (574), entrambi assassinati, ci fu un periodo di anarchia fino al 584 quando prese il potere Autari, che diede vita a un vero e proprio Regno. Per rafforzare il potere centrale, Autari si fece consegnare dai duchi la metà dei loro possessi e costituì un demanio regio che affidò a suoi funzionari (gastaldi). Ad Autari succedette Agilulfo (590-615) che ne sposò la vedova Teodolinda di religione cattolica e che si convertì a sua volta al Cattolicesimo seguito da gran parte della nobiltà longobarda.
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Il Principato di Salerno
Nella divisione del ducato di Benevento, la Basilicata passò al nuovo principato di Salerno (847) quasi per intero.
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Le incursioni saracene
Le incursioni saracene portarono le popolazioni locali all’abbandono degli abitati in pianura e in prossimità della costa, a favore di centri protetti sulle alture. Tricarico e Tursi conoscono una dominazione araba di più lunga durata che inciderà profondamente sulla struttura stessa degli abitati, che hanno conservato testimonianze ancora oggi ben visibili nei quartieri della ràbata e della saracena a Tricarico e della rabatana a Tursi.
Con il nome di Saraceni (di etimologia incerta, probabilmente da un termine arabo, sciarkîn, che deriva da una radice che indica il “sorgere” del sole, e che ha quindi il significato di “orientali”) venivano indicati solitamente in Occidente i musulmani. Tra l’827 e l’878 questi occuparono la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e le Baleari, e fecero scorrerie lungo tutte le coste meridionali italiane, giungendo fino a Roma e a Ostia. In questo periodo l’Italia era nelle mani del franco Ludovico II. I Saraceni saccheggiarono le basiliche di san Pietro e di san Paolo e furono poi allontanati da una flotta che proveniva da Napoli e Amalfi. Roma fu fortificata e fu intrapresa una spedizione punitiva contro gli invasori, cacciati dal Ducato di Benevento, poi diviso nei principati di Salerno e Benevento. Un nuovo attacco nell’849 fu respinto dalle flotte di Amalfi, Napoli e Gaeta. Con l’avvento di Carlo il Calvo fu tolta la tutela imperiale su Roma, che rimase indifesa ed esposta nuovamente agli attacchi saraceni. Nel 915 le città meridionali, unite in una Lega, eliminarono la base saracena sul fiume Garigliano, quella da cui erano partite le incursioni più pericolose. Dopo un lungo periodo di lotte per il potere e di contesa della dignità pontificia, la calma fu ristabilita dall’imperatore Ottone I nel 964. Degli imperatori sassoni, solo Ottone II affrontò i Saraceni nel 982, ma ne fu sconfitto. Saranno i Normanni, nel nuovo millennio, a riconquistare i territori meridionali. Nonostante le disastrose scorrerie, il dominio saraceno in Sicilia ebbe anche aspetti positivi, soprattutto in ambito filosofico—scientifico, ma anche in quello agricolo con l’introduzione, a esempio, della coltivazione degli agrumi.
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La conquista bizantina. Il thema di Lucania
Nel 968, dopo la conquista bizantina, venne costituito il thema di Lucania, con capoluogo Tursikon (attuale Tursi). Nel 1059 con la conquista normanna, il thema scomparve e Melfi divenne una delle sedi del potere regale.
In questi secoli si registrò una grande espansione delle comunità monastiche sia greche, con Saba, Luca, Vitale e Nilo di Rossano, sia benedettine; esse rivestirono un ruolo di primo piano nello sviluppo e nelle scelte artistiche della regione. Fu proprio grazie alla presenza di monaci di rito greco provenienti dalla Sicilia e dalla Calabria che la Lucania tra i secc. 9° e 11° vide sorgere numerosi monasteri fortificati, cenobi, chiese sia sub divo sia in grotta, laure, assumendo quell’aspetto così ben caratterizzato che ne fa ancora oggi una regione unica. Sorse così alla metà del sec. X una prima grande comunità monastica nella regione del Mercurion, da collocare in un antico centro fortificato sulle sponde del fiume Lao presso S. Maria del Mercure; una seconda nel Latinianon, situato nel medio corso del Sinni. Alla fine del sec. X fu fondato, per opera di Luca di Armento, il monastero di S. Elia a Carbone, sede tra il sec. X e il XII di un importante scriptorium. A S. Vitale infine si fa risalire la fondazione, sul monte Raparo, del monastero dedicato a s. Michele Arcangelo.L’influenza dei Benedettini si fece invece sentire in modo preponderante in età più tarda; anche se presenti sul territorio già in periodo altomedievale, fu solo con l’avvento dei Normanni che queste comunità monastiche raggiunsero l’apice della loro potenza: si registrano così numerose fondazioni (SS. Trinità di Venosa, S. Michele Arcangelo a Montescaglioso, S. Maria di Banzi, S. Maria a Montepeloso, ecc.), molte delle quali volute o legate alla casa degli Altavilla.La conquista normanna della Lucania (1042) comportò un ulteriore frazionamento della regione, divisa in nuove contee: Acerenza, per es., fu assegnata al conte di Puglia Guglielmo d’Altavilla, già conte di Matera, cui fu anche data la contea di Ascoli e affidata la città di Melfi, divenuta in seguito capitale dello stato normanno.
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La conquista normanna
La conquista normanna iniziò un nuovo frazionamento della regione, riunita solo dopo la riorganizzazione della monarchia (1130). Allora il nome Basilicata fu dato ai bacini dei cinque fiumi sfocianti nello Ionio, ai quali appunto si estende l’odierna regione. Capitale dello Stato normanno fu dapprima Melfi.
I Normanni provenivano dal Ducato di Normandia, terra dove si insediarono alcuni vichinghi giunti dal Nord Europa che ottennero dal re francese Carlo il Semplice il permesso di restare in Normandia. I Normanni in seguito giunsero in Italia meridionale (inizio XI secolo) dove vennero usati da vari signori longobardi (come il principe di Salerno) come guerrieri mercenari. Gruppi di guerrieri mercenari normanni si posero al servizio sia dei Bizantini, sia delle città loro avversarie, sia dei duchi longobardi. Nel 1030 il capo normanno Rainolfo Drengot ottenne dal duca di Napoli, per cui aveva combattuto, la signoria di Aversa, a cui si aggiunse quella di Gaeta.
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Roberto il Guiscardo
Roberto il Guiscardo, della famiglia degli Hauteville (Altavilla), signori di Coutances in Normandia, dopo un periodo di lotta con il Papato, culminato nella vittoria di Civitate (1056), ne divenne il principale alleato, sostenendolo militarmente nella lotta per le investiture contro l’Impero. Roberto il Guiscardo conquistò Puglia, Calabria e Campania, mentre il fratello Ruggero, al termine di una guerra durata dal 1061 al 1091, tolse la Sicilia agli emirati arabi di Palermo. Fallì invece il suo tentativo di espansione verso l’Impero bizantino poiché, sbarcato a Corfù e a Durazzo, fu costretto a tornare in Italia per domare una rivolta scoppiata in Puglia e per salvare il papa Gregorio VII da Enrico IV (1084).
Tra i secc. XI e XII si situano le costruzioni di numerosi edifici ecclesiastici voluti dai Normanni, che già agli inizi della loro dominazione attuarono, in accordo con la Chiesa di Roma, una rilatinizzazione della regione avvalendosi dell’opera e dell’organizzazione dei monaci benedettini, sia cassinesi sia cluniacensi. Il riflesso di questa operazione si coglie in maniera tangibile in alcuni edifici, per es. nella c.d. Incompiuta di Venosa e nella cattedrale di Acerenza, che presentano affinità icnografiche con costruzioni d’Oltralpe, e in tutta una serie di fondazioni sempre legate alla dinastia normanna.
La chiesa di Santa Maria Assunta e San Canio vescovo è il duomo di Acerenza e cattedrale dell’arcidiocesi omonima. L’attuale cattedrale fu edificata tra l’XI ed il XIII secolo sui resti di una precedente chiesa paleocristiana, che a sua volta fu eretta su ciò che rimaneva di un antico tempio d’epoca romana dedicato ad Ercole Acheruntino. Secondo la tradizione, la diocesi di Acerenza fu fondata durante il pontificato di papa Marcellino (296-304), ma è dopo la conquista Normanna della regione (metà dell’XI secolo) che essa acquisì importanza, con l’elevazione ad arcidiocesi metropolitana. I lavori di costruzione iniziarono con il vescovo Godano, il primo ad avere il titolo di arcivescovo, ma proseguirono e terminarono con il suo successore, Arnoldo, che, grazie a maestranze francesi, messe a disposizione dai Normanni stessi, ultimò l’opera: la consacrazione della chiesa è del 1080.
Nel 1456 la cattedrale romanica subisce gravi danni a causa di un terremoto; inoltre, a causa di una lunga serie di arcivescovi non residenziali, l’edificio cade in stato di abbandono. Solo con la prima metà del XVI secolo inizia il restauro completo della chiesa, cui vengono aggiunti il nuovo campanile (1555) e la cripta (1524).
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Il Regno di Sicilia
Nel 1130, a opera di Ruggero II (1095-1154), figlio del Guiscardo, fu costituito il Regno di Sicilia, che riuniva tutto il Mezzogiorno nelle mani dei Normanni. Ruggero II emanò una legislazione valida per tutto il territorio, rispettando però anche le norme locali. Il Regno fu diviso in diverse circoscrizioni (giustizierati), ognuna retta da due funzionari (un giustiziere e un camerario) di nomina regia. I maggiori dignitari del Regno, con funzioni di giurisdizione, si riunirono attorno al re nella Magna Curia, primo nucleo di un’amministrazione centrale. Alla morte del re Guglielmo II (1189) la sua erede Costanza d’Altavilla (1146-1198), moglie dell’imperatore Enrico VI, legò le sorti del Regno di Sicilia a quelle dell’Impero trasmettendo il Regno al figlio Federico II di Svevia.
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Federico II di Svevia
Nel 962 Ottone I era stato nominato imperatore a Roma. Unendo la corona di Germania a quella imperiale, aggiunse al Sacro Romano Impero la denominazione “della nazione germanica”. Alla morte dell’ultimo sovrano della casa di Franconia vi fu una lotta tra i maggiori principi tedeschi che, divisi in due opposti schieramenti (Guelfi e Ghibellini), sostenevano due diversi candidati al trono imperiale. Nel 1152 fu eletto re di Germania Federico I di Svevia (detto il “Barbarossa”) che, figlio di un Hohenstaufen ghibellino e di una guelfa, riuscì a risanare i contrasti. Federico scese in Italia ben cinque volte per tentare di richiamare all’ordine i Comuni, ma senza successo e con la Pace di Costanza del 1183 dovette riconoscere la loro autonomia. Facendo sposare il figlio Enrico VI con Costanza, l’unica erede del Regno normanno, riuscì a ottenere il dominio dell’Italia meridionale. Nel 1215 con l’appoggio di papa Innocenzo III, fu incoronato imperatore Federico II di Svevia, figlio di Enrico VI. Anche questi lottò a lungo con i Comuni italiani all’interno dei quali si formarono schieramenti favorevoli all’Impero e schieramenti opposti (che presero anch’essi il nome di Ghibellini e Guelfi). Morto l’imperatore, ripresero in Germania e in Italia le lotte per il potere. In Italia il potere degli Angioini (chiamati dal papa e dai Guelfi) fu contrastato dagli Aragonesi (che si imposero in Sicilia) e dall’imperatore Enrico VII di Lussemburgo che morì prima di raggiungere il Sud.
Alla morte di Innocenzo III gli succedette nel 1216 Onorio III che incoronò Federico a Roma nel 1220. Federico restituì alla Chiesa i beni lasciati in eredità da Matilde di Canossa e fece riconoscere dal papa l’unità nella persona dell’imperatore di Germania e Sicilia, pur nella loro separazione giuridica. Nel 1227 il nuovo papa Gregorio IX scomunicò Federico con l’accusa di non aver indetto una crociata pur promessa. Nel 1228 l’imperatore partì per la crociata e attraverso un trattato stipulato col sultano d’Egitto recuperò Gerusalemme, Betlemme e Nazareth. Nello stesso tempo il papa invadeva i suoi domini in Italia. La pacificazione avvenne col Trattato di San Germano (1230): Federico restituì i territori tolti alla Chiesa durante la lotta e rinunciò alle investiture. In Sicilia Federico riorganizzò l’amministrazione dei suoi domini; con le Costituzioni Melfitane del 1231 fissò tasse pesanti ma distribuite equamente, emanò misure per favorire il commercio e l’attività manifatturiera. In Germania, affidato il governo al figlio Enrico, concesse ampi privilegi ai signori feudali; per questo il figlio gli si ribellò nel 1234 ma fu sconfitto e tenuto prigioniero fino alla morte (1242), mentre la corona tedesca passò al fratello Corrado. Nuovi motivi di contrasto vennero dalle rivendicazioni autonomistiche dei Comuni dell’Italia settentrionale e dall’ostilità della Chiesa per il sostegno dato da Federico alla rinascita del Comune di Roma e per l’erezione della Sardegna, feudo della Santa Sede, a Regno autonomo retto dal figlio Enzo (1238). Nel 1237 Federico sbaragliò le forze comunali a Cortenuova. Gregorio IX lo scomunicò nel 1239; Federico reagì cacciando gli ordini mendicanti, confiscando i beni ecclesiastici (tranne quelli siciliani) e affidando le sedi vescovili a persone di fiducia. In Italia si crearono due opposte fazioni: i Ghibellini, favorevoli all’imperatore, e i Guelfi, dalla parte del papa. Il nuovo papa Innocenzo IV, in un Concilio a Lione, dichiarò deposto l’imperatore che fu anche abbandonato da alcune forze ghibelline tra cui la città di Parma. Nel 1250, mentre si accingeva a un’altra campagna nel nord Italia, morì improvvisamente in Puglia.
Federico II di Svevia soggiornò a Melfi nel 1225 e nel 1231, anno in cui vennero emanate le Constitutiones regni Siciliae (“Costituzioni di Melfi”), e in quegli anni, venne costruito il castello di Lagopesole. Le Costituzioni di Melfi (dette anche Liber Augustalis) costituiscono una, ma anche la più proficua, delle manifestazioni della cultura di Federico II di Svevia. Furono promulgate nel 1231 dall’imperatore svevo nella città di Melfi, e raccolte nel Liber Augustalis. Esse prevedono norme e leggi, che regolamentano il vivere comune.
Alla generale opera di rinnovamento e di pianificazione territoriale attuata da Federico II va ricondotta la ricostruzione di una serie di castelli, distribuiti in Basilicata e già esistenti all’epoca della dominazione normanna, in cui intervennero architetti e scultori all’opera nelle coeve costruzioni fortificate pugliesi: il castello di Lagopesole, in cui è possibile riconoscere soluzioni presenti in castelli dell’Oriente crociato, e quello di Melfi, rimaneggiato all’epoca di Carlo d’Angiò, cui si deve aggiungere il meno noto castello di Palazzo San Gervasio, bisognoso di riparazioni nel 1280. A età sveva e poi angioina va ascritta la costruzione della cattedrale di Matera (compiuta nel 1270) e della chiesa di S. Maria Nuova o di S. Giovanni Battista, i cui corredi scultorei sottolineano la contemporaneità di esecuzione e la compresenza di comuni maestranze; allo stesso tempo però le diverse soluzioni icnografiche attuate attestano, per la cattedrale, la ripresa di tipologie diffuse in Puglia tra i secc. XI e XII, mentre per il S. Giovanni (in costruzione ancora nel 1233) l’adozione di forme di origini francesi mediate dall’architettura di Terra Santa (G. Bertelli Buquicchio).
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Frantumazione territoriale
Tra il sec. XI e il XII la regione non costituì una provincia a sé: era infatti divisa tra la Calabria e il principato di Taranto. Solo con Federico II essa divenne con certezza un giustizierato autonomo (1239) e la regione del Vulture uno dei centri politici più importanti del regno. I confini sono noti attraverso un documento del 1273: a N comprendevano la regione del Vulture e l’alto bacino dell’Ofanto; verso S il Sinni; a E giungevano, escludendoli, fino ai territori di Montemilone e Spinazzola; a O fino al versante orientale dei monti della Maddalena e dell’alta conca del Platano. Matera fino al 1663 fece parte della Terra di Bari. Tali confini rimasero pressoché inalterati attraverso il tempo e le varie dominazioni succedutesi; solo nei primi anni del sec. XIX alla regione furono aggregati alcuni paesi della valle del Melandro, staccati dalla prov. di Salerno, e alcuni della prov. di Cosenza sul versante ionico.
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Le lotte tra Angioini e Aragonesi
Il testamento di Federico designava erede della dignità imperiale e del trono tedesco il figlio Corrado IV e suo vicario nel Regno di Sicilia il figlio naturale Manfredi. Questi contrastò le mire del Papato sul Regno normanno e si mescolò alle lotte tra Comuni e fazioni cittadine (sostenne i Ghibellini di Firenze che col suo aiuto sconfissero i Guelfi a Montaperti). Il pontefice Clemente IV, preoccupato di un nuovo predominio svevo, offrì la corona del Regno di Sicilia a Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX e signore di Provenza e di terre del Piemonte. Carlo batté Manfredi a Benevento (1266) e vani furono due anni dopo i tentativi di riconquista dell’ultimo degli Svevi, Corradino, figlio di Corrado IV, che, sedicenne, fu decapitato sulla piazza a Napoli. A Palermo scoppiò una rivolta (1282), i cosiddetti “Vespri siciliani”, appoggiata da tutta l’isola, che costrinse gli Angioini a fuggire. I ribelli chiesero aiuto a Pietro III d’Aragona, genero di Manfredi. Tra Angioini e Aragonesi scoppiò una lunga guerra (Guerra del Vespro) che si concluse nel 1302 con la Pace di Caltabellotta con la quale la Sicilia sarebbe passata agli Aragonesi fino alla morte del figlio di Pietro che ne era diventato reggente. I patti non furono rispettati e l’isola passò di fatto sotto il controllo aragonese. Nel frattempo, in Germania, alla morte di Federico II era seguito un periodo detto di interregno (1250-1273) perché i principi tedeschi non riuscirono a trovare un successore. I piani di restaurazione imperiale furono ripresi da Enrico VII di Lussemburgo eletto imperatore nel 1308. Egli scese in Italia, di cui si fece incoronare re, ma fu avversato da Roberto d’Angiò e morì prima di poterlo affrontare. I suoi successori, della casa di Lussemburgo, si disinteressarono completamente dell’Italia.
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La crisi demografica del XIV secolo
Nel XIV secolo la Lucania attraversò una profonda crisi demografica, attribuibile probabilmente alla “cacciata dei Saraceni” ordinata da Carlo d’Angiò. La famiglia Caracciolo ottenne la signoria su Melfi e diversi altri feudi.
Nella seconda metà del XV secolo si ebbe una generale ripresa economica e demografica, anche in seguito all’arrivo di profughi dalle regioni dell’Impero bizantino in seguito alla caduta di Costantinopoli.
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La Congiura dei baroni
La Basilicata fu teatro della famosa Congiura dei baroni ordita nel 1485 dal principe di Salerno Antonello II dei Sanseverino consigliato da Antonello Petrucci e Francesco Coppola, ai danni del re di Napoli Ferdinando I di Napoli che coinvolse molte famiglie feudatarie di signori e baroni del regno della fazione guelfa favorevoli agli angioini, tra cui oltre i Sanseverino, conti di Tricarico, si ricordano i Caracciolo principi di Melfi, i Gesualdo marchesi di Caggiano, i del Balzo-Orsini principi di Altamura e di Venosa, i Guevara principi di Teramo, i Senerchia conti di S.Andrea e Rapone, che si riunirono nel Castello del Malconsiglio di Miglionico (detto anche della congiura dei Baroni). La Congiura fu narrata dallo Storico Camillo Porzio nella sua più celebre opera, La congiura dei Baroni del regno di Napoli contra il re Ferdinando I.
La storia di questo periodo è tutta percorsa dai contrasti dinastici e dagli urti tra Corona e feudatari, e di questi tra loro, finché nella prima metà del Cinquecento la Baslicata, con tutto il Regno di Napoli, passò sotto il dominio spagnolo.
Carlo V di Spagna tolse i loro domini ai feudatari precedenti, a cui subentrarono le famiglie dei Carafa (principi di Stigliano), Revertera, Pignatelli e Colonna. La Basilicata fu in gran parte sottoposta alla giurisdizione di Salerno, mentre Matera e la Murgia fecero parte della Terra d’Otranto. Con l’avvento della nuova classe dirigente, estranea al territorio di cui godeva il possesso, e con lo spostamento dei traffici commerciali dal Mediterraneo all’Atlantico, i feudi lucani furono considerati pura fonte di reddito e i nuovi baroni prestarono scarsissimo interesse al miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei propri possedimenti.
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Appendice
1. Catalogus Baronum
Il Catalogus Baronum (Catalogo dei Baroni) è la lista di tutti i vassalli e dei relativi possedimenti compilata dai normanni all’indomani della conquista del sud Italia. Fu redatto verso la metà del XII secolo dalla Duana Baronum, l’ufficio regio preposto agli affari feudali, che lo mantenne aggiornato per gli anni a venire costituendo il suo principale strumento di lavoro. Secondo alcuni era redatto sul modello della dîwân al-majlis, introdotta in Sicilia dai precedenti governanti Fatimidi per il controllo del trasferimento di proprietà delle terre. Il nome duana deriva dall’arabo dîwân, e a sua volta ha dato origine al termine italiano dogana.
L’ufficio della Duana baronum
La duana baronum fu esportata dai normanni nel resto del regno per affrontare e risolvere l’annoso problema posto dalla scarsa collaborazione offerta dai signorotti locali verso il governo centrale a causa dalla poca conoscenza che il governo aveva delle loro disponibilità.
Questo nuovo ufficio, il cui personale era principalmente formato da Saraceni, aveva sede a Salerno, con giurisdizione su tutto il regno eccetto che su Calabria e Sicilia (aree più stabili e sotto il diretto controllo regio), occupandosi anche di:
- gestire le terre regie e le proprietà demaniali
- autorizzare la vendita delle terre
- controllare l’operato dei baroni
Per ottemperare a questi compiti, nel Catalogus Baronum furono raccolte informazioni dettagliate sui singoli signori riguardo alle loro disponibilità patrimoniali (castelli, fortezze, terreni) oltre all’entità delle forze in armi e di quelle mobilitabili. Il Catalogo quantifica, inoltre, anche quanto ciascuno di loro doveva fornire al re in occasione della sua partecipazione alle crociate o per la difesa del regno dalla minaccia araba.
La Duana Baronum grazie al suo Catalogo riuscì effettivamente a controllare la periferia ed assicurare stabilità al regno, perché dalla sua istituzione, e per molti anni, scomparvero le rivolte baronali. Si può quindi affermare che la creazione di quest’ufficio rappresentò una delle più importanti tappe per la centralizzazione del sistema amministrativo normanno.
Oggi lo studio del Catalogus Baronum risulta preziosissimo per accertare l’identità dei signori, l’estensione delle loro proprietà e, quindi, ricostruire la storia e la toponomastica dei luoghi citati. Ad esempio da esso si evince che, giungendo dalla Francia, i normanni nel prendere possesso di queste nuove terre assumevano abitualmente quello delle possedimento che erano chiamati a governare (ad es. Sanseverino, Loritello ecc.)
Cenni storici
Il Catalogo venne creato da Ruggero II tra il 1150 e il 1152. La redazione del catalogo seguì di pochi anni la convocazione delle Assise di Ariano, con le quali Ruggero stabilì una sorta di nuova costituzione del Regno e nuovi e maggiormente definiti rapporti con i feudatari.
Nel corso della rivolta contro Guglielmo I del 1161, il Catalogo venne gettato, insieme a quasi tutti gli altri documenti amministrativi del Regno, nel grande falò acceso nel cortile del palazzo reale, e andò distrutto. Dopo la soppressione della rivolta, il Catalogo venne ricostruito — largamente a memoria, un’impresa titanica — da Matteo D’Ajello; l’opera venne completata nel 1166 sotto Guglielmo II.
Rimase poi in uso fino al passaggio del Regno di Sicilia agli Hohenstaufen, nel 1194, per essere poi gradualmente assorbito dall’amministrazione imperiale.
Contenuto
Il Catalogus Baronum è il nome collettivo (non originale, ma usato in età moderna) di tre testi presenti nei registri angioini (n. 242 da 1322, fol. 13-63) che contengono dati feudali sul ducato di Puglia e sul principato di Capua. La maggior parte è costituita dal Quaternus magne expeditionis (nn. 1-1262), iniziato durante il regno di Ruggero II, negli anni 1150-52, e rivisto nel periodo 1167-68. Secondo Jamison fu preparato in vista della difesa militare (magna expeditio) dall’alleanza greco-tedesca. Gli inserimenti sono in ordine geografico e cominciano con la Terra di Bari indicando se il feudo è stato assegnato direttamente dal re oppure se era di un vassallo minore, il nome del feudatario, il nome del feudo, la valutazione in unità di soldati (milites) che può fornire e il rendimento totale cum augmento. Durante la revisione del 1167-68, che riguardò principalmente gli Abruzzi, ma anche in parte la Puglia, furono usati quaterniones curie. La seconda parte (nn. 1263-1372) è un altro registro normanno, stilato intorno al 1175, contenente i cavalieri di Arce, Sora ed Aquino. La terza parte è del periodo svevo (circa 1239-40) e contiene i feudatari secolari (Nr. 1373-1427) e clericali (nn. 1428-1442) della Capitanata. Il testo presente nel registro angioino è tratto dalla copia sveva.
Edizioni
- Carlo Borrelli, Vindex Neapolitanae nobilitatis, Napoli 1653 (appendice: Catalogus Baronum Neapoiitano in Regno versantium)
- Giuseppe Del Re, Cronisti e scrittori sincroni della dominazione normanna nel Regno di Puglia e Sicilia , I. Normanni. Napoli 1845
- Evelyn Jamison, Catalogus Baronum (Fonti per la storia d’Italia, 101) Roma 1972
- Errico Cuozzo, Catalogus baronum. Commentario (Fonti per la storia d’Italia, 101**) Roma 1984
Bibliografia
- Bartolomeo Capasso, Sul catalogo dei feudi e dei feudatari delle provincie napoletane sotto la dominazione normanna, Atti dell’Accademia di Archeologia, Letteratura e Belle Arti, s. I, IV, 1868, pp. 293-371
- Ignazio Poma, Sulla data della composizione originaria del Catalogus Baronum, Archivio Storico Siciliano XLVII, 1926/27, pp. 233-239
- Evelyn Jamison, Additional Work on the Catalogus baronum, Bullettino dell’Istituto Storico Italiano, LXXXIII, 1971, pp. 1-63.
- John Julius Norwich, I Normanni nel Sud 1016-1130, Mursia: Milano 1971 (ed. orig. The Normans in the South 1016-1130, Longmans: Londra, 1967)
- John Julius Norwich, Il Regno del Sole 1130-1194, Mursia: Milano 1971 (ed. orig. The Kingdom in the Sun 1130-1194, Longman: Londra, 1970).
- Horst Enzensberger, Catalogus baronum, in Lexikon des Mittelalters II, 1983, p. 1570 e segg.
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2. Costituzioni di Melfi
Proemio
Queste rappresentano un corpo di leggi che partendo dal Corpus Iuris Civilis di Giustiniano sono state adattate al nuovo sistema imperiale e tali da dare allo Stato un’impronta unitaria i cui poteri saranno da quel momento accentrati in una sola persona: l’imperatore. La volontà principale di Federico II era di ristabilire l’autorità imperiale, improntandola all’assolutismo romano, limitando i poteri e i privilegi acquisiti nel tempo dalle locali famiglie nobiliari e dai prelati. Infatti il richiamo alle leggi del “Corpus Iuris Civilis” è chiaro fin dal proemio, in cui Federico II si proclama Felix Pius Victor et Triumphator, esattamente come fece Giustiniano nel Proemio delle Istituzioni.
Molti sono, sempre nel Proemio i richiami alla Bibbia come, per esempio, all’inizio i richiami alla Creazione in cui Dio, considerando l’uomo come la più degna delle creature, forgiata a sua immagine e somiglianza fu destinata a comandare tutte le altre creature (a globo circuli lunaris inferius hominem,creaturarum dignissimam ad ymaginem propriam effigiemque formatam, quem paulo minus minuerat ab angelis, consilio perpenso disposuit preponere ceteris creaturis). Lo scontro con il papa nella Lotta per le investiture radicalizzò maggiormente il testo. Così la reazione di Federico II fu un’accentuazione marcata della sacralizzazione del potere temporale degli imperatori.
Il testo
In altri termini il potere tornava pienamente nelle mani dell’imperatore, il quale era affiancato dalla Magna Curia, il consiglio dei principali funzionari imperiali, di cui il «maestro giustiziere» e il «maestro camerario» erano i rappresentanti più autorevoli; dalla Magna Curia dipendevano poi tutti gli altri funzionari.
Lo scopo di tale riorganizzazione legislativa era soprattutto quello di ricercare la pace nel regno, grazie alla quale garantire un progresso dell’economia che potesse incrementare le risorse finanziarie necessarie alla politica imperiale. Le Costituzioni affrontarono per la prima volta il problema sanitario con la regolamentazione delle attività di pulizia delle città (butti) e delle botteghe artigiane conciarie.
La stesura delle Costituzioni, pensata e avviata già nel 1230, dopo che aveva partecipato alle Crociate in Gerusalemme, venne affidata ad un’assemblea legislativa formata dai giuristi più noti dell’epoca quali Pier delle Vigne, notaio a Capua, Michele Scoto, filosofo e matematico scozzese, Roffredo di Benevento, nonché abati e arcivescovi di grande cultura come Giacomo Amalfitano e Berardo di Castacca.
Strutturalmente comprendevano quattro organizzazioni dello Stato: lo Stato, in cui si definivano i poteri del sovrano; la Giustizia, affidata al Maestro generale di Giustizia; la Finanza, affidata ai Maestri Camerari; il Feudo. Tutto il complesso giuridico si esplicava attraverso 3 Libri per un totale di 259 Titoli. Il primo comprendeva 109 Titoli riguardanti il diritto penale. Il secondo libro, 52 titoli, trattava elementi di procedura civile e penale. Il terzo libro, 94 Titoli, del diritto feudale, della proprietà e dei diritti di famiglia.
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Categorie:A00.09- Visioni della devozione e della mentalità religiosa, C02- Basso Medioevo, F10.04- Storia del Sud, P60.03- Basilicata
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