Antonio De Lisa– La “funzione Ives”
nella musica del Novecento
E’ opinione di chi scrive che chi intende proporre una lettura storiograficamente attenta della musica del Novecento non potrà fare a meno di percorrere sentieri poco battuti che lo esporranno alle insidie di molti rischi e fraintendimenti. Il meno perlustrato di questi sentieri è quello che si potrebbe immaginare popolato da grandi figure di “irregolari e di isolati”: Charles Ives, Ivan Wyschnegradsky, Giacinto Scelsi, per nominarne solo alcuni.
Appare subito non facile catalogare queste figure nelle rubriche delle innovazioni “progressive” e moderniste (la linea Schoenberg-Webern-Stockhausen-Boulez), che abbracciano le avanguardie storiche e le neo-avanguardie del secondo dopoguerra; così come in quella dei tradizionalismi con infiltrazioni sperimentali (Stravinsky e Bartok); per non parlare di quella dei neo-classicismi senza residui (Hindemith). Ci sono elementi perspicui che separano gli elementi centrali delle composizioni di questi grandi “irregolari e isolati”, volta a volta, da ciascuna di queste grandi categorie storiche. [1]
Se ipotizziamo l’esistenza di una vasta area di musiche a-tonali, o semplicemente non-tonali, al di fuori dell’influenza seriale di “matrice seriale”, che escono dal mondo delle categorie dialettiche (al cui centro regna l’antitesi consonanza/dissonanza), dovremo saggiare la possibilità di attribuire una connotazione storicamente e concettualmente precisa alla sperimentazione e costruzione personale di un mondo sonoro svincolato dall’idea della normatività della legge. Ognuno di questi mondi sonori si regge su se stesso in virtù della coerenza che riesce a giustificare esteticamente. In questo universo sonoriale non ha corso l’antitesi consonanza/dissonanza, tanto è vero che le ottave, le quinte e le terze – per fare un esempio- hanno libero diritto di cittadinanza; piuttosto la tendenza è quella di opporre una naturalità del suono a quella di qualsivoglia sistema sonoro. Dovremo, comunque, guardarci dall’errore di isolare queste figure di “irregolari e di isolati” dai temi della tradizione musicale occidentale variamente sollevati e articolati dai modernismi e dei tradizionalismi; in particolare i primi, con i quali si registrano rapporti e scambi intensi anche se non sempre univoci e non sempre dichiarati. Così come sarà necessario indagare a monte la reale consistenza di queste musiche in relazione alla tradizione europea tardo-ottocentesca e primo-novecentesca, in particolare quella legata alle figure di Debussy e Mahler. Per tornare ad Ives, pare opportuno infatti accogliere le sollecitazioni di Gianfranco Vinay, che ci invita a considerare “l’influenza della musica europea”. [2] Ma è lo sguardo che Ives proietterà sulla musica europea che ce la renderà diversa da come l’avevamo conosciuta.
Il non-finito ivesiano e la pratica del ri-uso, dei prestiti e dei collages
Il periodo creativo più significativo della carriera compositiva di Charles Ives, nato a Danbury nel 1874 e morto nel 1954, dura circa un ventennio: 1898-1918. [3] Un infarto e la prima guerra mondiale determineranno un progressivo esaurirsi della sua vena musicale. L’ascesa della sua popolarità è tutta successiva alla conclusione del suo percorso creativo. [4] Nella decade 1905-1915 [5]appaiono le cose più significative, in lavori che sintetizzano le varie tecniche che aveva saggiato nei Songs e nei lavori per orchestra da camera. [6] All’interno di questo vasto mosaico è possibile tuttavia individuare dei precisi caratteri distintivi, che porremo su quattro piani: 1) l’estetica di Ives, manner vs substance, 2) il prospettivismo compositivo, 3) sonorialità cosmica e umanesimo trascendentale, 4) l’affresco sonoro dell’human experience, 5) l’infinitismo ivesiano.
I: l’estetica di Ives, “manner” vs “substance”
Per Ives la musical technique deriva dagli ideals che un compositore nutre e non viceversa. Il primo è il mondo della manner, cui contrappone quello della substance. E’ la sostanza a determinare la tecnica compositiva [Vinay 1975], [Burkholder 1985]. E’ necessario tuttavia, per poter penetrare questo dualismo, proiettare l’estetica ivesiana sullo sfondo del trascendentalismo filosofico americano.[7] Nato su basi religiose, questo movimento si pone come una reazione agli eccessi del razionalismo illuminista. Gli spunti di diversa provenienza (persino scritti di filosofia indiana) talvolta si mischiano in un pittoresco calderone ma i riferimenti più evidenti rimandano al pensiero tedesco post-kantiano, in particolare rifacendosi alle idee di Schelling nell’interpretazione del poeta, teologo e filosofo inglese Samuel Taylor Coleridge (1772-1834).
“Quello che i trascendentalisti desiderarono conseguire e pensarono di poter raggiungere disciplinando le proprie intuizioni fu un rapporto diretto fra l’anima e dio” [Blau 1952]. Il trascendentalismo si risolve nell’affermazione di una capacità intuitiva da parte dell’uomo di afferrare la verità fondamentale, di conoscere con certezza un ordine soprannaturale posto oltre i confini dell’esperienza sensibile. Da questo punto di vista si può capire perché la manner, che rientra nella sfera dell’esperienza sensibile, non possa competere con la substance, che è l’intuizione diretta che rende possibile una cognizione immediata della realtà ultraterrena. L’intuizione è “capacità e bene” di tutti gli uomini dal momento in cui nascono, è cioè una caratteristica universale; da qui si può capire la tesi che l’introspezione personale abbia una funzione euristica di comprensione degli altri e della realtà, visto che tutti condividono questa capacità e questo bene. Tutti possono comunicare direttamente con Dio. La conoscenza del razionalismo su basi empiristiche non conduce al vero ordine, quello ultraterreno, che si può cogliere solo con l’intuizione. E’ questa la substance da cogliere. [8]
Inoltre, sulla scorta delle idee di Coleridge, che aveva sostituito l’intuizione alla grazia e la riflessione alla rivelazione, non poteva accettare verità superiori neanche in musica. Doveva intuire da solo la propria verità, costruirsi da solo il suo mondo. In conclusione, Ives nega che la musica si un puro gioco di forme o riconducibile solo a una manner, impegnandosi a dare corpo concreto a una substance, che si articola in “immagini mentali” ora precise ora della consistenza dei sogni. L’infinitismo del compositore americano, evidente in quella che Vinay ha definito una “poetica dell’interrogazione” (di cui sono esempio l’Unanswered Question e l’Universe Symphony) è il trait d’union tra umanità e trascendenza, human experience tutta tramata di ritmi campestri e urbani, inni e marce e volo nel buio.
II: il prospettivismo compositivo
Conviene saggiare la consistenza delle sue sperimentazioni nell’organizzazione dei materiali, avvertendo che non si può parlare di una direzionalità lineare nella produzione ivesiana. Si tratta piuttosto di piani sovrapposti in cui è possibile trovare dei materiali ricorrenti e anche contraddittori senza soluzione di continuità. Accanto a lavori chiaramente tonali ne troviamo altri in cui si sperimenta con una certa libertà la pratica della bi- e poli-tonalità. In altri pezzi ancora Ives ha sperimentato serie di altezze, specialmente in Tone Roads No. 1 (1911) e No. 3 (1915) e Chromatimelodtune (ca. 1919). In Tone Roads No. 1 ci sono due serie, nessuna delle quali è completa; si ha come la sensazione che l’organizzazione serialeggiante sia come un’opzione tra le tante. In Chromatimelodtune la serie usata è singola e completa ma il lavoro non nasconde un orientamento tonale. From the Steeples and Mountains (ca. 1901) è basato su una struttura retrograda che implica anche la serializzazione dei valori ritmici: una riduzione delle durate dalla minima (otto sedicesimi) all’ottavo puntato (tre sedicesimi) fino alla metà del pezzo, dopo il quale il processo è invertito fino a raggiungere l’originario valore della minima. Un passaggio simile, sebbene senza il retrogrado, si trova nella coda di Over the Pavements. Nei Three Quarter-Tone Pieces per due pianoforti ,1923, giunge a sperimentare sistematicamente i quarti di tono. [9] La musica di Ives è ricca inoltre di esempi di textures ritmiche le più varie. Elliott Carter in un importante saggio scritto nel 1955 spiega che Ives utilizza tre procedimenti ritmici fondamentali: 1)sovrapposizione di velocità differenti, (Fourth Symphony); 2) rubati notati su un piano, e tempo rigoroso su un altro (Calcium Light); 3) nel terzo tipo, si sentono simultaneamente due piani senza relazione (The Unanswered Question e Central Park in the Dark) [Carter 1955]. [10] In Over the Pavements (1906-1913), definita dall’autore “a kind of take-off of street dancing” l’accento del metro di 5/8 è dato dalla percussione ma il clarinetto e la tromba dividono la misura in due gruppi uguali di 5/16. I tromboni e il pianoforte, appoggiati dal fagotto, suonano clusters percussivi nel registro basso, ciascuno in croma puntata, in questo modo dividendo le tre misure considerate come un intero in dieci sub unità uguali.
Il secondo carattere distintivo, sul piano dell’organizzazione delle altezze e dei livelli ritmici evidenziano una voluta, estrema libertà compositiva, una libertà “svincolata da qualsivoglia schema precostituito” [Burkholder 1985], cui è impossibile sovrapporre delle griglie di qualche genere. Il “prospettivismo” compositivo per Ives si articola in multidirezionalità in funzione frequenziale e multidirezionalità multitemporale e poliritmica.
III: l’umanesimo trascendentale
Nonostante tutto quello che è stato scritto sulla seconda sonata per pianoforte[11] sottotitolata “Concord, Mass., 1840-1860”, anche dallo suo stesso autore negli Essays Before a Sonata, non ci riesce ancora facile comprendere perché Ives abbia sentito la necessità, per rendere omaggio alle figure ideali della sua formazione (Emerson, Hawthorne, Gli Alcott, Thoreau, che ne contrassegnano i movimenti), di farcire il pezzo con una tale miriade di prestiti ( una sorta di “camaleontismo tematico” [Vinay]) da fare di questo lavoro il più spericolato degli esempi di “montagismo” ivesiano. [12] Block ci ha fornito recentemente un ampio panorama dei “prestiti” della Concord [Block 1996]. Si va dalla quinta Sinfonia di Beethoven alla Sonata “Hammerklavier” (op. 106), all’inno Martyn (“Jesus, lover of my soul “) di Simeon B. Marsh, con tutta una serie di “prestiti” dubbi, come quello della seconda Sonata di Brahms op. 2 e della nona Sinfonia di Schubert; questo solo per citare i “prestiti” ricorrenti in tutti e quattro i movimenti. Ce ne sarebbero decine di altri isolati nei singoli movimenti.
Da un certo punto di vista si potrebbe sostenere – per uscire da una certa empasse – che i prestiti musicali della Concord siano in un certo senso iscrivibili nella categoria dell’ unheimliche, del perturbante, per usare una figura freudiana. Musica apparentemente familiare e tuttavia altra e diversa. Ma occorre essere prudenti, visto che ci troveremmo proiettati in un mondo troppo diverso da quello ivesiano. Proviamo a seguire Vinay, che parla di una “presa di distanza oggettivante che impedisce alla parodia di diventare megafono di emozioni individuali”. [13] E’ certo che ci troviamo in un zona su cui non è stata fatta piena luce. Non ci soccorrono le “immagini mentali” consuete, né la poetica delle campestri “ricordanze”. La musica regge quasi da sola, nonostante il programma letterario, lo sforzo di un pastiche collagistico (in senso proprio e altrui), che sfocia in un materismo sonoro che si plasma tutto intero fuori della tradizione pianistica. L’umanesimo trascendentale non teme di attraversare le zone più affollate dell’umano (ai limiti del “perturbante”, appunto). Laddove si cimenta con le sperimentazioni più avanzate del secolo. Qui Ives nello sforzo di oggettivazione si scrolla di dosso quel tanto di quietistico insito nella sua ricerca spirituale per incontrare e guardare in faccia vecchi e nuovi agonismi compositivi.
IV: l’affresco sonoro dell'”human experience”
La rappresentazione dell’human experience e la tendenza all’affresco sonoro hanno un grande spazio nell’universo ivesiano. Qualche critico ha parlato del particolare realismo di questa musica, che non ritiene indegno rappresentare le esperienze di ogni giorno, di tipo sportivo (Some Southpaw-Pitching), legate alle festività (Hallowen), o illustri , come la scena familiare rappresentata dal movimento “The Alcotts” della sonata Concord. La Fourth Symphony, è il lavoro che porta alle estreme conseguenze, trasfigurandola, la rappresentazione dell’human experience. Completata nel 1916 (poi rivista e pubblicata nel 1929), la storia della sinfonia riguarda gli ultimi venti anni della dimensione creativa di Ives. Qui Ives riusa intensamente musica propria scritta in precedenza, forse non meno di una dozzina di lavori, insieme a numerosi “prestiti” da musiche di altri compositori.
Nel primo movimento un montaggio essenzialmente triadico per coro e orchestra dell’inno Watchman, Tell Us of the Night è combinato con un numero di citazioni frammentarie che contribuiscono a un complesso accompagnamento orchestrale. Uno strato per arpa e due violini, designato nella partitura come un “coro distante”, da sentirsi appena basato su un secondo inno, Nearer, My Good, to Thee e costruito con accordi per quarte con altezze parzialmente in conflitto con quelle del resto dell’orchestra crea un indistinto alone di suoni conflittuali che colorano con dolcezza l’inno, rendendolo ambiguo e vagamente misterioso. Il secondo movimento spinge la pratica del collage fino alle sue estreme conseguenze con strati differenziati anche dal punto di vista metrico-ritmico, per cui sono richiesti tre differenti direttori. Prestiti, musica di riuso e citazioni sono fusi in un magma incandescente che impedisce la percezione del singolo particolare, mirando piuttosto a un effetto d’insieme. Il terzo movimento è un’orchestrazione, con pochi cambiamenti, di una relativamente tradizionale fuga tonale scritta durante gli anni di Yale, che originariamente serviva come elemento d’apertura del primo Quartetto d’archi (1898). Il quarto movimento è simile al secondo, anche se meno complesso. Riappare il coro distante, ancora in riferimento a Nearer, My Good, to Thee e qui troviamo uno strato percussivo addizionale che apre il movimento e dopo aver continuato quasi impercettibilmente sullo sfondo per tutto il tempo, si sente solo ancora alla fine. Ritorna a cantare anche il coro senza parole alla fine di un passaggio di luminosa serenità.
V: l’infinitismo ivesiano
L’esempio preliminare che definisce l’idea di quello che esprime l’infinitismo ivesiano è rappresentato da The Unanswered Question (1906). Qui il musicista di Danbury sperimenta la separazione di grandi ensembles in micro-unità significative separate le une dalle altre sia spazialmente che musicalmente. Il lavoro è composto di tre parti distinte: gli archi fuoriscena, che suonano sullo sfondo di una musica triadica in do maggiore, l’a solo di tromba con una figura cromatica di due misure che ricorre con intermittenza sette volte (che rappresenta la “question” del titolo) e un quartetto di flauti, che rispondono alle prime sei affermazioni della tromba (l’ultima resta senza risposta alla fine del pezzo), con ogni risposta che diviene più lunga, meno forte, più dissonante e cromatica e ritmicamente meno evidenziata rispetto alle precedenti. In questo lavoro più che in altri il compositore sembra declinare un’idea di sonorialità cosmica che è uno dei tratti più importanti della sua poetica.
Lo sbocco finale utopico e visionario di una grandiosa rappresentazione del rapporto tra terreno e divino è in 44 fogli di schizzi che vanno sotto il nome di Universe Symphony, la grande incompiuta della produzione ivesiana, un’opera che non ha superato “la dimensione di progetto” [W. Rathert in Contrechamps 1986, p. 129 e sgg., cui rimandiamo per un maggior approfondimento]. Nei Memos del ’32 parla di questo progetto iniziato intorno al 1915. Sono gli anni in cui Skrjabin progetta il suo Atto preliminare (1914-15) e Schoenberg il suo Die Jakobsleiter (1917-1922). La sintonia non è casuale.
Il progetto è diviso in tre sezioni: I. Section A: (Past) Formation of the waters and mountains, II. Section B: (present) Earth, evolution in nature and humanity, III. Section C: (Future) Heaven, the rise of all to the spiritual.. Come nota giustamente Rathert, vi si sente il richiamo di quello che è il sottofondo poetico del trascendentalismo, cioè il romanticismo inglese di Wordsworth e Coleridge. Aggiungeremo che l’idea di associare la formazione della musica a quella del paesaggio, da cui il prospettivismo compositivo di cui abbiamo già parlato, rimanda al cuore teorico di quella provenienza, che è rappresentato dal prospettivismo filosofico di Leibniz. Vogliamo concludere con la Universe Symphony, un torso di enorme suggestione poetica, per dare un’idea dell’intreccio delle problematiche di questo musicista.
La “funzione Ives” e il ruolo centrale dell’intuizionismo
Abbiamo parlato di “funzione Ives” nella musica del Novecento. Se gli attribuiremo il credito necessario potremo non soltanto scoprire che c’è una “terza via” nella musica di questo secolo, che la sottrae a una celebre ma forse sterile contrapposizione binaria di adorniana memoria, ma potremo anche leggere con occhi diversi un mondo di domande senza risposta legate ad altri personaggi che rientrano a fatica nella “terza via”, come Skrjabin, Berg o Messiaen. Questa “funzione” è una funzione euristica e si pone come un grimaldello ermeneutico nello scandaglio storiografico di un secolo ricco e poliedrico. E’ la funzione dell’intuizionismo, che ha un’enorme risonanza in tutto le spettro del pensiero proprio negli anni della maggiore produzione ivesiana. E’ la musica stessa a suggerirci – al di fuori del metodo strutturale – gli strumenti analitici con cui poterla studiare. Come si vede, la questione presenta una tale ricchezza di problematiche da giustificare un accanito lavoro di ricerca.
Bibliografia essenziale
[Blau 1952]
Joseph L. Blau, Men and Movements in American Philosophy, New York 1952 (tr. it. Movimenti e figure della filosofia americana, Firenze 1957).
[Block 1996]
Geoffrey Block, Ives: Concord Sonata, Cambridge 1996.
[Burkholder 1985]
J. Peter Burkholder, Charles Ives. The Ideas Behind the Music, New Haven and London 1985.
[Carter 1955]
Elliott Carter, “Le basi ritmiche della musica americana”, in The Score, 12 (giugno 1955)
[Contrechamps 1986]
Numero 7, 1986 di Contrechamps , dedicato alla traduzione francese dei saggi: Essais avant une sonate con testi di G. Schubert, A. Kaenel, N. Schoffman, W. Rathert.
[Danuser et alii 1987]
Hermann Danuser, Dietrich Kaemper und Paul Terse (herausgegeben von), Amerikanische Musik, Laaber 1987.
[Ives, Essays]
Charles Ives, Essays before a Sonata, The Majority, And Other Writings (tr. it. a cura di A. Bardi, Prima della sonata, Venezia 1997).
[Ives, Memos]
Charles Ives, Memos, Edited by John Kirkpatrick, New York 1972.
[Mellers 1964]
Wilfrid Mellers, Music in a New Found Land, London 1964 (tr. it. Musica nel Nuovo Mondo. Storia della musica americana, Torino 1975).
[Nicholls 1990]
David Nicholls, American Experimental Music 1890-1940, Cambridge 1990.
[Swafford 1996]
Jan Swafford, Charles Ives. A Life with Music, New York-London 1996.
[Tranchefort 1987]
François-René Tranchefort, Guide de la Musique de Piano et de Clavecin, Paris 1987 (tr. it. Guida all’ascolto della musica per pianoforte e clavicembalo, Milano1995.
[Vinay 1974]
Gianfranco Vinay, L’America musicale di Charles Ives, Torino 1974.
[Vinay 1997]
Gianfranco Vinay, “Charles Ives e l’utopia americana”, in Charles E. Ives, Prima della sonata, Venezia 1997, pp. 9-30.
Ascolti
The Unanswered Question
Charles Ives: “The Unanswered Question” . This work was composed as a companion to “Central Park In The Dark” Both works were composed in 1906, and paired together by Ives as: I. “A Contemplation of a Serious Matter, or The Unanswered Question”, II. “A Contemplation of Nothing Serious, or Central Park in the Dark in the Good Old Summertime”. Prior to having The Unanswered Question professionally copied, sometime around 1930 – 1935, Ives revised the score, adding many details and changing the woodwind and trumpet parts. The revised version is presented here.
Note
[1] In riferimento alla categoria dei tradizionalismi variamente connotati parrebbe di poter sostenere che cambia o viene completamente reinterpretata la stessa figura del compositore. Viene in un certo senso recuperata la tradizione orfica del “compositore di pensiero” in contrapposizione a quella del “compositore di scuola” o “artigiano”. E’ il mito del trascendentalista americano Ralph Waldo Emerson fondato sulla distinzione tra “uomini parziali” e “uomini totali”. I primi sono agricoltori, avvocati, dottrinari, coloro che considerano il proprio mestiere un semplice strumento per guadagnarsi da vivere. “I secondi sono invece uomini rappresentativi, che concepiscono l’attività a cui si dedicano come impegno da assolvere nei confronti dell’umanità” [Blau 1952]. In questa prospettiva il compositore è un intellettuale che pensa con i suoni. La sua musica è una costruzione utopica di mondi sonori che celano una idea umanistica e trascenden tale della realtà: il Trascendentalismo di Ives, la tendenza all’infinito di un Wyschnegradsky, la cosmicità primordiale di uno Scelsi. ne sono degli esempi. La musica diventa filosofia della musica realizzata con mezzi sonori. In questo senso si può parlare di sperimentalismo motivato metafisicamente, o anche di un umanesimo trascendentale. Questo fa il paio con l’idea della cosmicità sonoriale della musica, come universo che ci appartiene solo fino a un certo punto. Occorre quindi far parlare il suono per quello che può dirci, senza sovrapporvi una rigida trama di pensiero che rischia di offuscarne le trame più segrete. Questi elementi collegano, come un Giano bi-fronte, il futuro della musica al suo passato misterioso . E’ la figura del “misterioso” che prende il posto di quella del “bello” o del suo pendent speculare dell'”espressionista” e del “dissacratorio”.
[2] “Se i dogmi del Tascendentalismo, la tradizione musicale indigena e lo sperimentalismo ereditati dal padre furono i punti di riferimento costanti e gli stimoli propulsivi dell’attività creativa di Ives, non bisogna però dimenticare un’altra importante componente che, talora isolatamente, talora in connessione alle altre, viene a condizionare il suo linguaggio musicale: l’influenza della musica europea” [Vinay 1974].
[3] Dopo quella data Ives pubblica i 114 Songs per canto e pianoforte e scriverà poche cose degne di importanza, tra cui i Three Quarter-Tone Pieces per due pianoforti accordarati a quarti di tono, nel 1923 e nel 1926 il suo ultimo pezzo, Sunrise, per canto e ensemble. Nel 1932 redige i suoi Memos.
[4] Nel ’21 Henry Bellaman pubblica i primi articoli sulla musica ivesiana, nel 1925 vi si avvicina Elliott Carter, Henry Cowell stampa il secondo movimento della Fourth Symphony sulla rivista New Music nel 1929 e incoraggia Nicolas Slonimsky a interpretare le opere di Ives con la Boston Chamber Orchestra. Nel 1939 John Kirkpatrick offre la prima esecuzione pubblica della sonata Concord. Nel 1947 gli viene conferito il Premio Pullitzer per la Third Symphony in occasione di una esecuzione diretta da Lou Harrison. Henry e Sydney Cowell cominciano a stendere la loro biografia. Nel 1960 John Kirkpatrick pubblica un catalogo dei manoscritti musicali di Ives.
[5] Le date sono comunque del tutto orientative dato che il compositore americano agiva nella logica tutta personale di una pratica del ri-uso di frammenti di musica da un pezzo all’altro anche a distanza di anni. La pratica del collage gli era utile per assemblare i materiali come meglio gli conveniva e su un piano in cui non è possibile distinguere realismo e visionarietà.
[6] La terza e la Quarta Sinfonia, i due Sets orchestrali (il primo meglio conosciuto come Three Places in New England), The Unanswered Question (1906), il Secondo Quartetto per archi e le due Sonate per pianoforte (la seconda sottotitolata “Concord, Mass., 1840-1860”).
[7] Il movimento trascendentalista si è sviluppato tra Boston e Concord, circa trenta chilometri a ovest della capitale, verso la metà degli anni ’30 dell’ Ottocento. “Storicamente risulta da uno scisma nel seno dell’Unitarian Church, cioè la forma più diffusa e potente del protestantesimo ereditato dal Puritanismo. Le critiche dei secessionisti erano condotte su punti della dottrina che sfociavano su più ampie questioni di ordine religioso, filosofico, etico, politico e accessoriamente estetico. Il Trascendentalismo non è dunque in origine un movimento letterario, anche se la maggioranza dei suoi adepti fecero ricorso a mezzi d’espressione come la poesia e il saggio [A. Kaenel, in Contrechamps 1986, p. 100]. I nomi più importanti del movimento sono quelli di Ralph Waldo Emerson (1803-1882), Henry David Thoreau (1817-1862), Amos Bronson Alcott (1799-1888), Margaret Fuller (1810-1850), Theodore Parker (1810-1860), William Ellery Channing (1818-1901). A questi nomi bisogna aggiungere quello del romanziere Nathaniel Hawthorne (1804-1864), che passò sette mesi nella loro comunità di Brook Farm nel 1841.
[8] Essa tuttavia non isola ma lega gli individui, nel senso di una collettività che i trascendentalisti sperimentarono fondando comunità come quella di Brook Farm, per uscire dalla moltitudine ordinaria. E’ viva la sensazione che la vera esperienza conduca lontano dalle vie maestre. Charles Ives è stato – come è noto – per propria scelta il primo dei grandi isolati del secolo, sebbene nel suo caso non si possa parlare di irregolare. Attraversando esperienze magari lontanissime dalla sorgente ma sempre in qualche modo riconducibili a quell’universo di umanesimo trascendentale di cui è stato il patrocinatore, Ives, sulla base di queste idee, ha cercato di realizzare umanamente la filosofia in cui credeva. Per lui la musica e la filosofia sono diventate ” testimonianza di sé”.
[9] Il 1923 è anche l’anno della prima stesura del Primo quartetto d’archi in quarti di tono op. 13 di Ivan Wyschnegradsky, questo per dire che la più avanzata musica europea non andava esclusivamente nella direzione del metodo di composizione con dodici note.
[10] “Il primo consiste nella sovrapposizione di velocità differenti che può esprimersi nella notazione con un’unità comune, come nei seguenti esempi dal secondo movimento della sua Fourth Symphony, scritta nel 1916 e rivista e pubblicata nel 1929. Più avanti nel pezzo, egli mostra una maggiore libertà ritmica. Nell’esempio n. 2, la seconda, terza e quarta linea sono i ritmi degli ottoni e dei legni che suonano un’armonizzazione dissonante di un anthem nazionale, con le viole e i violoncelli che contribuiscono nella linea sopra alle seguenti. La sesta riga e le righe inferiori contengono i ritmi di pianoforte, campane tubolari, e dei contrabbassi che suonano il motivo di un inno in un altro sistema armonico dissonante. Le altre linee sono ritmi di varie figurazioni, e quelli delle quintine e settimine appartengono agli archi. Un secondo tipo di procedimento ritmico utilizzato da Ives consiste in rubati notati su un piano, e tempo rigoroso su un altro, come in Calcium Light (Esempio n. 3). Nel terzo tipo, si sentono simultaneamente due piani senza relazione. Sia in The Unanswered Question che in Central Park in the Dark, un tranquillo ostinato degli archi, guidati da un direttore, forma il sottofondo per una musica più veloce e più forte diretta da un altro, e suonata in modo frammentario, facendo sì che, nei silenzi, si senta il leggero sottofondo. Simili piani musicali, senza relazione, che richiedono l’impiego di parecchi direttori, si verificano nella Fourth Symphony e in altre opere successive di Ives” [Carter 1955].
[11] Tra i pezzi pianistici di Ives ci sono la Sonata n.1, scritta tra il 1901 e il 1909, il primo lavoro di una certa dimensione scritto per pianoforte, la Three-Page Sonata, scritta nel 1905, gli Studies, ventitré pezzi composti per la maggior parte tra il 1907 e il 1909, alcuni dei quali sono rimasti incompiuti, , la Sonata n. 2 “Concord”, che è il risultato di una lunga gestazione (1911-1915). La partitura è stata pubblicata dall’autore a sue spese nel 1920 con un commento intitolato Essay before a Sonata nel quale di parla del lavoro come “un insieme di quattro pezzi, chiamato sonata in mancanza di un termine più adeguato, poiché né la forma, né forse lo stesso materiale, giustificano questo titolo”. I Three Quarter-Tone Pieces, per due pianoforti, di cui uno è accordato un quarto di tono più acuto, sono stati portati a termine nel 1923, le Varied air and Variations (Studio n. 2) forse nel 1923. Essa venne pubblicata dapprima in forma incompleta come Three Protests.
[12] “La duttilità del progetto compositivo, che non sembra esser stato all’altezza delle sue ambizioni a causa dei limiti dei mezzi musicali (‘Cosa ha a che fare il suono con la musica?’), è illustrato dalle numerose possibilità che si intravedono in ogni movimento: ‘Emerson” fu originariamente previsto per orchestra (o concerto), e di ciò rimarrebbe un’eco nella parte di viola che interviene alla fine; ‘Hawthorne’ per uno o dodici pianoforti(!); ‘The Alcotts’ per organo o pianoforte con voce (o violino); e ‘Thoreau’ per archi ‘eventualmente con il colore di un flauto o di un corno’. Inoltre vanno segnalate le strette relazioni tra il materiale della Sonata e quello di altre partiture come gli Studi 2 e 9 per ‘Emerson’, o The celestial Railroad – titolo di uno scritto di Hawthorne – per pianoforte (inedito), nel secondo movimento, che riutilizza anche idee della Sinfonia n. 4 e dei Three Places in New England: la Sonata è la pratitura ivesiana in cui tutto sembra convergere, e da cui tutto sembra irradiarsi” [Tranchefort 1987].
[13] “I procedimenti contrappuntistici ed elaborativi impiegati da Ives in quella che è stata definita con neologismo statunitense una cumulative form realizzano un tipo particolare di comunicazione: una comunicazione basata sulla tensione e distensione prodotta dall’occultamento e dalla ripresa enfatica dei temi, dalla loro maggiore o minore evidenza negli intrichi eterofonici e poliritmici, che neutralizza la sensazione di una vettorialità, di una transizione, di una gradazione e di una dinamica emotiva di tipo psicologico. La riconoscibilità tematica, quando si verifica, crea come una sorta di immediata proiezione del processo su uno schermo virtuale; nella sua scorporazione dal soggetto artistico, dall’io estetico, rimanda a un’alterità che, comunque la si voglia interpretare simbolicamente in rapporto al soggetto empirico (con metafore oniriche, mnemoniche o altre) lo coinvolge come membro di una comunità” [Vinay 1997: pp.30-31]. Che ci sembra detto meglio, ma forse non molto diversamente da come pensiamo di intendere simile spinosa questione.
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Antonio De Lisa
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