La dominazione ottomana nei Balcani

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La dominazione ottomana nei Balcani

La Penisola Balcanica è stata progressivamente occupata dai Turchi Ottomani tra il XIV ed il XV secolo. La penetrazione in quelle terre (dove l’Islam aveva cominciato a diffondersi verso la fine del XIII secolo inizialmente in maniera pacifica, e nella prima metà del XIV secolo anche grazie alle incursioni di vari principi anatolici) è attestata, sulla sponda europea dei Dardanelli, a partire dal 1354.

Fattore fondamentale ne fu la massiccia corrente migratoria dall’Anatolia che nel XIV secolo portò alla turchizzazione della Tracia e della Bulgaria orientale. A quell’epoca il piccolo stato ottomano era considerato un utile strumento nel complesso gioco politico-militare condotto dai principati balcanici che però ne diventarono i vassalli,

Il termine Ottomani derivava dal nome del Khan Osman I (in turco ottomano عثمان باک, ʿOsmân Beğ o عثمان غازى ʿOsmân Ġâzî; in turco moderno Osman Gazi o Osman Bey o I.Osman o Osman Sayed II; Söğüt, 1258 circa – Söğüt, 1326) , che organizzò per primo lo Stato turco in Asia Minore.

Con la fine del Sultanato selgiuchide di Rum (1300 circa), l’Anatolia fu divisa in una moltitudine di Stati indipendenti, i beilicati turchi d’Anatolia. In quell’epoca, l’Impero bizantino, indebolito, aveva perso molte delle sue province anatoliche a vantaggio dei Beilikati. Uno di essi era governato da Osman I (da cui deriva la parola “ottomano”), figlio di Ertuğrul, e si trovava nella zona di Eskişehir, nell’Anatolia occidentale. Nel mito della fondazione conosciuto come Sogno di Osman, narrato nella storia medievale turca, si racconta di un giovane Osman ispirato alla conquista dal sogno premonitore di un grande impero; nel suo sogno, l’Impero è rappresentato con un grande albero le cui radici si espandono attraverso tre continenti e i cui rami coprono il cielo, e dalle radici si diramano quattro fiumi: il Tigri, l’Eufrate, il Nilo ed il Danubio, mentre l’albero fa ombra a quattro catene montuose: il Caucaso, il Tauro, l’Atlante e i Balcani. Durante il suo regno come Sultano, Osman I estese le frontiere dei domini del suo impero fino ai margini di quello bizantino.

Lo stato turco in Asia minore era formato da popolazioni nomadi al cui interno era venuta a crearsi un’aristocrazia guerriera, dedita alla guerra e alla razzia. Nei paesi conquistati, gli abitanti venivano sottoposti ad uno sfruttamento feudale dal quale traevano profitto i capi militari turchi, che formavano un’oligarchia di ricchi proprietari terrieri, pur conservando un gran numero di schiavi utilizzati per i servizi domestici. I primi due Khan ottomani, Osman e Orchan, completarono la conquista dell’Asia Minore, ed organizzarono il primo vero esercito permanente costituito da corpi di fanteria, che assunsero il nome di Giannizzeri, e da reparti di cavalleria denominati Spahi; le truppe di riserva erano prevalentemente costituite da bande irregolari che venivano messe a disposizione dalle varie tribù turche. Dai popoli sottomessi, i Turchi appresero la religione musulmana e le tecniche militari: molti Greci erano infatti passati nelle file dell’esercito e della marina turca, rinnegando il proprio paese e la loro religione. Nonostante ciò, i Turchi non persero i propri feroci sistemi primitivi, rappresentando quindi un vero flagello per i diversi popoli che dovettero affrontarli.

Sotto la guida del loro terzo sultano, Murad I, che regnò dal 1359 al 1389, i Turchi diedero inizio alla conquista dei Balcani. Nel 1361, venne conquistata la città di Adrianopoli, che per molto tempo restò la nuova capitale dell’Impero Ottomano. Vista l’impotenza dimostrata dall’Impero Bizantino, Bulgaria e Serbia tentarono di opporsi all’avanzata turca, ma vennero più volte sconfitti, per poi venire definitivamente annientati nella battaglia che si svolse nei campi del Kosovo nel 1389. Questa sconfitta pose fine all’indipendenza Serba; quattro anni più tardi, nel 1393, venne sottomessa anche la Bulgaria. Per arginare il pericolo turco, venne costituito un grande esercito composto da cavalieri polacchi, boemi, ungheresi, tedeschi e francesi, ma anch’esso venne distrutto nella battaglia di Nicopoli, sul Danubio, nel 1396.

I principati balcanici tentarono invano (nel 1371 a Cirmen e nel 1389 nella piana di Kosovo) di arrestare l’espansione dell’ex alleato formando un fronte comune e chiamando in aiuto i cristiani d’Occidente. Tra il 1393 e il 1396 Bâyazîd I conquistò tutta la Bulgaria, la Macedonia e la Tessaglia, cercando poi di prendere Costantinopoli. La sua sconfitta e cattura a opera di Tamerlano nel 1402 costrinse gli ottomani ad abbandonare la maggior parte dell’Anatolia e a fare dei Balcani la propria nuova patria, con Edirne (Adrianopoli) capitale. Le nuove migrazioni di provenienza anatolica seguite all’invasione di Tamerlano indussero i successori di Bâyazîd I a modificarne la politica di dominazione diretta, concedendo alla Serbia e a Bisanzio una certa libertà d’azione, finché Maometto II il Conquistatore, presa Costantinopoli (1453), non occupò la Serbia (1459), la Morea (1460) e la Bosnia (1463). Si trattava anche di un successo diplomatico.

La conquista ottomana di Costantinopoli nel 1453 da parte di Maometto II cementò la posizione dell’Impero come principale potenza dell’Europa sudorientale e del Mediterraneo orientale. Maometto II permise alla Chiesa Ortodossa di mantenere la sua autonomia e le sue terre in cambio della sua accettazione dell’autorità ottomana. A causa delle cattive relazioni esistenti tra l’Impero bizantino nei suoi ultimi periodi e gli Stati dell’Europa occidentale, la maggioranza della popolazione ortodossa accettò il dominio ottomano, preferendolo a quello veneziano.

Nel periodo compreso tra il XV e il XVI secolo, l’Impero Ottomano visse complessivamente un lungo periodo di conquiste ed espansione. L’Impero prosperò sotto una lunga dinastia di sultani. L’economia dello stato inoltre fiorì grazie al suo controllo delle sue rotte commerciali di terra tra l’Europa e l’Asia.

L’intervento dell’Occidente cattolico nei Balcani, con l’estendersi dell’influenza ungherese in Bosnia, Serbia e Valacchia, e della dominazione di Venezia nella Morea, in Albania e nell’Egeo, aveva suscitato l’ostilità del clero ortodosso e della maggior parte della popolazione. Gli ottomani seppero approfittarne presentandosi come i protettori della fede ortodossa: riconobbero ovunque i pope e garantirono loro pensioni e terre. Una volta cacciati i latini dai Balcani nella seconda metà del XV secolo, i mercanti locali (musulmani, ebrei, greci, ragusei) furono incoraggiati a sostituirli; e il commercio di Ragusa (o Dubrovnik), in particolare, prosperò sotto gli ottomani più ancora che nel Medioevo.

La dominazione ottomana modificò anche i rapporti sociali nelle campagne a vantaggio dei semplici contadini. Negli ultimi tempi della dominazione bizantina la debolezza del potere centrale aveva consentito all’aristocrazia terriera di rafforzarsi, ma il forte regime accentrato degli ottomani riuscì a eliminare quasi completamente le abitudini feudali, sopprimendo le forniture obbligatorie di lavoro e di beni, cui subentrò una semplice imposta, mentre sulla rigorosa applicazione della legge vigilavano funzionari alle dirette dipendenze del sultano. Scarsa fu quindi l’adesione dei contadini cristiani alla lotta antiottomana condotta dai loro signori e fino al XVII secolo i Balcani non conobbero serie ribellioni contadine. Gli ottomani cercarono comunque di legare a sé tutte le classi sociali: i contadini mediante la possibilità di accedere al potere per mezzo del sistema di reclutamento militare, i latifondisti tramite l’inserimento delle terre nel sistema del tîmâr.

Durante il XVI secolo i Balcani vissero un periodo eccezionale di pace e prosperità, caratterizzato dalla messa a coltura di nuove terre, dall’incremento demografico che condusse al raddoppio della popolazione (un milione di famiglie verso il 1535) e dallo sviluppo dei centri urbani. Le conversioni all’Islam erano generalmente frutto di un lento processo di logoramento determinato soprattutto dalla diversità di trattamento fiscale da cui era naturalmente avvantaggiata la popolazione musulmana. Fino all’epoca di Bâyazîd II (seconda metà del XV secolo) la politica ottomana in materia religiosa fu molto liberale e le conversioni furono volontarie, in primo luogo tra i nobili che aspiravano alla carriera militare o di corte.

La politica religiosa divenne più rigida dal XVII secolo: vennero presi provvedimenti coercitivi, in risposta all’attività di missionari francescani sostenuti dall’impero asburgico e da Venezia, nei confronti dei cristiani della Serbia, della Bulgaria danubiana e dell’Albania. Questi si convertirono in massa, oppure emigrarono, come il patriarca di Pec che nel 1690 si rifugiò nell’Ungheria meridionale seguito da 37.000 famiglie serbe. Nei secoli successivi vi furono conversioni in massa in Albania e nella regione dei Rodopi, principale centro dei musulmani di lingua bulgara.

La dominazione ottomana nei Balcani culminò nel fallito assedio di Vienna del 1683, cui seguirono la disastrosa guerra contro la lega santa conclusa nel 1699 con la pace di Carlowitz, la guerra del 1714-1718 con Venezia e l’Austria conclusa dal trattato di Passarowitz e le tre guerre con la Russia e l’Austria del 1736-1739, del 1768-1774 e del 1787-1792, terminate con i trattati di Belgrado (1739), di Küçük Kaynarca (1774) e di Iassy. In seguito a queste guerre gli ottomani persero l’Ungheria, la Serbia a nord di Belgrado, la Transilvania e la Bucovina, ritornando al confine lungo il Danubio, come ai tempi di Solimano il Magnifico. Dovettero poi riconoscere alla Russia e all’Austria un ruolo di tutela nei confronti dei sudditi cristiani del sultano, pretesto per intervenire in maniera sempre più pesante negli affari interni dell’impero durante il XIX secolo.

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Gli ideali della rivoluzione francese suscitarono nei Balcani i primi fermenti di tipo nazionalistico, attivamente incoraggiati da Francia, Austria e Russia. Scoppiarono così rivolte in Serbia (1804-1806 e 1815-1817) e in Grecia (1821-1830) che portarono i due paesi all’autonomia e all’indipendenza, mentre la Russia occupava la Bessarabia e i principati di Moldavia e di Valacchia (1806-1812). Alle tendenze disgregatrici in atto nei Balcani gli ottomani cercarono di porre un argine con la politica di riforme che avevano tra i loro obiettivi l’uguaglianza davanti alla legge di tutti i sudditi del sultano, senza discriminazione in base alla razza, alla religione o al censo. Vennero così equiparati ai sudditi musulmani i membri dei millet non musulmani, in seno ai quali continuava a diffondersi il nazionalismo, che esplose in nuove insurrezioni: a Creta nel 1866-1868 e in Bosnia, Erzegovina e Bulgaria nel 1875. Scoppiava quindi la guerra contro la Serbia e il Montenegro, seguita nel 1885 da una rivolta nella Rumelia orientale.

I Balcani erano ormai diventati un focolaio di tensioni che affrettarono il crollo dell’impero. Nascevano società segrete in cui furono particolarmente attivi bulgari, greci e serbi che perseguivano l’obiettivo dell’indipendenza anche con il terrorismo. Questi metodi ispirarono anche il movimento dei Giovani turchi, costituito da ufficiali che proprio dai metodi inefficaci di repressione delle rivolte nazionali, in primo luogo in Macedonia, traevano motivo di opposizione al governo. Nel 1908 l’impero fu scosso dalla dichiarazione di indipendenza bulgara, con la conseguente annessione, da parte della Bulgaria, della provincia della Rumelia orientale, dall’annessione austriaca della Bosnia ed Erzegovina e da una nuova rivolta a Creta seguita dall’annessione dell’isola alla Grecia.

Le due guerre balcaniche del 1912 e 1913 portarono infine alla perdita della Tracia, della Macedonia e delle isole egee: il territorio turco dei Balcani si era ormai praticamente ridotto a quello attuale.

Dopo la sconfitta l’Impero, già notevolmente ridotto territorialmente dal Trattato di Sèvres, dovette subire anche l’occupazione straniera, con la Grecia che prese la zona di Smirne e gli eserciti anglo-italo-francesi che presidiavano le regioni costiere. A guidare il movimento di indipendenza nazionale fu un generale dell’esercito ottomano, Mustafà Kemal Pascià, detto in seguito Atatürk (padre dei Turchi), che si era messo in mostra nella vittoriosa battaglia di Gallipoli e che aveva anche partecipato alla rivoluzione dei “Giovani Turchi”. Nella guerra greco-turca del 1919-1922, britannici, italiani e francesi preferirono andarsene, e i Greci dovettero vedersela da soli contro la riscossa turca. In poco più di due anni i Greci furono ripetutamente sconfitti e costretti a lasciare Smirne. Nel novembre del 1922 fu abolito il Sultanato e nel 1923 fu proclamata la Repubblica Turca, di cui Atatürk fu il primo Presidente. Sopravvisse per poco la dignità califfale nella persona di Abdul Mejid II ma nel 1924 un’Assemblea Nazionale convocata da Atatürk dichiarò conclusa tale esperienza califfale, almeno nella linea dinastica del casato ottomano.

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Bibliografia

G.E. Carretto, Dal Campo dei Marli alle porte di Vienna, in F. Gabrieli (a cura di), Maometto in Europa. Arabi e Turchi in Occidente, Mondadori, Milano 1982.

S. Clissold (a cura di), Storia della Jugoslavia. Gli Slavi del Sud dalle origini a oggi, Einaudi, Torino 1969.

G. Ostrogorsky, Storia dell’Impero bizantino, Einaudi, Torino 1968; P. Preto, Venezia e i Turchi, Sansoni, Firenze 1975.



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