Discesa di Ištar negli Inferi

La Discesa di Ištar negli Inferi è un racconto della mitologia mesopotamica che narra la discesa della dea Ištar nell’oltretomba. Ci è pervenuto in diverse redazioni in lingua accadica, principalmente da siti archeologici assiri di Assur e Ninive, in molti casi frammentarie e datate a partire dalla fine del II millennio a.C.

Il testo deriva sicuramente da Discesa di Inanna negli Inferi, un poema più lungo e più antico in lingua sumerica (probabilmente risalente al III millennio o all’inizio del II) che ha come protagonista la dea Inanna, omologa di Ištar nel pantheon sumerico. Rispetto alla versione sumera vi sono però importanti variazioni nello stile della narrazione e nella caratterizzazione dei personaggi, a cominciare dalla protagonista.

Ishtar arriva alle porte dell’oltretomba e chiama i guardiani a gran voce, minacciando, se non gli fosse aperto, di distruggere la porta e di far uscire dal Kurnugi i morti, che avrebbero divorato i vivi, così da sovvertire l’ordine del mondo. I guardiani avvertono la signora dell’oltretomba, Ereshkigal, sorella di Ištar, che coglie l’occasione per attirarla in una trappola. La dea viene fatta entrare per le sette porte degli Inferi, e per ciascuna porta viene spogliata gradualmente delle sue vesti e dei suoi gioielli, simboli del suo potere. Alla fine, nuda, viene fatta entrare nella sala del trono di Ereshkigal. Quest’ultima ordina al suo ministro Namtar, dio del destino, di scagliare contro Ištar sessanta malattie, e colpire ogni parte del suo corpo.

La prigionia della dea ha l’effetto di interrompere ogni attività di generazione nel mondo dei viventi. Questo stato di cose preoccupa gli dèi, e il dio Enki/Ea trova una soluzione, creando un giovane di grande bellezza, Tammuz, da inviare alla dea malvagia per affascinarla e indurla al perdono nei confronti della sorella. Il piano sembra fallire (il testo è mutilo), perché Ereshkigal, pur dapprima affascinata, inizia a maledire la creatura maschile. Alla fine però concede la grazia a Ištar e ordina a Namtar di innaffiarla con l’acqua della vita; la dea dunque risale al mondo dei viventi in un brano simmetrico nel quale viene rivestita delle sue vesti e dei suoi ornamenti. Tuttavia, in cambio della propria salvezza, deve lasciare nell’oltretomba il suo amante Tammuz. Questi ritornerà sulla terra ogni anno per un solo giorno per i rituali a lui consacrati.

Ištar (adattato anche in Ishtar) è la dea dell’amore, della fertilità e dell’erotismo, dea anche della guerra, nella mitologia babilonese, derivata dall’omologa dea sumera Inanna. A lei era dedicata una delle otto porte di Babilonia. Essa aveva contemporaneamente l’aspetto di dea benefica (amore, pietà, vegetazione, maternità) e di dea terrificante (guerra e tempeste).

I principali centri del suo culto erano UrukAssurBabiloniaNinive

I miti

I numerosi miti riguardanti Ištar sono spesso in contrasto tra loro.

In alcuni racconti è figlia di Sin, dio della Luna, e sorella di Šamaš, dio del sole, mentre in altri è descritta come figlia di Anu, dio del cielo. In ogni versione, tuttavia, Ištar è descritta come sorella di Ereshkigal e sua controparte.

In tutti i racconti si mantiene comunque l’associazione della dea con il pianeta Venere, che le comporta l’appellativo di Signora della Luce Risplendente. L’iconografia della dea è associata anche alla stella a otto punte, un simbolo che si ritrova anche nell’iconografia cattolica correlato alla Vergine Maria. Il simbolo della stella a otto punte rievoca il fatto che il pianeta Venere ripercorre le stesse fasi in corrispondenza di un ciclo di 8 anni terrestri, cosa già ampiamente conosciuta agli astronomi/astrologi sumeri.

Nell’Epopea di Gilgameš Ištar rappresenta l’amore sensuale e viene descritta come innamorata via via di diversi pastori, tra cui Tammuz, e di un giardiniere, che furono poi condannati dalla dea stessa, trasformandoli in diversi animali, tra cui: un uccello dalle ali spezzate, un lupo, una rana. Gilgamesh rifiuta l’amore della dea Ištar, perché sa che non riceverà un trattamento migliore.

La morte di Tammuz è anche descritta nell’opera Discesa di Ištar negli Inferi, dove la dea, dopo essere discesa nell’oltretomba ed essere stata giudicata e giustiziata, rinasce scambiando il proprio corpo con quello dello sposo Tammuz. Dopo la morte di Tammuz tutte le donne, compresa la dea, assumono lo stato di lutto che dura un mese, detto appunto il mese di Tammuz. Alcune caratteristiche di questo rituale di lutto, quali per esempio il fondamentale digiuno mensile, sono state trasmesse alle cerimonie religiose islamiche. Durante la sua discesa negli inferi la terra si arresta e nulla può essere creato.

I suoi appellativi sono: “Argentea”, “Donatrice di Semi”, quindi governava anche la fertilità e il raccolto. In un’epoca successiva divenne anche la protettrice delle prostitute e dell’amore sessuale. Era la dea delle tempeste, dei sogni e dei presagi e distribuiva agli uomini potere e conoscenza.

Diffusione del culto in Egitto

Il culto di Ištar si diffuse anche in Egitto durante la XVIII dinastia.

Secondo la tradizione il culto potrebbe essere stato importato in Egitto da Amenhotep III con la richiesta fatta a Tushratta, re di Mitanni, di poter avere la statua della dea conservata a Ninive allo scopo di curare una malattia del sovrano egizio.

Sincretismo con altre divinità

La figura di Ištar si trova connessa con molte altre divinità del Vicino Oriente antico come AnathAnutitAruruAsdarAsheratAstarteAshtorethAthtarBelitInannaInnimiKilitiMashMeniNanâNinhursagNinlil Nintud e Tanit. Da questo fatto deriva anche la grande quantità di simboli diversi associati alla dea.

Bibliografia

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Categorie:B02.04- Religioni del vicino e medio oriente - Religions of the Near and Middle East, B04.02.01- Filologia e cultura accadica

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