Antonio De Lisa- Mai chiedersi: “Che ci faccio qui?” 

E’ un problema quando non senti il motore caldo della Guzzi “Nevada” rombare con tranquilla, sottomessa potenza. Ti preoccupi, fai strani pensieri. Cos’avrà, cosa non avrà. Il segno più inquietante è la perdita di colpi del motore. Sei costretto ad accelerare a vite, su e giù, tirando la frizione. Ti stanchi. Ti secchi. Questo succede di solito quando il motore è freddo. Ma quando senti che il motore non è freddo, non fosse altro per il bruciore che avverti alle gambe a contatto con il motore stesso, che è fin troppo caldo, allora, ecco, ti preoccupi.

Cominci con un’interminabile serie di domande diagnostiche. Questa versione della Nevada è a iniezione elettronica, non dovrebbe avere problemi al carburatore. Forse c’è una goccia d’acqua nella benzina. Qualcuno ha manomesso qualcosa nella notte.

Quando questo ti succede davanti a un albergo del Pireo ad Atene, con la prospettiva di intraprendere un viaggio che avrebbe dovuto essere molto bello verso il Peloponneso, giù a sud, e sei solo, ecco, quando questo succede si scatenano sentimenti non proprio benevoli nei confronti del tuo potente mezzo di locomozione, ma anche contro l’incapricciato umore avverso delle divinità.

Cominci a pensare: ci sarà un meccanico nelle vicinanze, qualcuno in grado di mettere mano a un motore Guzzi? Ovviamente c’è, ci potrebbe essere, ma il problema è che tu non hai la minima idea di dove sia. Ma prova a chiedere al portiere dell’albergo, no? Già, il portiere dell’albergo. Strano tipo.

Quando sono sbarcato dal traghetto, verso mezzanotte, non è stato difficile trovare la strada dell’albergo, non è stato nemmeno tanto difficile trovare l’albergo. E’ invece stato molto difficile convincere il portiere di notte a farmi parcheggiare sul marciapiede davanti all’ingresso. Strana pretesa, direte voi.

E no, quando ti assicurano per telefono che l’albergo è dotato di garage e quando ti accorgi che il “garage” consiste in due o tre posti macchina dall’altra parte della strada. Che fai, urli? No, ragioni. Con calma, con la calma dei pensatori navigati. Non si può abbandonare così una moto per strada.

Bene, e allora io parcheggio sul marciapiede davanti all’ingresso, fissando con una robusta catena la moto al palo della luce che sporge dal marciapiede. Da qui non mi muovo. Facile a pensarlo e a tentare di metterlo in pratica. Il difficile è realizzare la complicatissima operazione di fronte alle rimostranze del portiere di notte, che è convinto di poter dettare legge. Guardi che il marciapiede è largo, non do nessun fastidio. Ma la logica stringente e un tantino accademica del summenzionato portiere è di scuola sofistica.

Prima accampa un motivo, poi l’altro, senza minimamente prendere in considerazione il fatto che ti avevano promesso un garage che non c’è. Ma poi, da freddo ragionatore di scuola peripatetica, mi accorgo di aver avuto l’intuizione giusta quando vedo brillare gli occhi del portiere di fronte a un pezzo da cinquanta. Cinquanta euro, voglio dire. E la moto resta lì.

Anzi promette addirittura di fare la guardia. Poi, con fare disinvolto e cameratesco, rivela in un impeto d’orgoglio che anche lui è un motociclista. Anzi, era, perché la moglie gliel’ha proibito.

La moglie? Ma che specie di moglie ha costui? Meglio non approfondire, capace di rivelarti arcani segreti inopportuni mentre tu sogni già la doccia calda che ti aspetta, la lettura di quelle cinque-sei pagine di Nietzsche (Gli idilli di Messina e La Gaia scienza), un letto che si spera passabile, il dolce conforto di Morfeo.

Poi ti ricordi che non hai mangiato e che hai una discreta fame e allora pietisci una qualche indicazione gastronomica con la trionfale risposta che lì vicino c’è un posto aperto fino a tardi (per giovani, ammicca maliziosamente il portiere) dove fanno panini col kebab. Oddio, pensi, gli dei avversi insistono nelle avversità. Ma il panino col kebab risulterà essere non proprio disprezzabile, anzi decisamente buono. E’ la birra che lo guasta.

La notte scorre tranquilla e piovosa. Ma tu pensi, da pitagorico convinto, ma siamo in Grecia, domani ci sarà il sole. Ora, bisogna sapere che una cosa sono le teorie pitagoriche, un’altra la realtà. Infatti, piove a dirotto. E mica smette. Poi scoprirò che a Messina quando piove in quel modo vengono giù le frane, ma io mica lo sapevo allora. Breve riassunto della situazione.

Piove, il motore singhiozza, il portiere di giorno mi ha assicurato a colazione che il “le strade greche sono micidiali”. A una timida domanda di approfondimento mi ha sciorinato una mezza dozzina di cause di possibili catastrofi.

Soni piene di buche, tutte rattoppato, viscide per l’olio che perdono i pesanti Tir in circolazione, battute dal vento con raffiche tumultuose, non c’è la corsia di emergenza, le piazzole di sosta scarseggiano e gli automobilisti sono molto cattivi. Non ha voluto precisare in che cosa consista questa cattiveria e io, per la verità, non ho manifestato nessuna curiosità di saperlo. L’abbiamo assunta come una semplice verità apodittica. Gli automobilisti del Peloponneso sono molto cattivi. Punto e basta.

Con queste lusinghiere premesse ho staccato la moto dal palo, e sotto una pioggia battente ho cominciato a perlustrare la zona. Il motore dopo un po’ ha ripreso a cantare la sua solita canzone con la voce di un basso profondo tendente al nostalgico, come se volesse annunciarti: ma dove mi hai portato.

Che fai in questi casi? Ti fermi, butti la robaccia fradicia che avevi addosso in una delle borse e ti zavorri come un marziano. Equipaggiamento da pioggia, aumentando di un buon venti per cento l’insieme del tuo peso corporeo e di quello della moto.

E pensi, così bardato: andiamola a provare questa strada assassina. Ovviamente, non azzardi un sorpasso, ti tieni sul margine della strada e quando passa un Tir che ti fagocita letteralmente nelle sue onde tu fai finta di niente e ridi divertito. Il tratto autostradale è veramente infame. Magari col sole sarà anche suggestivo, per il panorama, ma così è un disastro.

E tu, che non è la prima volta che metti piede in Grecia pensi, ma perché sono qui, in una versione più dimessa della famosa frase “Che ci faccio io qui?” di Bruce Chatwin, che tutti i viaggiatori hanno incollato al petto.

Se è per questo, anche se vai a comprare le sigarette in una zona periferica della tua città potresti chiederti: “Che ci faccio io qui?”, ma di fatto non te lo chiedi. E allora perché te lo chiedi nel Peloponneso?

Antonio De Lisa

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