
Il Codice di Hammurabi è una fra le più antiche raccolte di leggi scritte.
Storia
Fu scoperto dall’archeologo francese Jacques de Morgan nell’inverno 1901-1902 fra le rovine della città di Susa. Si conoscono altre raccolte di leggi promulgate da re sumerici e accadici, ma non sono così ampie e organiche. Venne stilato durante il regno del re babilonese Hammurabi (o Hammu-Rapi), che regnò dal 1792 al 1750 a.C., secondo la cronologia media. Le disposizioni di legge contenute nel Codice sono precedute da un prologo nel quale il sovrano si presenta come rispettoso della divinità, distruttore degli empi e portatore di pace e di giustizia.

Descrizione
Le disposizioni sono state ordinate dal re Hammurabi di Babilonia e furono scolpite in caratteri cuneiformi su una stele di diorite raffigurante alla sommità il re in piedi, in atteggiamento di venerazione di fronte a Šamaš, dio solare della giustizia, maestosamente seduto sul trono. Il dio porge ad Hammurabi il codice delle leggi, che dunque sono considerate di origine sacra. La stele è di diorite nera, alta circa 225 cm; venne rinvenuta nella città di Susa (oggi Shush, capitale amministrativa della provincia di Shush, nella regione iraniana di Khūzestān).
Si ritiene che la stele fosse originariamente esposta nella capitale, e che sia stata trasportata nel luogo del ritrovamento come bottino di guerra dall’esercito elamita. Dato che nella stessa Susa fu trovato un esemplare analogo, molto probabilmente si trattava di un’opera eseguita in serie, di cui esistevano numerose copie. L’assiriologo Jean-Vincent Scheil, che faceva parte della missione archeologica durante la quale fu scoperto il codice, in meno di un anno riuscì a decifrarlo e nel 1904 ne pubblicò la traduzione.
Attualmente si trova a Parigi, nel Museo del Louvre. Una copia si trova al Pergamonmuseum a Berlino, in Germania. La lingua con cui è stata scritta è accadico, la lingua parlata in Mesopotamia.
Contenuto
Il corpus legale è suddiviso in capitoli che riguardano varie categorie sociali e di reati, abbraccia molte delle possibili situazioni dell’umano convivere del tempo, dai rapporti familiari a quelli commerciali ed economici, dall’edilizia alle regole per l’amministrazione del regno e della giustizia. Le leggi sono notevolmente dettagliate, e questo ha fornito un aiuto prezioso agli archeologi, consentendo loro di ricostruire importanti aspetti pratici della società mesopotamica. L’importanza del codice di Hammurabi risiede certo nel fatto che si tratta di una delle prime raccolte organiche di leggi a noi pervenuta, ma soprattutto nel suo essere pubblico, o per meglio dire pubblicamente consultabile, esplicitando il concetto giuridico della conoscibilità e della presunzione di conoscenza della legge.
Il cittadino babilonese, purché sapesse leggere, aveva perciò la possibilità di verificare la propria condotta secondo le leggi del sovrano, e quindi di evitare determinati comportamenti, o di scegliere di attuarli a suo rischio e pericolo. Per la prima volta nella storia del diritto, i comportamenti sanzionabili e le eventuali pene vengono resi noti a tutto il popolo (o almeno a chi fosse in grado di leggere).
«I poveri, le vedove e gli orfani sono posti sotto la tutela dello Stato. Le donne sono protette contro i maltrattamenti del marito. In favore dei lavoratori viene alzato il salario e sono stabiliti i giorni di riposo annuali» |
(Codice di Hammurabi, trad. Di Nola-Furlani[1]) |
Il codice fa un larghissimo uso della Legge del taglione. La pena per i vari reati è infatti spesso identica al torto o al danno provocato: occhio per occhio, dente per dente. Ad esempio la pena per l’omicidio è la morte: se la vittima è il figlio di un altro uomo, all’omicida verrà ucciso il figlio; se la vittima è uno schiavo, l’omicida pagherà un’ammenda, commisurata al “prezzo” dello schiavo ucciso. Il codice suddivide la popolazione in tre classi:
- awīlum (lett. “uomo”), cioè il cittadino a pieno titolo, spesso nobili;
- muškēnum, uomo “semilibero”, cioè libero ma non possidente; in seguito la parola passò a definire un povero[2] o mendicante
- wardum (fem. amat), cioè lo schiavo, che poteva essere acquistato e venduto.
Le varie classi hanno diritti e doveri diversi, e diverse pene che possono essere corporali o pecuniarie. Queste ultime sono commisurate alle possibilità economiche del reo, nonché allo status sociale della vittima.
Non viene riconosciuto nel Codice il diritto di responsabilità personale, ossia la pena non è differente a seconda che il danno commesso sia volontario o colposo. Un esempio classico è l’architetto che progetta una casa; se essa crolla e uccide coloro che vi abitano, la colpa è di chi l’ha progettato, e la pena è come se egli avesse ucciso di persona le vittime.
L’impostazione basata sulla legge del taglione modifica il pensiero giuridico dominante nel periodo precedente, attestato dal Codice di Ur-Nammu, che prevedeva per alcuni reati semplici sanzioni pecuniarie invece di quelle fisiche. È possibile che questo cambiamento sia da attribuire alla diversa composizione della popolazione sud mesopotamica del periodo: nel XXI secolo a.C., data a cui risale il codice di Ur-Namma, i sovrani erano ancora di origine sumerica e la popolazione accadica era solo una parte, sebbene importante, del totale; nel XVIII secolo a.C. gli Accadi, semiti, erano ormai la maggioranza e le stesse leggi vennero scritte in accadico anziché in sumerico.
Rimarchevole del codice è il linguaggio adoperato nel dettare le disposizioni normative: asciutto e conciso, come sarebbe poi stato il linguaggio inaugurato dalla tradizione codificatrice francese, e non prolisso e didascalico tipico della tradizione romana (la quale amava anche fare riferimenti a leggi e costumi precedenti oppure alle finalità perseguite dalla legge), poi seguita in tutta Europa nel corso del medioevo e in Austria nella prima età contemporanea. Ogni parola ha una funzione precisa nell’economia del precetto, conformemente agli odierni canoni di buona tecnica normativa.
Il codice ha anche inaugurato un’altra importante caratteristica tipica della codificazione moderna, vale a dire la suddivisione del testo in articoli: ogni disposizione normativa del codice, infatti, è numerata, il che ne consente il richiamo in modo molto agevole. Anche in questo caso i romani si sono dimostrati più arretrati, in quanto il loro diverso e più complesso sistema di numerazione imponeva l’uso di una gran quantità di numeri per riuscire a richiamare la singola disposizione (sistema che, paradossalmente, è stato recuperato in tempi recenti in Francia): per menzionare o citare disposizioni dal Digesto di Giustiniano, per esempio, era necessario indicare il numero del libro, del titolo e infine del paragrafo (che conteneva la singola disposizione), perché la numerazione dei paragrafi ricominciava da capo ad ogni titolo.
Questa la struttura del codice:
- I processi (1-5).
- Alcuni reati contro il patrimonio (6-26).
- La scomparsa della persona fisica (27-32).
- Alcuni reati propri dei militari (33-36).
- I diritti reali (37-65).
- Disposizioni perdute (66-99).
- Alcune disposizioni su obbligazioni e contratti (100-126).
- La calunnia (127).
- Rapporti familiari (128-195).
- Alcuni reati contro la persona (196-214) (qui sono contenute le notissime disposizioni sulla legge del taglione, come le nn. 196 e 200 sulle lesioni agli occhi e ai denti).
- Altre disposizioni su obbligazioni e contratti (215-282).
È facile constatare che ancora siamo lontani dal rigore sistematico tipico delle codificazioni moderne e contemporanee. Vengono trattati indistintamente argomenti di diritto civile, penale e processuale, e lo stesso ordine di trattazione manca a volte di coerenza. Il codice contiene inoltre la prima testimonianza dei doveri della professione del medico[3], ben prima del Giuramento di Ippocrate.
Note
- ^ Furlani, Leggi dell’Asia Anteriore Antica (PDF), traduzione di A. Di Nola, Roma, Istituto per l’Oriente, 1929 (trad.1974). URL consultato il 4 agosto 2014 (archiviato dall’url originale l’8 agosto 2014).
- ^ (EN) David P. Wright, Inventing God’s Law : How the Covenant Code of the Bible Used and Revised the Laws of Hammurabi, Oxford University Press, 4 agosto 2009, p. 428, ISBN 978-0-19-971952-5.
- ^ Storia della medicina per immagini (Antonio Molfese) – Sant’Arcangelo (Pz), su torremolfese.altervista.org. URL consultato il 4 febbraio 2019.
Fonte: Wikipedia
Categorie:B02.01- Storia culturale del Vicino Oriente antico, B03- [MESOPOTAMIA], B04- [BABILONIA], B04.02.01- Filologia e cultura accadica
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