Preistoria
Andamento demografico della popolazione di Roma dal 500 a.C. ad oggi
Le prime tracce di insediamenti nell’area risalgono alla cultura dell’uomo di Neanderthal, con il famoso ritrovamento dell’uomo di Saccopastore.
Nella zona di Roma sono stati effettuati diversi ritrovamenti, il più antico dei quali si riferisce al sito della Valchetta, con resti risalenti a 65.000 anni fa. Nella zona di Casal de’ Pazzi, uno scavo ha restituito ossa di animali risalenti a circa 20.000 anni fa; mentre a Quadrato di Torre Spaccata, presso la via Tuscolana, sono stati portati alla luce resti di un insediamento del Neolitico finale risalente a circa 6200-6100 anni fa e di un altro della fine dell’età del Rame risalente a 4700-4600 anni fa. Numerosi altri insediamenti e necropoli con tombe ipogeiche a grotticella (facies di Rinaldone, gruppo Roma-Colli Albani e del Gaudo)[1] sono stati identificati nel territorio del suburbio e coprono un arco di tempo compreso tra il Neolitico antico (facies della Ceramica impressa medio-tirrenica, circa 7600 anni fa) e la fine dell’età del Rame (facies della ceramica a pettine trascinato, circa 4700-4000 anni fa), documentando una intensa frequentazione e sfruttamento del territorio da parte di comunità complesse e ben strutturate[2].
Le tracce successive risalgono all’età del ferro e sono riferibili all’arrivo di genti di stirpe indoeuropea (Latini), stando alle teorie correnti, nel quadro di un generale fenomeno di migrazione che sembra essersi svolto verso la penisola italiana in due ondate successive (prima il gruppo latino-falisco e quindi il gruppo umbro-sabello). I Falisci occupavano la valtiberina, tra i monti Cimini e i Sabatini, mentre i Latini si erano stanziati nel Latium vetus (“Lazio antico”), che andava dalla riva sinistra del corso finale del Tevere ai Colli Albani. Il loro territorio confinava con quello di diverse altre popolazioni, la più importante delle quali era sicuramente quella degli Etruschi, a nord del Tevere.
I Volsci, di origine osca, occupavano la parte meridionale del Lazio e i monti Lepini; gli Aurunci, la costa tirrenica a cavallo dell’attuale confine tra Lazio e Campania; a nord, sull’Appennino, si trovavano i Sabini; a est gli Equi. Nella valle del Trero, gli Ernici controllavano la via commerciale per la Campania e, tra Ardea ed Anzio, erano stanziati i Rutuli.
La posizione geografica della futura Roma ebbe sicuramente un ruolo fondamentale, posta all’incrocio tra la via fluviale e la via di terra che, tramite il guado dell’Isola Tiberina, mette in collegamento l’Etruria con la Campania, quindi il mondo etrusco con quello della Magna Grecia. Nell’urbanistica attuale si è conservato il ricordo di questo passaggio: da via Lungaretta, che anticamente corrispondeva al tratto finale della via Aurelia, si scende dal Gianicolo fino al moderno ponte Palatino (ma che si trova accanto ai resti dell’antichissimo ponte Sublicio), per trovarsi nella zona dell’antico mercato del Foro Boario; da qui, lungo la valle del Circo Massimo, si arriva facilmente al punto dove si biforcano la via Latina e la via Appia.
Età protostorica e fondazione
Montes e colles del Septimontium di Roma antica.
I primi insediamenti nella zona della futura città di Roma sorsero sul colle Palatino intorno al X secolo a.C. (ma le prime tracce archeologiche risalgono almeno al XIV secolo a.C.), mentre successivamente vennero occupati anche i colli Esquilino e Quirinale. Resti archeologici hanno dimostrato come lungo il Tevere fino a Ostia esistessero, tra la fine dell’Età del bronzo e l’inizio dell’Età del ferro, tutta una serie di fitti villaggi, che aveva occupato quasi ogni collina lungo il fiume: all’epoca di Strabone (I secolo a.C.) erano tutti scomparsi[3].
La città di Roma si venne a formare attraverso il fenomeno del sinecismo, durato vari secoli, che vide, in analogia a quanto accadeva in tutta l’Italia centrale, la progressiva riunione in un vero e proprio centro urbano degli insediamenti dispersi sui vari colli. Ed è quello che verosimilmente può essere accaduto sul Palatino, che inizialmente era composto da vari nuclei abitativi indipendenti: il Romolo della leggenda può essere stato il realizzatore della prima unificazione di questi nuclei in un’entità unica.
La data tradizionale alla metà dell’VIII secolo a.C., corrisponde al momento in cui i dati archeologici disponibili indicano la creazione di una grande necropoli comune sull’Esquilino, che sostituisce i precedenti luoghi di sepoltura nelle zone libere tra i villaggi, ormai considerate parte integrante dello spazio urbano, come ad esempio l’area del colle Velia, l’altura intermedia tra il Germalo ed il Palatino vero e proprio. Scavi al Foro Boario hanno portato alla luce della ceramica greca dell’VIII secolo a.C. che dimostra i rapporti commerciali con le prime colonie elleniche di Ischia e Capua[4]. Inoltre, sempre risalenti alla metà dell’VIII secolo a.C., abbiamo le tracce archeologiche di capanne sul Palatino, con la conseguente creazione di un unico sito abitativo che può essere riconosciuto come la prima dimora dei re di Roma, almeno fino al 750–725, data in cui si viene a creare un duplicato della regia palatina nella zona del futuro locus Vestae. In relazione alla capanna regia del Palatino si hanno anche la fossa di fondazione e alcune rasature di muri risalenti allo stesso periodo, che possono essere interpretati come i muri della prima Roma, la Roma quadrata delle fonti annalistiche.
La data ufficiale fu fissata da Marco Terenzio Varrone, secondo il quale la città era stata fondata da Romolo e Remo il 21 aprile del 753 a.C. Altre fonti riportano tuttavia date diverse: Quinto Ennio, poeta latino del III–II secolo a.C., nei suoi Annales colloca la fondazione nell’875, lo storico greco Timeo di Tauromenio (IV-III secolo a.C.) nell’814 (contemporaneamente, quindi, alla fondazione di Cartagine), Quinto Fabio Pittore (III a.C.) all’anno 748 e Lucio Cincio Alimento nel 729.
Età romana
Età regia
I primi Re di Roma appaiono soprattutto come figure mitiche. Ad ogni sovrano viene generalmente attribuito un particolare contributo nella nascita e nello sviluppo delle istituzioni romane e nella crescita socio-politica dell’urbe[5]. Contemporaneamente, venivano fondati i primi edifici di culto e si insediavano sui colli periferici gli abitanti delle vicine città che venivano man mano conquistate e distrutte. Una fase importante avvenne nel VII secolo a.C., al tempo attribuito ad Anco Marzio, quando venne creato il primo ponte sul Tevere, il Sublicio e venne protetta la testa di ponte ovest con un insediamento sul Gianicolo. Nello stesso periodo egli, secondo la tradizione, avrebbe fatto costruire il porto di Ostia alla foce del fiume, e lo avrebbe collegato con una strada che eliminò tutti i centri abitati sulla riva sinistra del Tevere: lo scavo di Decima, che potrebbe essere identificato in Politorium o Tellenae, ha dato fondamento a questa tradizione, poiché è stato notato come lo sviluppo della sua necropoli si arresti bruscamente alla fine del VII secolo a.C.[senza fonte].
Lo sfruttamento delle potenzialità della posizione privilegiata dell’insediamento e la sua urbanizzazione può spiegare l’intervento puntuale degli Etruschi, divenuti consapevoli della posizione chiave della città: nel VI secolo a.C. i re appartennero a una dinastia etrusca, che segnò la definitiva urbanizzazione della città. Le mura Serviane (nel tracciato che coincide quasi perfettamente con il rifacimento del IV secolo a.C.) cinsero una superficie di 426 ettari, per una città, divisa in quattro tribù territoriali (Palatina, Collina, Esquilina e Suburbana), che era la più ampia della penisola italica di allora[6]. Il periodo di grande prosperità per la città sotto l’influenza etrusca degli ultimi tre re è testimoniato anche dalle prime importanti opere pubbliche: il tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio (il più grande tempio etrusco a noi noto[7]), il santuario arcaico dell’area di Sant’Omobono, e la costruzione della Cloaca Massima, che permise la bonifica dell’area del Foro Romano e la sua prima pavimentazione, rendendolo il centro politico, religioso e amministrativo della città. Un altro canale drenò Vallis Murcia e permise, sempre ad opera dei Tarquini, di costruire il primo edificio per spettacoli al Circo Massimo.
L’influenza etrusca lasciò a Roma testimonianze durevoli, riconoscibili sia nelle forme architettoniche dei templi, sia nell’introduzione del culto della Triade Capitolina (Giove, Giunone e Minerva) ripresa dagli dèi etruschi Uni, Menrva e Tinia. Roma non perse mai però la sua forte componente etnica e culturale latina, per questo, anche alla fine dell’età regia, non si può mai parlare di città etrusca a tutti gli effetti.
Età repubblicana
Pianta di Roma antica in epoca repubblicana
L’espansione territoriale nella zona circostante all’inizio dell’età repubblicana ci è tramandata dal testo del primo trattato con Cartagine, riportato da Polibio, dove si parla di un territorio dipendente da Roma che si estendeva fino al Circeo e a Terracina.
I decenni successivi al 509 a.C. furono caratterizzati da una notevole attività edilizia: tra i santuari sorsero il tempio di Saturno, il tempio dei Dioscuri nel Foro e quello di Cerere alle pendici dell’Aventino. Queste fondazioni dimostrano un innegabile influsso ellenico, testimoniato anche dalle importazioni di ceramica greca, continue fino alla metà del secolo successivo. A partire dalla metà del V secolo a.C. con il governo dei decemviri e con lq promulgazione delle leggi delle XII tavole si registrò invece un periodo di crisi, causata dalla fase più acuta delle lotte tra patrizi e plebei e dalla calata del Volsci, che significò la perdita dei territori nel Lazio meridionale. Un analogo declino venne subìto in tutta la penisola, anche nelle città greche e etrusche. L’unica opera architettonica di qualche rilievo fu la fondazione del Tempio di Apollo in Campo Marzio e la Villa Pubblica, creata per le nuove figure dei censori.
All’inizio del IV secolo a.C. si registrò una ripresa dopo il periodo di lotte con le popolazioni confinanti, culminata con la conquista della città etrusca rivale, Veio, dopo ben dieci anni di assedio e ad una guerra durata quasi un secolo. Poco dopo seguì però l’attacco e la conquista da parte dei Galli nel 390 a.C.
Dopo la devastante invasione (che spinse verso la decisione, non attuata, di trasferirsi nella Veio da poco conquistata) si registrò una ripresa. Fu ricostruita la grande cinta muraria serviana, di cui rimane un tratto ben conservato e visibile nelle vicinanze della Stazione Termini, ricalcando il tracciato precedente e sostituendo le mura in cappellaccio e i terrapieni con pareti più alte e meglio strutturate, in blocchi di tufo di Grotta Oscura. La città, venne velocemente ricostruita, e fu a questa rapidità nella ricostruzione che gli storici romani (come Tito Livio) attribuirono l’aspetto disordinato della pianta cittadina. In verità però gli archeologi oggi tendono a spiegare la disordinata urbanistica di quel periodo con la rapida e continua crescita progressiva del nucleo urbano (come avveniva per esempio anche ad Atene), che non seguì alcun piano preordinato, con gli edifici e le vie che si adattavano all’orografia del territorio[senza fonte]. In conseguenza si trattò piuttosto di un evento di lunga durata, perché se si fosse giunti ad una vera e propria ricostruzione si sarebbe certamente seguito un impianto più regolare: negli edifici arcaici e del IV secolo a.C. non sono stati individuati importanti rifacimenti o cambiamenti di pianta e orientamento.
All’età repubblicana risale la fondazione di diversi edifici pubblici e templi, soprattutto nell’area del Foro Romano, dei quali sono rimaste conservate le versioni architettoniche successive, del Campidoglio e del Palatino. Sempre in quegli anni si tracciarono le prime strade consolari, i rispettivi ponti sul Tevere e i primi acquedotti (come quello voluto dal censore Appio Claudio Cieco nel 312 a.C.).
Solo a partire dal III secolo a.C. si andarono sviluppando le prime trasformazioni monumentali inserite in piani urbanistici coerenti, ad esempio il complesso di templi repubblicani dell’area sacra di Largo Argentina, costruiti separatamente e unificati dall’inserimento in un grande portico.
Nacquero contemporaneamente i modelli architettonici della basilica civile e dell’arco onorario. Per la prima volta venne applicata la tecnica edilizia del cementizio, che consentì all’architettura romana di avere un suo originale sviluppo, e iniziò l’importazione del marmo come ornamento degli edifici. Forte era l’influenza della Magna Grecia, con artisti ellenici presenti a Roma dall’inizio del V secolo a.C. e l’accentuarsi del livello culturale medio dei romani. Il primo tempio interamente in marmo, fortemente influenzato dalle forme greche, fu il tempio rotondo del Foro Boario. Nacquero in città fabbriche di ceramica di alto livello, che vennero esportate un po’ ovunque nel Mediterraneo occidentale. Si diffuse la tecnica per realizzare statue in bronzo: dalle statue di Alcibiade e Pitagora ricordate nella seconda metà del IV secolo a.C. nel Comizio, opera di artisti greci, alla quadriga in bronzo nel tempio di Giove Capitolino del 296 a.C., che sostituì una quadriga in terracotta dell’etrusco Vulca, dalle due statue colossali di Ercole e Giove nell’Area Capitolina, al celebre Bruto capitolino. Gli scrittori greci parlano ormai spesso di Roma, anzi uno di loro arriva a definirla “città greca”[8].
La “fase classica” della Repubblica romana coincise con la conquista dell’Italia, della Sicilia e della Sardegna, basata su un ampio ceto di piccoli e medi proprietari terrieri che costituivano il nerbo dell’esercito.
Fino alla seconda guerra punica Roma era sostanzialmente una città-stato a capo di una confederazione, ma a partire dal II secolo a.C. prese campo una crisi che si concluse con la creazione dell’impero. Tra le cause ci furono la crisi economica dovuta alla guerra, che rovinò la classe dei piccoli e medi proprietari terrieri; il latifondo iniziò a dominare la scena agreste, sostituendo a poco a poco la piccola proprietà, la popolazione proletaria si riversò così in città, andando a ingrossare le file del clientelismo politico delle principali famiglie senatorie, detentrici anche del potere economico. L’andamento si rivelò inattaccabile e i tentativi di rovescio dei Gracchi o di Saturnino fallirono miseramente. Assottigliatesi le leve militari tra i proprietari terrieri, si dovette creare un esercito di mercenari, che, slegato dalle sorti della Repubblica, finì poi per consegnare il potere nelle mani dei suoi capi.
Negli ultimi due secoli della Repubblica i personaggi che conquistavano grande prestigio personale e si contendevano il potere iniziarono a sviluppare progetti urbanistici di respiro sempre più ampio, per assicurarsi l’appoggio delle masse popolari, a partire dai grandi portici della zona del Circo Flaminio, al Tabularium di Silla, che tuttora fa da sfondo al Foro Romano verso il Campidoglio, insieme al restauro del tempio capitolino. Pompeo lasciò la sua testimonianza nella città con la costruzione di un grande teatro in muratura. L’aspetto monumentale iniziò a svilupparsi anche in altre zone della città, come il Foro Olitorio e il Foro Aventino. Nel frattempo si svilupparono i grandi quartieri popolari, grazie all’immigrazione anche dalle città italiche, con le insulae, case d’affitto a più piani. Una descrizione di Roma alla vigilia dell’impero si legge in Strabone: accanto a zone ancora libere sorge una serie ininterrotta di edifici pubblici, templi, teatri, portici, terme e un anfiteatro. A ciò va aggiunta la spinta privata all’edilizia, con le domus (le case dei più ricchi), assimilabili ormai alle più lussuose dimore ellenistiche, con il cortile colonnato (peristilio) e decorazioni sempre più sfarzose (pavimenti marmorei, pitture parietali, mosaici, soffitti dorati, ecc.). Resti di abitazioni monumentali del genere sono stati scoperti soprattutto sul Palatino e sull’Esquilino.Giulio Cesare
L’età di Cesare
Giulio Cesare, secondo quanto ci tramanda Cicerone, aveva in progetto un rinnovo totale dell’aspetto di Roma, con un grandioso piano regolatore che prevedeva interventi in più zone, soprattutto in Campo Marzio e a Trastevere. Era addirittura prevista una deviazione del Tevere, per spianare le anse del Campo Marzio e unirlo con una parte dell’Ager Vaticanus. La sua morte, avvenuta non lontano dal luogo dove si trova il teatro Argentina, non permise la realizzazione di questi progetti, ma fece in tempo a distruggere il Comizio, ricostruire la Curia, sede del Senato, creare una nuova piazza a suo nome, il Foro di Cesare, una basilica e i nuovi rostri, definendo l’aspetto e il nuovo orientamento del Foro repubblicano. Inoltre il Foro di Cesare fece da esempio per i successivi sviluppi dei Fori Imperiali.
Età imperiale
Il maggiore sviluppo urbanistico e monumentale si ebbe nell’età imperiale.
Roma augustea
Roma sotto l’impero di Augusto in una mappa tedesca del 1888
Con Augusto la città, che aveva ormai una popolazione di circa un milione di abitanti[9], venne divisa in 14 regioni. Venne istituito il corpo dei vigiles, con compiti di vigili del fuoco e polizia urbana, e vennero delimitate le rive e l’alveo del Tevere, con la creazione di nuovi acquedotti.
Si completarono alcuni degli interventi di Cesare e si avviarono nuovi grandi progetti urbanistici, che sebbene non avessero la grandiosità e la radicalità di quelli cesariani, si raccordarono direttamente ad essi, a partire dalla costruzione di un nuovo Foro di Augusto e dalla regolarizzazione della piazza del Foro Romano con la costruzione del tempio del Divo Giulio e della basilica Giulia e il rifacimento della basilica Emilia. L’antica sede della vita politica cittadina diventava così una piazza monumentale acquistando il suo aspetto definitivo.
Con l’aiuto di Agrippa, suo amico e consigliere, Augusto si occupò anche della sistemazione del Campo Marzio, che si andò arricchendo di edifici pubblici e monumenti. Nella zona più periferica venne costruito il suo mausoleo al quale erano inoltre simbolicamente collegati un grande orologio solare, che usava un obelisco come gnomone, e l’Ara Pacis. Le Terme di Agrippa furono le prime terme pubbliche della città.
Nell’area del Circo Flaminio venne costruito il teatro dedicato al nipote Marcello, in prossimità del ricostruito Portico di Ottavia, dedicato in nome della sorella Ottavia, madre di Marcello, e del tempio di Apollo Sosiano. A queste opere va aggiunto un teatro, le biblioteche aperte al pubblico e il restauro o la costruzione di ben 82 santuari: Augusto affermò di aver trovato una città di mattoni e di lasciarla di marmo.
I e II secolo d.C.
Pianta del centro monumentale di Roma antica in epoca imperiale
La monumentalizzazione della città proseguì sotto i successori di Augusto. Nel 64, sotto il regno di Nerone uno spaventoso incendio quasi rase al suolo l’intera città, distruggendo interamente tre delle zone augustee e danneggiandone gravemente sette, lasciandone integre solo quattro. Per favorire un’ordinata ricostruzione e impedire le condizioni che favorivano il diffondersi degli incendi, venne emanato un nuovo piano regolatore, attuato però solo in parte, come riporta Tacito, tramite la realizzazione di strade più larghe, affiancate da portici, senza pareti in comune tra gli edifici, di altezza limitata e con un uso quasi bandito di materiali infiammabili, sostituiti da pietra e mattoni. Approfittando della distruzione Nerone costruì la sua Domus Aurea, che occupò gli spazi compresi tra Celio, Esquilino (Oppio) e Palatino con un’enorme villa, segno tangibile delle mire autocratiche dell’imperatore. Altri edifici pubblici neroniani furono il mercato del Celio (Macellum Magnum) e le Terme di Nerone del Campo Marzio, la cui pianta regolare e simmetrica fece da modello per tutti gli edifici termali futuri, inaugurando la tipologia di terme “imperiali”.
Dopo la morte di Nerone, gli imperatori flavi, restituirono ad uso pubblico parte degli spazi occupati dalla sua residenza, costruendo le terme di Tito sul colle Oppio (forse adattate dalle terme private di Nerone), restituendo il tempio del Divo Claudio, già trasformato in ninfeo, e innalzando il Colosseo, sul sito del lago artificiale dei giardini. Venne tenuto per uso privato solo il breve settore della Domus Titi. Sotto i flavi ebbero luogo altri incendi, come l’incendio del Campidoglio del 69 e quello del Campo Marzio e Campidoglio dell’80. La città venne ricostruita erigendo, tra l’altro, il tempio della Pace (decorato dalle statue che Nerone aveva raccolto in Grecia e in Asia Minore) e i palazzi imperiali del Palatino (“Domus Flavia” e “Domus Augustana“). Nel 73 Vespasiano e Tito si presero una magistratura repubblicana ormai quasi dimenticata, quella di censore, con l’obiettivo di ampliare pomerium (il confine sacro della città) e iniziare una generale ristrutturazione urbanistica.
Domiziano proseguì l’opera dei suoi predecessori, ricostruendo integralmente, dopo l’incendio dell’80 il Campidoglio e il Campo Marzio. Tra i nuovi edifici fece costruire il Foro Transitorio (poi inaugurato da Nerva, dal quale prese anche il nome), l’arco di Tito, il Tempio di Vespasiano e Tito, lo Stadio di Domiziano, oggi ricalcato da piazza Navona, l’Odeon e la Porticus Divorum. L’edificio più grandioso fu il nuovo palazzo sul Palatino, dimora ufficiale degli imperatori fino alla fine dell’Impero.
Sotto Traiano si registrò la massima espansione dell’Impero romano e entro il II secolo Roma raggiunse la massima espansione demografica. L’imperatore completò la serie dei Fori Imperiali con la grande piazza del Foro di Traiano (il foro imperiale più grande, che dovette richiedere la distruzione di numerosi edifici tra Quirinale e Campidoglio, come il venerando Atrium Libertatis), nel quale venne collocata la celebre Colonna coclide e il contiguo complesso dei Mercati di Traiano. Vennero inoltre costruite le terme sul colle Oppio, le prime nelle quali si riscontra definitivamente il tipo che venne poi ripreso dalle terme di Caracalla e di Diocleziano.
Ad Adriano e Antonino Pio si deve il picco dell’attività edilizia. Dal 123 si registra l’uso di indicare sui mattoni la data consolare, segno di un’attività delle fornaci particolarmente intensa. Ad Adriano e ai suoi immediati successori si devono il Pantheon nel suo attuale aspetto e la costruzione di un Mausoleo, oggi trasformato in Castel Sant’Angelo, il tempio di Adriano, inserito più tardi nel palazzo della Borsa, il tempio di Antonino e Faustina nel Foro Romano, la Colonna antonina, dedicata a Antonino Pio e Faustina. La Villa Adriana fu una vera e propria reggia suburbana. Ma ancora più importante fu la costruzione di interi quartieri con insulae a più piani, come nella VII regione ad est della Via Lata: l’idea dell’aspetto di queste zone si può avere dagli scavi di Ostia antica, presso l’antico porto di Roma.
Dopo l’incendio del 191, sotto Commodo, iniziò una nuova fase di lavori, curati dalla dinastia dei Severi: fu ricostruito il Tempio della Pace, gli Horrea piperiana, il Portico di Ottavia; si aggiunse un’ala al palazzo imperiale sul Palatino, con una nuova facciata monumentale verso la Via Appia, il Settizonio; furono innalzati l’arco di Settimio Severo e le terme di Caracalla, l’edificio più imponente e tra i meglio conservati della Roma imperiale. Sempre all’epoca di Caracalla venne costruito quello che forse era il tempio più grandioso della città, il Serapeo sul Quirinale. La pianta marmorea incisa sotto Settimio Severo su un muro del Tempio della Pace e in parte pervenutaci ci dà una rappresentazione planimetrica della Roma di quegli anni.
Crisi del III secolo d.C. e periodo tardo-imperiale
Nel corso del III secolo, quando per la grande crisi politica e militare gli imperatori non furono quasi mai presenti nella capitale dell’impero, l’attività edilizia rallentò fino ad arrestarsi quasi del tutto. Sintomo del declino fu la fine dell’uso di bollare i mattoni con la data consolare, dalla morte di Caracalla con una parentesi di breve ripresa durante il regno di Diocleziano. Tra gli edifici costruiti nel II secolo ci furono il Tempio di Eliogabalo, sul Palatino, e il Tempio del Sole nel Campo Marzio, voluto da Aureliano. L’opera più importante fu tuttavia la costruzione delle mura aureliane, chiara testimonianza dei tempi, volute dall’imperatore Aureliano a partire dal 272: dopo secoli infatti si temeva nuovamente per la sicurezza della città, segno di una consapevole debolezza militare. Le mura furono successivamente rialzate e rafforzate più volte fino a raggiungere l’attuale e monumentale aspetto.
Con la Tetrarchia si ebbe una ripresa dell’attività edilizia, con la costruzione delle terme di Diocleziano (le più grandi di sempre), della basilica e della grande villa di Massenzio sulla via Appia. L’incendio di Carino del 283, che aveva distrutto parte del centro cittadino, rese necessaria una ricostruzione, alacremente intrapresa, con i restauri al Foro di Cesare, alla Curia, al Tempio di Saturno, al teatro e ai portici della villa di Pompeo. Forse risalgono a quegli anni i cataloghi Regionari, che contengono liste di edifici divisi per regione, dalla funzione non chiara, ma utilissimi per conoscere lo stato della città verso la fine del periodo antico.
Massenzio fu l’ultimo imperatore a scegliere la città come sua residenza e capitale, e fu lui ad iniziare una delle ultime stagioni edilizie imperiali: oltre alla già citata basilica, ricostruì il Tempio di Venere e Roma, innalzò una nuova villa imperiale, un circo e un sepolcro per la sua dinastia sulla Via Appia. Costantino I sconfisse Massenzio, impresa celebrata con la costruzione dell’arco di Costantino (315 o 325), completò la costruzione della basilica nei Fori e iniziò altri lavori come le Terme di Costantino, sul Quirinale. Alla sua epoca Roma, che continuava ad avere circa un milione di abitanti racchiusi in un perimetro di circa 20 chilometri, poteva contare su: 11 terme e 856 bagni privati, 37 porte, 29 grandi strade, centinaia di strade secondarie, 190 granai, 2 grandi mercati (macella), 254 mulini, 11 grandi piazze o fori, 1 152 fontane, 28 biblioteche, 2 circhi, 2 anfiteatri, 3 teatri, 2 naumachie, 10 basiliche e 36 archi di marmo[10]. Presto però l’attenzione di Costantino si rivolse alla creazione di edifici cristiani e, soprattutto, decise di dedicarsi alla creazione di una nuova capitale monumentale, Costantinopoli.
A Roma si continuarono a innalzare monumenti e archi onorari per tutto il V secolo, come l’arco di Graziano e Valente, quello di Teodosio, Arcadio e di Onorio e di Teodorico (405), dei quali oggi non resta però traccia. Tra il 402 e il 405 vennero rifatte le porte nelle mura aureliane con l’aggiunta di torri rotonde ancora oggi esistenti.
Da questo momento in poi le autorità urbane si limitarono a una semplice conservazione e restauro degli edifici della Roma antica, i quali, svuotati ormai di gran parte delle loro funzioni, andarono incontro a un inesorabile declino, con molti di essi distrutti volontariamente per usarne i materiali per nuovi edifici.
Da Roma imperiale a Roma cristiana
I primi edifici di culto cristiani della città furono soprattutto luoghi di riunione e centri comunitari organizzati in case private (domus ecclesiae e tituli), che prendevano il nome dal primitivo proprietario, in seguito spesso identificato con il santo titolare. Altri luoghi di culto e centri di sepoltura si trovavano fuori dalle mura, ugualmente presso terreni privati, senza che si distinguessero esteriormente da quelli pagani.
A partire da Costantino si cominciarono ad erigere le prime grandi chiese cristiane: le basiliche di San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme e le basiliche cimiteriali sorte presso le tombe dei martiri, spesso collegate ai mausolei della famiglia imperiale e con prevalente funzione cimiteriale (San Sebastiano sulla via Appia, San Lorenzo sulla via Tiburtina, Chiesa dei Santi Marcellino e Pietro ad Duas Lauros sulla via Labicana, Sant’Agnese sulla via Nomentana e la stessa basilica di San Pietro in Vaticano). Le chiese sorsero tuttavia in aree periferiche, in terreni di proprietà imperiale, pur riprendendo la forma dei grandi complessi pubblici (principalmente basiliche e sale termali).
Papa Damaso (366-384) intuì perfettamente quale doveva essere il ruolo della Chiesa nel collegamento e nell’inserimento tra il potere papale e quello imperiale: per poter attuare questo progetto, egli doveva prendere possesso del luogo più importante che deteneva il potere politico a Roma, il Palatino. Per questo motivo, tra l’anno 375 e il 379 d.C. le spoglie mortali di san Cesario di Terracina furono traslate da Terracina a Roma, con l’assistenza di papa Damaso intro Romanum Palatium, in optimo loco, imperiali cubicolo[11], ossia nella Domus Augustana sul colle Palatino (nel sito di Villa Mills, distrutta), affinché l’imperatore avesse avuto un santo tutelare di nome Caesarius. San Cesario, quindi, sostituì il culto dei Divi Cesari[12]. All’interno di questo palazzo imperiale venne eretto un oratorio in onore del martire chiamato “San Cesareo in Palatio”. Esso fu il primo luogo di culto cristiano, regolarmente ed ufficialmente costituito sul Palatino: fu il segno palese della consacrazione cristiana del palazzo imperiale perché sostituì il larario domestico degli imperatori pagani ed ebbe vero e proprio carattere di cappella palatina[13].
Fino alla fine del V secolo si continuarono inoltre a restaurare nella città gli edifici pubblici e i templi pagani, ad opera della potente aristocrazia senatoriale, rimasta in gran parte legata alle tradizioni pagane.
Negli anni successivi, si ebbero la costruzione di San Paolo fuori le mura (iniziata nel 384 per intervento diretto degli imperatori cristiani Valentiniano II, Teodosio I e Arcadio) e di Santa Maria Maggiore (iniziata intorno al 420).
Le trasformazioni in chiese di alcuni degli antichi tituli e le nuove costruzioni venivano finanziate da papi e presbiteri o da ricchi privati cristiani, inglobando spesso le case più antiche, e con la scelta di luoghi più vicini al centro cittadino. Il papa esercitava forse sin dall’inizio una qualche forma di controllo e solo a partire dalla metà del V secolo l’erezione di nuove chiese divenne una sua prerogativa. Sorsero così le chiese dei Santi Giovanni e Paolo, di San Vitale, di San Marco, di San Lorenzo in Damaso, di Sant’Anastasia, di Santa Sabina, di San Pietro in Vincoli, di San Clemente, di Santo Stefano Rotondo.
La posizione decentrata della cattedrale di San Giovanni in Laterano, che si andava accentuando in seguito all’inizio dello spopolamento della città, fece sì che numerose altre chiese cittadine fossero dotate di battisteri, che si aggiungevano al costantiniano Battistero lateranense.
Alarico dei Visigoti marciò verso Roma e la saccheggiò clamorosamente nel 410. Il sacco di Alarico non fu il più drammatico della storia della città: vi furono episodi cruenti, ma il re visigoto era cristiano (a differenza della sua popolazione) e rese omaggio alle tombe degli Apostoli, rispettando la sacralità del caput mundi. Al sacco seguì una certa flessione demografica, ma ancora attorno alla metà del V secolo sembra che Roma continuasse ad essere la città più popolosa delle due parti dell’Impero, con una popolazione non inferiore ai 650.000 abitanti[14]. Nonostante ciò la violazione dell’Urbe sconvolse il mondo antico, ispirando il De civitate Dei di Sant’Agostino, che si chiedeva come Dio avesse potuto permettere una profanazione così inaudita.
Di nuovo Genserico dei Vandali guidò via mare il suo popolo dal Nord-Africa verso Roma nel 455. Sebbene essi fossero cristiani (anche se convertiti all’arianesimo), saccheggiarono Roma in forma molto più spietata di quanto avesse fatto Alarico quarantacinque anni prima. Tale saccheggio fu formalmente giustificato da Genserico con il desiderio di riprendere la città dall’usurpatore Petronio Massimo, assassino di Valentiniano III.
Eruli ed Ostrogoti
La caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476 non cambiò molto le cose per Roma. Gli Eruli di Odoacre e quindi gli Ostrogoti di Teodorico continuarono, come gli imperatori che li avevano preceduti, a governare l’Italia da Ravenna. L’amministrazione della città era affidata al Senato, da lungo tempo privato dei suoi originari poteri, e sempre maggiore importanza acquistava il Papa, che in genere veniva da una famiglia senatoria. Durante il regno di Teodorico venivano ancora restaurati gli edifici pubblici cittadini a cura dello stato.
Fonte: Wikipedia
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