Protostoria del Vicino Oriente

La protostoria del Vicino Oriente è il periodo in cui, tra alcuni gruppi umani del Vicino Oriente, si diffondono e affermano nuovi modi e tecniche di produzione del cibo e dei tessuti (che vanno sostituendo rispettivamente gli usi paleolitici di attaccare branchi e greggi, al seguito delle quali l’uomo si muove, e di vestirsi con pelli).

La fase, collocata a partire dal 15.000 a.C., è detta “protostoria” in quanto prelude ad un uso sistematico di segni grafici per la registrazione amministrativa di dati numerici, uso che progressivamente porterà all’”invenzione” della scrittura.

La “Dea Madre” seduta, con accanto due leonesse: originariamente da Çatalhöyük, in Turchia, è un reperto neolitico (6000-5500 a.C. ca.), oggi al Museo della Civilizzazione Anatolica, Ankara

Paleolitico medio e superiore

Vi sono pochi ritrovamenti risalenti al Musteriano (120.000-40.000 a.C.). Le prime tracce di presenza umana sono state trovate nel Monte del Precipizio (Palestina, 100000-90000 a.C.), a Shanidar (Iraq), nel nord-ovest dell’Iran e sul Monte Carmelo (Palestina), risalenti almeno a 60.000 anni fa (grotta di Kebara). Tutto il materiale finora pervenutoci, più che da veri e propri insediamenti (seppur temporanei), è stato ritrovato all’interno di grotte, frequentate stagionalmente, nei pressi delle varie catene montuose. Le grotte, a motivo della loro profonda valenza simbolica, venivano anche usate come luogo di sepoltura (ad esempio, quelle del Monte Carmelo).

Epipaleolitico

Caccia e raccolta

Una prima fase dell’epipaleolitico è stata definita da Robert John Braidwood «periodo di caccia e raccolta intensificata» (ca. 15.000-10.000)[1]. Grazie alla scoperta dell’insediamento-tempio di Göbekli Tepe risalente come minimo (dato che è la datazione C-14 dello stucco organico delle pareti) a 11500 anni fa, tutte queste teorie oggi sono ridiscusse completamente. L’insediamento si pensava fosse ancora di tipo trogloditico (cioè in caverne) mentre le evidenze a Gobekli Tepe mostrano opere di costruzione megalitiche altamente tecnologiche ed artisticamente molto rilevante; si pensava che le comunità fossero formate da 40-50 individui al più, ma la costruzione di siti come Gobekli Tepe necessita una organizzazione sociale, una disponibilità di risorse ed una forza lavoro di un gruppo di persone notevolmente superiore di più ordini di grandezza. Si pensava che vivessero seguendo gli animali che sostentano la loro dieta ma sono stati trovati resti di fuochi e resti di cibo nella zona di Gobekli Tepe che contraddicono le precedenti conclusioni. Si supponeva che gli uomini non avessero ancora sviluppato nessuna tecnica di produzione o conservazione del cibo e la sussistenza restasse una sfida quotidiana[2], mentre ora si è riconosciuto che avessero queste capacità e anzi conservassero un surplus di risorse che permettevano loro di costruire siti tipo Gobekli Tepe.

Rispetto al paleolitico sussistono però due differenze importanti:

  • le specie cacciate sono di dimensioni minori (si tratta di gazzelle in Palestina, di ovini sui Monti Zagros e di caprini per tutta l’area).
  • gli animali non vengono più abbattuti in modo indiscriminato: si tenta piuttosto di salvaguardare la consistenza del gregge, attraverso una forma che è di controllo, anche se non ancora diretto.[2]

Interessanti sono anche gli sviluppi della raccolta di graminacee e leguminose: intensificandosi e specializzandosi in qualche modo, la raccolta dei semi produce involontariamente una diffusione e una selezione dei semi.[2]

L’industria litica si dirige verso il microlitismo. Appaiono i primi pestelli, che permettono di frantumare la dura gluma che ricopre i chicchi delle graminacee spontanee.[3] Intorno al 10.000 a.C. viene addomesticato il cane[4].

Le culture di maggior rilevanza si trovano in Palestina (Kebara) e in Iraq (Zarzi).

Produzione incipiente

Braidwood individua poi una seconda fase, detto «periodo della produzione incipiente» (ca. 10.000-7.500). Inizia l’addomesticamento delle greggi, con il conseguente utilizzo di latte e lana, e i primi esperimenti di coltivazione.

L’uomo inizia ad abbandonare gradualmente il nomadismo e si possono ipotizzare almeno insediamenti mobili prolungati. Questi erano situati, quasi totalmente, in zone di bassa montagna, così da avere a disposizione, a corto raggio, una certa gamma di unità ecologiche diverse che garantissero varietà di cibo (per mezzo di un loro sfruttamento in successione o contemporaneo), nonché averne disponibilità in diversi periodi dell’anno.[5]

L’articolarsi di una relazione costante tra l’uomo e questi panorami ecologici raccolti e protetti (le vallate e i bacini intramontani) regolarizza il nomadismo, rendendolo una sorta di “pendolarismo”, finalizzato all’utilizzo di risorse diverse, collocate in contesti prossimi. Intorno al 12500 a.C. il clima migliora (si fa mediamente più caldo e più umido) e le precipitazioni sono sufficienti a sostenere una costante copertura erbacea e l’infittirsi della foresta (querce e pistacchi).[6]

I siti guida della fase della «produzione incipiente» si trovano nella fascia pedemontana degli Zagros: Shanidar e Zawi Chemi, ma anche Kamir Shahir (nel Kurdistan, Ganjdareh e Asiab (nel Luristan) e Bus Mordeh (nel Khuzistan). Ma esiste anche una sequenza “palestinese”, rappresentata prima dalla cultura natufiana (in Palestina e nella Siria del medio Eufrate) e poi dal Neolitico preceramico A. La sequenza palestinese è ritenuta precoce rispetto a quella attestata sui monti Zagros.[7]

Le abitazioni (abbandonate ormai le caverne) sono di due tipi: quelle stagionali, che dipendono dallo spostamento della selvaggina, e quelle permanenti, attorno a cui iniziano le coltivazioni. Queste ultime sono capanne circolari con base seminterrata. Un’importante innovazione, che riguarda gli stanziamenti ormai stabili, è quella dei sili: questi sono scavati e intonacati per la conservazione del cibo. Comincia a diffondersi l’ereditarietà e la proprietà privata. Le sepolture riguardano sia singoli che famiglie.[8]

L’economia si basa essenzialmente su caccia, pesca e raccolta (frutti e piante). Questo tipo di sussistenza prosegue anche durante l’inizio della produzione autonoma di cibo (economia mista), in quanto i primi tentativi di agricoltura (einkorn, farro, orzo e alberi da frutto) e allevamento (principalmente caprovini e bovini) danno ancora risultati troppo precari perché siano adottati come unica fonte di sostentamento. La caccia e la pesca continuano a migliorare grazie ai progressi litici, che ora permettono di avere punte di freccia, ami e arpioncini, ma anche falcetti per la raccolta del cibo.

Se il progressivo addomesticamento va a buon fine con alcuni piccoli ruminanti (che sviluppano con gli uomini una sorta di seminale simbiosi), in alcuni casi (la gazzella, ad esempio), non viene superato questo stadio che retrocederà, in definitiva, al mero rapporto venatorio.[4] Oltre all’uso del latte e del pelo, il mutato rapporto tra uomini e bestie si sostanzia anche di un’importante modificazione nell’approccio venatorio: progressivamente vengono abbattuti solo gli esemplari maschi. L’addomesticamento in sviluppo è persino riscontrabile in evidenti modifiche morfologiche negli animali. Analoghe modifiche morfologiche si riscontrano nelle specie vegetali che entrano in rapporto con gli uomini: i primi esperimenti di coltivazione possono essere stati indotti dai reiterati raccolti delle graminacee spontanee e dall’intervenuta abitudine di veicolare le semenze verso gli abitati.[4]

I contatti diretti tra le varie comunità sembrano essere stati quasi inesistenti. Ciò è dovuto alle grandi distanze tra i vari abitati (i cui limiti territoriali erano molto vasti) e alle conseguenti barriere naturali intercorrenti tra essi.

Verso la fine di questa fase si hanno prove certe di coltivazione: l’esempio più clamoroso è quello di Mureybet (sul medio Eufrate), dove einkorn e orzo selvatici vengono coltivati al di fuori della loro zona naturale di diffusione. Analogo sviluppo può essere rappresentato dal farro e dall’orzo di Gerico.[7]

Neolitico

Neolitico preceramico

Schema cronologico della rivoluzione neolitica[9]15000PeriodizzazionePalestinaSiriaTauroAnatoliaKurdistanLorestanKhūzestān10000caccia e
raccolta

intensificata

Kebara

    

Zarzi

   7000produzione
incipiente

Natufiano
(10000-8500)
PPNA
(8000-7300)
  Hagilar
aceramico
(7500-7000)
 
Zawi Chemi
Shanidar

(9000-8000)
Karim Shahir
(7500-7000)
Ganjdareh
Asiab
(8000-7500)

 



Bus Mordeh
(7500-6500)6000neolitico
aceramico

PPNB (Gerico)
(7000-6000)

Beidha
(7000-6000)
 
PPNB (Mureybet)
(ca. 6500)

Buqrosel-Kom
(6500-6000)
 Çayönü
(7500-6500)
Giafer HüyükÇatalhöyük
aceramico
(7000-6000)Giarmo
aceramico
(6500-6000)Tepe Guran
(6500-6000)
 Ali Kosh
(6500-6000)
 

Siti protostorici del Vicino Oriente all’epoca dei primi commerci di ossidiana (le dimensioni del Golfo Persico sono quelle ipotizzate per il 3000 a.C.)

Il periodo del neolitico preceramico, detto anche aceramico, (ca. 7.500-6.000 a.C.) può essere inteso come un neolitico pressoché “pieno”[7]. È ora che abbiamo la totale sedentarietà, in case di mattoni crudi o fango. La nuova struttura dell’abitazione è quadrangolare: rispetto alla capanna circolare, che rappresenta l’abitato di un nucleo senza prospettiva di ampliamento, questo nuovo formato è intrinsecamente aperto a nuovi aggregati. Questi possono accentrarsi su un cortile o disporsi a scacchiera (di quest’ultima tipologia sono gli abitati di Gian Hasan III in Anatolia o di Buqros sul medio Eufrate).

Molto importante è infatti la cooperazione interfamiliare all’interno dei villaggi, che ora arrivano a contare anche 250-500 individui.[10] Caso clamoroso di cooperazione interfamiliare sono le fortificazioni di Gerico[10][11]. Sempre a Gerico si riscontrano “chiare espressioni ideologiche della struttura patriarcale”: i crani degli antenati vengono conservati e i lineamenti del volto ripresi sul teschio mediante l’uso di argilla[10].

Villaggi con abitati quadrangolari, coltivazione di graminacee e leguminose, allevamento di caprovini e suini (e più avanti anche di bovini) sono quelli appartenenti al Preceramico B in Siria e Palestina, oltre a Çayönü e Giafer Hüyük nella zona pedemontana del Tauro, Giarmo nel Kurdistan, Tepe Guran nel Luristan e Ali Kosh nel Khuzistan[10].

I villaggi risentono positivamente dei nuovi risvolti (proprietà dei mezzi di produzione e trasmissione ereditaria): le comunità natufiane si installavano in superfici di circa 2–3000 m², nel Preceramico A si passa a 2-3 ettari, che diventano mediamente 10 nel Preceramico B[12]. I nuclei abitati sono del tutto autonomi, ma i contatti tra di essi si ampliano e arrivano a coprire anche distanze di discreta lunghezza per quanto riguarda la reperibilità di certi materiali (pietre dure, metalli, conchiglie): in particolare, si sviluppa un commercio dell’ossidiana (dall’Anatolia e dall’Armenia), mentre le conchiglie giungono dal Mediterraneo, dal Mar Rosso, dal Golfo Persico. Ci si scambia insomma materiali di pregio e di poco ingombro (non le cibarie, dunque)[10][13].

Il neolitico pieno e la crisi del VI millennio

Zone di influenza delle diverse culture nel periodo medio Halaf, 5600-4500 a.C. (le dimensioni del Golfo Persico sono quelle ipotizzate per il 3000 a.C.)
Legenda (da sudest a nordovest approssimativamente):
     Cultura di Haggi Muhammad
     Cultura di Samarra
     Cultura di Halaf
     Cultura di Hassuna
     Culture “tipo Halaf”
     Ceramiche anatoliche
     Amuq D e neolitico ceramico B palestinese
     (area di Biblo): neolitico medio di Biblo

Il periodo che va dal 6000 al 4500 a.C. è indicato generalmente come “neolitico pieno”. L’affermarsi dei nuovi caratteri nell’economia di sussistenza (agricoltura e allevamento) è accompagnato da nuove tecniche di manifattura (tessitura[14], lavorazione della ceramica[15] e del rame martellato[16]) e l’ovvio perfezionamento e specializzazione di quelle già esistenti (punte di freccia, falcetti, strumenti per la lavorazione delle pelli, per la tosatura e la macellazione).

La ceramica, in particolare, svolge un ruolo molto importante, soprattutto per quanto riguarda l’inizio delle coltivazioni estese. La conservazione ottimale delle semenze all’interno di grandi giare di terracotta seminterrate all’interno dei magazzini è ancora di là da venire: si ricorre sempre ai sili, spesso abbandonati perché infestati dagli insetti. La ceramica si usa piuttosto per cuocere e per consumare i cibi (e più di rado i liquidi).[17]

Sono rari i contenitori in pietra. Diffusi dovevano essere quelli in legno e in vimini (e altrettanto le stuoie), ma sono scarsamente attestati perché molto deperibili. L’industria litica vede il progressivo abbandono degli attrezzi macrolitici del paleolitico e di quelli microlitici dell’epipaleolitico; caratteristici i resti di questa fase: punte di freccia, bulini e punteruoli per lavorare le pelli, falcetti per il taglio delle graminacee, lame per tosatura e macellazione delle bestie.[17] Non ci sono pervenuti vari strumenti in legno che certamente saranno stati utilizzati nell’agricoltura (i manici, ad esempio)[17].

L’allevamento si specializza circoscrivendosi al cane (usato per la difesa e la caccia), ai caprovini (che offrono lana e latte ma richiedono transumanza), ai suini (allevabili a breve raggio), ai bovini (che offrono latte e il cui allevamento è stanziale) e agli asini (che, oltre ad essere impiegati come animali da soma, assieme ai bovini vengono utilizzati per il lavoro).[18]

Gli abitati iniziano a diffondersi dalle zone pedemontane agli altopiani iranici e anatolici e, finalmente, giungono a popolare la piana mesopotamica[19].

L’economia ora è quasi esclusivamente a base agro-pastorale. L’agricoltura è molto favorita dall’irrigazione artificiale, i semi iniziano ad essere macinati e le tecniche di conservazione del cibo si affinano: arrostendo il seme diminuisce la sua capacità germinativa ed è più facile togliere la gluma. Prosegue comunque, accanto alla coltivazione, l’attività di raccolta e continuano ad essere sempre praticate caccia, pesca e raccolta di molluschi e crostacei.[19]

I villaggi sono autonomi ma inizia a strutturarsi un sempre più complesso sistema regionale: il sorgere degli insediamenti più a stretto contatto l’un l’altro è stato favorito principalmente dalle nuove tecniche di coltivazione, che hanno fatto aumentare di molto il rendimento delle coltivazioni e diminuire conseguentemente l’estensione territoriale di ogni villaggio.

Le abitazioni sono sempre quadrangolari, costruite con un impasto di argilla e paglia, a blocchi o mattoni (pietra e legname sono reperibili sono in alcune zone). I villaggi sono radi e non crescono molto di dimensioni rispetto ai periodi precedenti. In genere constano di poche famiglie allargate, a volte una sola. Dagli scavi degli insediamenti sembra non essere presente una diversificazione sociale o, perlomeno, questa non sembra essere molto marcata. Gli abitati sono quasi tutti delle medesime dimensioni e struttura e, dove sono presenti differenze, esse sono pressoché minime. Si può dunque ipotizzare che il potere decisionale fosse in mano del/dei capofamiglia o degli anziani.[20]

Nella prima metà del VI millennio incontriamo una fase di arresto o di crisi, segnata dal diminuire sensibile dei dati archeologici (crisi forse imputabile ad un periodo di siccità, conseguente al cambiamento climatico avvenuto intorno al 10.000 e che portò un innalzamento della temperatura)[21].

Pratiche funerarie e credenze religiose

Teste di toro neolitiche a Çatalhöyük, Turchia (Museo della Civilizzazione Anatolica, Ankara)

La religiosità[22] in questa fase si basa su due fattori distinti ma indissolubilmente legati: il culto degli avi e la fertilità, sia animale (e umana) che vegetale[23].

  • Il culto degli avi potrebbe essere sorto in connessione con la nascita delle strutture patriarcali. Le sepolture avevano luogo sotto il pavimento dell’abitazione e a volte poteva trattarsi di sepolture secondarie. Interessanti sono le offerte di cibo all’interno di vasi (indice della credenza della prosecuzione della vita nell’aldilà) unitamente all’uso dell’ocra rossa sul corpo del defunto (F. Fedele parla a tal proposito di “restituzione del sangue”). A volte, i teschi venivano prelevati a parte, e su essi era rimodellato in argilla il viso del defunto, con conchiglie al posto degli occhi (Gerico, Palestina, V millennio a.C.). Il corredo funebre era generalmente composto (ove le possibilità del defunto lo permettevano) da recipienti di pietra o legno, da ornamenti e fibbie d’osso e da strumenti litici, spesso di ottima fattura.
  • L’immagine della fertilità, invece, specchio di una vita dipendente quasi esclusivamente dai ritmi e dai cicli naturali, si trova nelle raffigurazioni fittili femminili (le famose veneri steatopigie, che non fanno certo né qui né ora le loro prime apparizioni) e nelle immagini animali simboleggianti riproduttività e generazione. M. Liverani ritiene sussista la probabilità di un parallelo che gli uomini del neolitico potrebbero aver istituito tra riproduzione animale e penetrazione sessuale da un lato e riproduzione vegetale e seppellimento dei semi dall’altro, da cui potrebbe esser scaturita l’abitudine al seppellimento dei morti, in funzione ricostitutiva.

Anche per l’assenza di una architettura cultuale specifica (assenza constatabile anche per quel che riguarda altro tipo di edifici pubblici, dal palazzo al magazzino comune), la religiosità è diffusa e gestita “in proprio”, a livello familiare: Liverani parla di una “polverizzazione della funzione cultuale”, il contrario insomma di una specializzazione sacerdotale[24].

Il sito anatolico di Çatal Hüyük (in particolare lo strato VI B, databile attorno al 5900 a.C.) ci offre un ricco quadro di vita cultuale: gli ambienti adibiti alle funzioni religiose erano direttamente collegati con le abitazioni; questo, unitamente al loro numero, farebbe presumibilmente pensare ad un tipo di culto privato e familiare. Erano “attrezzati” con sorte di altari e bancate ornati da teschi umani con bucrani e corna di toro, forse indice di qualche culto totemico: l’immagine del toro si trova anche dipinta sulle pareti, che erano abbellite da becchi di avvoltoio e nicchie.[24]

Rapporti tra comunità: guerra e commercio

MaterialeProvenienza
AlabastroEgitto
ArgentoAnatolia
Avorio lavoratoNubia (solo dal XVI secolo)
CornalinaPersia
EbanoPakistan att. (Nubia dal XVI secolo)
EmatitePersia
DioritePersia
LapislazzuliAfghanistan att.
LegnameCappadocia, Anatolia, Siria-Fenicia
OroNubia
OssidianaAnatolia
PalissandroPakistan att.
RameAnatolia, Palestina meridionale, Pakistan att., Arabia centro-orientale
StagnoAfghanistan att.
SteatitePersia
TurchesePalestina meridionale, Persia

L’intensità dell’insediamento è nel segno della “rarefazione”: la “colonizzazione” neolitica lascia ampi spazi residuali, dedicati alla caccia e alla raccolta. Si ipotizza una bassa conflittualità tra le comunità: anche sul piano archeologico, le armi pervenuteci non denotano una differenziazione tipologica tra caccia e guerra. Di pari passo va lo scarso peso che, nel contesto della comunità, ha il ruolo della “dirigenza politica e cultuale” che, al limite, potrebbe ancora non esistere come tale. Le uniche differenziazioni che si è in grado di istituire tra le diverse comunità sono di tipo culturale: le differenze “ecologicamente immotivate” riguardano la decorazione della ceramica. Del linguaggio nulla si sa, me si presume una certa differenziazione e corrispondenza areale alla fase storica. La corrispondenza tra cultura, lingua e ethnos può essere stata maggiore in questa fase seminale, mentre in epoca storica tende ad essere nulla o irrilevante e, al limite, fuorviante.[25]

Quanto al commercio, come detto, la tecnologia neolitica non è in grado di supportare trasporti di materiali ingombranti o di cibi. Vengono commerciati materiali preziosi (nelle proporzioni dell’epoca). È stato possibile ricostruire per grandi linee il commercio dell’ossidiana, a motivo della diversa composizione chimica che ha a seconda del luogo di provenienza (diverse quantità di bario e zirconio)[26]: ossidiane ad alta concentrazione di bario e bassa di zirconio muovono dalla zona di Agigöl e Çiftlik (in Anatolia) e coprono la domanda nella zona del Tauro. Con composizioni inverse, ossidiane muovono, passando per Buqros (sull’Eufrate, all’altezza del Khabur), dai pressi del Lago Van (da Nemrut Dagh) fino a Beidha (a sud del Mar Morto). Sempre da Nemrut Dagh partono ossidiane per la bassa Mesopotamia (Tepe Guran, Ali Kosh, Ubaid). Dall’isola di Melo arrivano ossidiane in Anatolia (Hagilar).[27]

Principali culture neolitiche nel Vicino Oriente

Schema cronologico del neolitico del Vicino Oriente[28]6000KhaburGebel Singiar
AssiriaMedio TigriBassa
MesopotamiaKhuzistanAnatoliaSiria5600 Umm Dabaghiya  Muhammad GiaffarÇatalhöyük
(6300-5500)
 Amuq A5200
Halaf antico
HassunaSamarra antico
(5600-5400)

Samarra medio
(5400-5000)

Samarra tardo
(5000-4800) 
Susiana AHagilar

Mersin 24-22
 
Amuq B4800
Halaf medioHassuna tardo

Gawra 20Eridu
(= Ubaid 1)
Eridu 19-15
Tepe SabzHagilar

Mersin 22-20
Amuq C4500Halaf tardoGawra 19-18 Haggi Muhammad
(= Ubaid 2)

Eridu 14-12Khazineh

Susiana BGian Hasan

Mersin 19-17
Amuq D

Se inizialmente sono le nicchie ecologiche di piccole dimensioni e le interfacce ravvicinate a configurarsi come punte del progresso tecnologico umano, esse perdono questo primato quando tali sviluppi vengono esportati (insieme alle piante e agli animali addomesticati) in contesti geograficamente più vasti, in particolare gli altipiani anatolico e iranico, oltre ovviamente all’alluvio mesopotamico.[29] Si tratta di una diffusione a macchia.

  • Anatolia – In generale, nel «periodo della produzione incipiente» solo la zona pedemontana meridionale del Tauro viene coinvolta nei processi di sviluppo tecnologico e sociale. Successivamente, con il neolitico “pieno”, tali culture umane oltrepassano la catena montuosa a nord, ma resta disabitata e coperta da boschi la parte settentrionale della penisola. Il sito più antico e più vasto è il già citato Çatal Hüyük (ca. 6500-5500, diviso in 14 strati), caratterizzato per industria litica, ceramica (anche se non dipinta) e soprattutto per il vasto quadro cultuale, già preso in esame, che possiamo ricavare da circa un terzo delle sue abitazioni, le quali arrivano a coprire nel complesso una superficie di 600 per 350 m².[30] Altri siti guida d questo periodo sono per l’Anatolia Hagilar e Gian Hasan (4900-4500). Gli strati di quest’ultimo corrispondono al livello I di Hagilar. A Gian Hasan si trovano abitazioni monocellulari, addossate le une alle altre: pilastri interni rafforzano i muri, invadendo così buona parte dello spazio domestico. La ceramica è quella del tipo rosso su crema. Successivamente si sperimenta la policromia, forse sulla base dell’influenza orientale di Halaf.[31] Un altro sito che rientra nella sfera di influenza della cultura Halaf è quello di Mersin. Il suo strato XVI (4500-4300 ca.) presenta ceramica policroma e lustrata. Vi è anche una sorta di “fortezza”, che analogamente a quanto va detto per Gerico, può essere indice di un coordinamento interfamiliare ma non di una dirigenza o persino programmazione pubblica.[31]
  • Area siro-palestinese – La zona centrale della Siria ospita sin da ora il sito di Biblo, successivamente di grande rilevanza. La Palestina, a causa della sua marginalità, resta evolutivamente un po’ arretrata (ad esempio, le case hanno forma circolare[32]), con qualche eccezione nella zona settentrionale (singolare il caso del sito di Gerico). D’altra parte, rispetto alla crisi del VI millennio, è in questa zona che si ravvisa una ripresa, forse per sovradocumentazione. Si tratta di diverse culture neolitiche ceramiche:
    • Ras Shamra, sulla costa dell’alta Siria (le cui scansioni ceramiche vengono definite in base alla sequenza stratigrafica A, B e C dello Amuq; tali fasi incontreranno la stessa crisi che chiuderà le fasi Halaf).
    • la zona di Biblo (BeqaaDamasco).
    • la zona alto-palestinese (Munhata, che sta nella valle del Giordano); quanto alla Palestina meridionale (Negev e deserto di Giuda), essa resta pressoché spopolata.[31]
  • Zona pedemontana degli Zagros: i protagonisti del fermento delle interfacce ravvicinate si trasferiscono a valle, nella piana mesopotamica.[32]
  • Alta Mesopotamia – La prima cultura ceramica della zona è quella di Umm Dabaghiya. Si sviluppa poi una cultura, quella di Halaf (Halaf antico, sul sito di Arpachiya: 5600-5300; Halaf medio: 5300-4800; Halaf tardo: 4800-4500) che si diffonde, dalla fase media, in tutta la Mesopotamia e oltre, fino al Mediterraneo: la massima espansione culturale conosciuta fino a questo periodo[33].
  • Bassa Mesopotamia – Questa zona, precedentemente paludosa e quasi inutilizzabile fino a che non venne gradualmente compiuta un’opera di drenaggio e canalizzazione delle acque (che ora vede finalmente il suo inizio), cominciò a venire pian piano popolata[34]. Il sorgere della importante cultura di Eridu (spesso indicato come Ubaid antico) vede ora la luce e arriva a comprendere le aree che saranno poi SumerAkkad ed Elam. Essa si caratterizza soprattutto per la lavorazione della ceramica, ma presso gli strati 15-17 (ca. 5000) per la prima volta troviamo tracce di quella che sarà definita la rivoluzione urbana: edifici (seppur piccoli) dedicati esclusivamente al culto. L’avvento di Eridu avviene mentre nel Khuzistan continua la sequenza locale, in particolar modo a Mohammad Giaffar e Tepe Sabz (successive ad Ali Kosh). Il processo che ha delineato la cultura di Eridu resta sconosciuto: le sue tracce potrebbero essere sepolte sotto il piano di alluvio o provenire da altri luoghi, forse proprio il Khuzistan.[34] A Eridu il sostentamento è affidato alla pesca e all’agricoltura irrigua. Uno sviluppo della cultura di Eridu è quella di Haggi Muhammad, nei pressi di Uruk: tale cultura si sviluppa da sud (Eridu, appunto) fin nei pressi di Kish (precisamente a Ras el-‘Amiya), supera il Tigri e si incontra a Choga Mami con gli ultimi sviluppi della cultura di Halaf. La fase di Khazineh, nel Khuzistan, è anch’essa una propaggine di Haggi Muhammad.[34] Rispetto alla coeva cultura di Halaf, la Bassa Mesopotamia si affida alla cerealicoltura irrigua e all’allevamento bovino (a Ras el-‘Amiya esso è rappresentato dal 45% delle ossa ritrovate), con ciò rispondendo ad un contesto ecologico assai diverso rispetto a quello di Halaf. Su queste basi si svilupperà la cultura di el-‘Ubaid, che diverrà motore di una unificazione culturale del Vicino Oriente e che rappresenta una sorta di cesura nel passaggio dal neolitico al calcolitico (termine che peraltro Liverani reputa scorretto, in quanto riferito ad una fase ancora neolitica in cui semplicemente alcuni ritrovamenti di manufatti metallici attesterebbero l’uso di una pietra malleabile piuttosto che una autentica metallurgia). Al contrario, Halaf entra in crisi e scompare, per ragioni che non sono state ancora spiegate in modo soddisfacente.[35]
  • Resto del Vicino Oriente – Ai margini, come si è visto per la Palestina, sorgono altre culture ancora fino a questo momento meno avanzate: alcune gravitano nei pressi del Vicino Oriente ma si attestano su zone di sfruttamento agricolo meno ricco, come le culture dei Monti Zagros (Tepe Giyan e Dalma Tepe) la cultura di Khirokitia a Cipro (che presenta abitazioni tonde ed è ancora aceramica). Più distanti sono altre culture neolitiche: quelle egiziane del Fayyum, quelle dell’Egeo, dell’altopiano iranico (Tepe Siyalk), della Transcaucasia, dell’Asia centrale. In questa fase i limiti areali fanno sentire la loro artificiosità, affermando il loro senso specifico quando la cultura urbana della Bassa Mesopotamia spiccherà su sviluppi secondari e “periferici”.[36]

Calcolitico

Verso la rivoluzione urbana

Schema cronologico del calcolitico del Vicino Oriente[37]4500MesopotamiaKhuzistanSiriaAnatoliaSudNord4000Ubaid antico
(=Ubaid 3)

Eridu 11-9
Ninive 3
Gawra 17-14
 Susiana C

Mehmeh
 
Amuq D
 
Mersin 16
 3500Ubaid tardo
(=Ubaid 4)

Eridu 8-6
Uruk 18-15Ninive 3
Gawra 13-12


 Bayat
Susa A


 
Amuq E

 
Mersin 15

 

Estensione approssimativa della cultura di Ubaid, nei periodi “classico” e “tardo”

Negli strati 17-15 del sito di Eridu (5.000 a.C. ca.) sono state rintracciate le prime avvisaglie di un cambio nell’assetto sociale che prelude al passaggio dalla fase protostorica a quella propriamente storica: tali avvisaglie consistono infatti in edifici di piccole dimensioni la cui particolarità consiste nel fatto di essere dedicati, secondo l’interpretazione degli storici, solo al culto; in effetti, più che di templi si tratta di “piccole cappelle”, ma il passaggio è significativo, come risulta evidente dal confronto con il culto domestico in opera a Çatalhöyük: questa scansione diventa elemento distintivo della cultura di Ubaid (e in essa i templi acquistano peraltro dimensioni maggiori).[36]

La cultura di Ubaid segna una importante scansione cronologica: il suo inizio corrisponde all’inizio del Calcolitico[38]. Tale cultura è cronologicamente assai consistente: dura infatti circa mille anni; una fase “classica” va collocata all’incirca nel 4500-4000 a.C. e una fase “tarda” tra il 4000 e il 3500 a.C.[36] Nelle sue fasi iniziali, l’areale della cultura di Ubaid è lo stesso delle culture di Eridu e di Haggi Muhammad[39].

In questa fase si assiste ad una prima sistemazione dell’alluvio: si scavano canali che servono sia a portare l’acqua dove non c’è, sia a drenarla lì dove è troppo abbondante (in particolare, le zone acquitrinose più a valle, cioè la zona del delta e le paludi meridionali). I manufatti-guida di Ubaid sono la ceramica e un falcetto di terracotta (strumento molto più economico dell’omologo in selce): l’attività agricola si configura, a questo punto, un’attività di massa.[40]

Nel sito di Eridu è possibile seguire lo sviluppo dell’architettura templare nelle riedificazioni che si sono succedute: dopo una fase seminale, è negli strati 11-8 (corrispondenti alla fase classica di Ubaid) che si sviluppa il tipico tempio con cella centrale e i corpi laterali minori che sopravanzano. Nella fase tarda di Ubaid (strati 7-6) questo standard si sviluppa ulteriormente; i templi sono ora caratterizzati da:

  • ambiente centrale tripartito
  • muri esterni contraddistinti da un alternarsi di piani che avanzano e rientrano
  • cella centrale allungata con corpi minori ai lati (come già prima)
  • accesso laterale, cui ci si appressa attraverso una scala che supera in altezza il basamento su cui poggia la struttura[41][42][43][44]

Si tratta, già in questa fase, di edifici di grande imponenza: 20 metri per 12 circa. Lo scarto (materiale e funzionale) è tale da far pensare che l’organizzazione economico-politica dell’epoca avesse virato con decisione verso una centralizzazione in chiave cultuale[45] e ciò sotto diversi rispetti[41]:

  • lo sforzo edificatorio è collettivo
  • le offerte vengono centralizzate al tempio, intesa come struttura-fulcro
  • il culto è un’attività coordinata a livello comunitario
  • si può ipotizzare che il sacerdozio fosse di stampo professionale

Il tempio del livello 7 di Eridu diverrà il tipo fondamentale dei templi mesopotamici per tremila anni[41][46].

È significativa la presenza nei livelli Ubaid di Eridu di manufatti di pregio, che fanno pensare ad un vero e proprio commercio in opera. Sempre maggiore è il numero di ricchezze collocate in posizioni non funzionali, “ma invece gravidi di significati simbolici”[47]. Ancora, significative sono le differenze nei corredi funerari, che mostrano un principio di stratificazione sociale. A ciò si aggiunga il fatto che si incomincia a lavorare ad una produzione “seriale”: mentre la ceramica dell’Ubaid classico è pregiata (con pareti assai sottili), quella dell’Ubaid tardo è tecnicamente inferiore e suppone una fabbricazione più frettolosa, con utilizzo del tornio, con cotture diseguali, con decorazioni meno pregevole. Con il successivo periodo di Uruk antico questa tendenza sarà ancora più vigorosa e la produzione sarà interamente “in serie”.[48]

Verso la fine del calcolitico, alla fine del IV millennio a.C., la Siria-Palestina sperimenta una fragile esperienza protourbana con il sito di Giawa, nell’odierna Giordania[49][50].

Bronzo antico

La rivoluzione urbana

Perché in Bassa Mesopotamia?

Schema cronologico della rivoluzione urbana[51]3500Bassa
MesopotamiaAlta
MesopotamiaIran
occidentaleSiriaAnatolia
orientale3200antico Uruk

Uruk 14-9
Eridu 5-4
Gawra 11-10Khuzistan: Susa B
Zagros: Godin 7
Fars: antico Banesh
Amuq F
Hama K
Malatya 73000tardo Uruk

Uruk 8-4
Eridu 3-2
Nippur 16-15Gawra 9
Ninive 4
Tell Brak (“tempio dell’occhio”)Khuzistan: tipo Uruk

Zagros: Godin 5-6
Fars: medio BaneshHabuba Kebira
Gebel ArudaMalatya 6A
Hassek
Kurban Hüyük 6
Mersin 14-132900Gemdet Nasr

Uruk 3
Nippur 14-12Gawra 8
Ninive 5Khuzistan: Susa C
Zagros: Godin 4
Fars: tardo BaneshAmuq G
Hama KMalatya 6B
Kurban Hüyük 5
Mersin 12

È ampiamente dibattuto il primato di “prima città della storia”. Con certezza si può affermare che il “salto” avviene appunto nella Bassa Mesopotamia, innanzitutto nel periodo di Ubaid, cui segue il periodo di Uruk (dal 4000 a 3100 a.C. ca.), che si estende dal calcolitico protostorico al Bronzo antico.[52] Definito così dalla città di Uruk, questo periodo vide emergere in Mesopotamia la vita urbana, che assumerà piena consistenza con la civiltà di Sumer.[53]

In questa fase chiave della storia umana avviene, pur con la gradualità del caso, un “salto” che risulta dirompente almeno in rapporto alla stabilità dello sviluppo sociale dei consessi umani fino ad allora: è un salto fondamentalmente organizzativo, reso possibile dal sensibile aumento della produzione agricola nell’enorme “nicchia” ecologica della Bassa Mesopotamia. Il nuovo margine di eccedenze alimentari consente di sostentare un artigianato specializzato, che viene coordinato da un polo decisionale (il polo templare-palatino).[54]

Il culmine della “rivoluzione urbana” della Bassa Mesopotamia è da collocare tra il 3500 e il 3200 a.C.[55] Per cercare di abbozzare una risposta alla domanda «Perché accadde dove accadde?», si può osservare che, se le fitte interfacce della zona pedemontana avevano favorito la sperimentazione di diverse tecniche nel neolitico, quando l’uomo dilaga sulla pianura dell’alluvio si trova di fronte ad una nicchia ecologica di grandi dimensioni: promettente sul piano della produzione alimentare, ma inadatta in sé stessa. Tigri ed Eufrate assicurano abbondanza d’acqua, ma essa deve essere gestita accortamente, condotta e indirizzata. Per sua natura, il paesaggio prossimo al delta è acquitrinoso, soggetto alle piene dei due fiumi, e i terreni necessitano drenaggio.[55]

A ciò si aggiunga la lontananza delle materie prime: la Mesopotamia è terra di asfalto e canne; le mancano i metalli, le pietre dure, il legname[55].

Si rende insomma necessario un immenso lavoro materiale per condurre e forzare il paesaggio alle caratteristiche desiderate, in modo da approfittare dell’enorme capacità produttiva (i rendimenti della cerealicoltura sono decisamente più promettenti di quelli del pedemontano, che porta e porterà avanti una agricoltura non irrigua, soggetta cioè ai capricci delle precipitazioni) e del trasporto fluviale, decisamente più economico di quello via terra.[56] Per questo, nel periodo della prima neolitizzazione, la Mesopotamia è lontana dai fulcri dello sviluppo tecnologico e insediamentale. Tra calcolitico ed età del bronzo, essa diventa invece il polo che sarà poi per tremila anni. È possibile che a favorire la sistemazione dell’ambiente secondo le esigenze umane abbia concorso il ritrarsi delle acque, in particolare per l’ammassarsi dei sedimenti nella zona del delta. Nella fase della cultura di Ubaid si assiste ad una sistemazione ancora locale, mentre verso la metà del IV millennio essa assume proporzioni cantonali.[56]

Il rapporto città-campagna

Frammento di sigillo cilindrico (da Arslantepe, Anatolia, IV millennio a.C.), raffigurante la trebbiatura

“Il «salto» organizzativo consiste nel sistematizzare la separazione tra produzione primaria di cibo e tecniche specialistiche, e nel polarizzare questa separazione concentrando gli specialisti in alcuni centri più grandi, proto-urbani, e lasciando disperso nei villaggi di campagna il compito della produzione di cibo”[57]. Si configura teoricamente un rapporto complementare tra città e campagna, ma di fatto si sviluppa fin dall’inizio una gerarchizzazione: gli specialisti, dedicati ad attività che non producono cibo, sono sostenuti dai coltivatori diretti: i primi guadagnano ben presto un maggiore prestigio sociale, in quanto depositari di tecniche più raffinate, almeno al paragone delle tecniche agricole, “banali” e diffuse (sono infatti esercitate da almeno l’80% della popolazione).[58]

“Gli specialisti sono inoltre più «a valle» nella catena produttiva, in posizione più favorevole per ritagliarsi percentuali privilegiate di cibo (e in generale di reddito), e per influenzare le scelte strategiche”[58]. I compiti organizzativi e cerimoniali, tesi entrambi a garantire la coesione sociale, erano un tempo assolti dai capi-famiglia: ora diventano un compito specializzato, secondo la polarizzazione re/sacerdozio. “In questo meccanismo la solidarietà non è più cumulativa ed opzionale”, scrive ancora Liverani: “Nel sistema specialistico ed urbano la solidarietà diventa organica e necessaria”[58].

Adolph Leo Oppenheim ha chiamato “grandi organizzazioni”[59] i templi e i palazzi che assunsero i caratteri di “poli decisionali”. La presenza fisica delle opere architettoniche che ospitano questi poli distingue le città dai villaggi, anche perché questi edifici sono concretamente associati alle attività produttive: accanto ad essi stanno botteghe, archivi, magazzini e uffici, quindi anche sul piano strettamente logistico l’attività economica è evidentemente gestita dalle grandi organizzazioni.[60]

Le comunità di villaggio gestivano informalmente lo stato giuridico dei terreni, nel senso che essi appartenevano direttamente alle famiglie impegnate a lavorarli. L’ereditarietà del possesso garantivano un’implicita “inalienabilità della proprietà fondiaria”. I pascoli vengono gestiti dal villaggio nel suo complesso. La rivoluzione urbana significa anche uno stravolgimento di questo impianto: le terre appartengono ai contadini “liberi” o al polo tempio/palazzo, e progressivamente sempre più a quest’ultimo, sia a motivo della graduale colonizzazione, sia per via di acquisizioni contrattate. Le terre dello Stato vengono gestite in due modi: affidate al lavoro di manodopera servile o “lottizzate e assegnate in usufrutto” ai dipendenti statali.[61] Ai contadini “liberi” spetta una sorta di “decima” (o comunque una quota approssimativamente di quella entità) da devolvere allo Stato[62].

L’agricoltura

Oltre alle grandi canalizzazioni, un ruolo importante per la definizione di nuovi e più ricchi margini di eccedenze alimentari è da attribuire all’apin, l’aratro-seminatore, sulla cui funzionalità vengono modellati campi lunghi e stretti, che confinano dal lato corto con i canali. La progressiva sistematizzazione delle isole irrigue e l’uso dell’apin portarono la cerealicoltura a rendimenti fino ad allora sconosciuti, pari a rapporti di 1 a 30 tra semente e raccolto.[63]

Si assiste anche ad una nuova gerarchia insediamentale, giocata su due o tre livelli: da un lato i piccoli villaggi, impegnati nell’attività agro-pastorale, e dall’altro le città, “che concentrano le attività di trasformazione, scambio e servizi”[63]. Il terzo livello è costituito da “centri intermedi, che ospitano funzioni urbane decentrate”.[64] Il paesaggio, intervallato da insediamenti di uno dei tre tipi, è per lo più quello degli acquitrini e della steppa arida: questi “spazi interstiziali” sul piano politico permettono una facile individuazione dei fulcri funzionali, mentre sul piano economico permettono uno sfruttamento differenziato di risorse “marginali ma importanti” per l’allevamento, la raccolta, la pesca.[65]

Sul piano demografico, è attestata una rapida crescita, che in passato è stata spesso attribuita a movimenti migratori, ma che va invece attribuita allo sviluppo interno supportato dall’implementazione delle tecniche agricole.[65]

Opere difensive

La concentrazione di beni nelle città rende sempre più pressante il problema della sicurezza, tanto che non si esita a investire una quota non indifferente di giornate lavorative nell’edificazione di mura. I beni derivano da un commercio che è ormai di ampia portata e consistono di oggetti preziosi, oltre che dell’accumulo delle eccedenze alimentari, senza contare il patrimonio tecnologico detenuto dagli artigiani specializzati e il patrimonio politico-ideologico che si concreta nell’edificazione di aree templari con i loro arredi. I villaggi contengono un’unica ricchezza, la popolazione dei braccianti, i quali, in caso di pericolo, non si asserragliano dentro le mura ma si danno alla fuga: gli edifici di scarso impegno tecnologico dei villaggi possono ben essere abbandonati, mentre ciò non vale ovviamente per le città, che delineano una forte e ben visibile opposizione tra interno ed esterno.[66]

Libertà e servitù

Si delinea con nettezza una dicotomia di status tra gli artigiani specializzati e i coltivatori diretti. I primi lavorano utilizzando mezzi di produzione che appartengono al palazzo o al tempio: il loro lavoro è compensato dalle razioni di cibo o dall’assegnazione di terre. Questi specialisti sono dunque un’élite, come detto, ma d’altra parte sono “giuridicamente ed economicamente «servi» del re (o del dio), […] fruitori diretti del meccanismo redistributivo”[60]. I coltivatori diretti sono invece liberi nella misura in cui posseggono i mezzi di produzione con cui soddisfano i propri bisogni alimentari, ma le eccedenze sono dovute allo Stato, per cui essi sono “parte del meccanismo redistributivo piuttosto nel momento del prelievo che non in quello del ritorno”[67].

Liverani osserva che questa complementarità teorica tra città e campagna, oltre ad essere attenuata dallo scarso prestigio dei coltivatori, viene ulteriormente inficiata dal fatto che l’aspetto redistributivo del processo è spesso aleatorio, concentrato nella propaganda, nell’amministrazione del culto, rivelandosi di natura fondamentalmente ideologica, carente anche nell’aspetto basico della difesa delle terre e della sicurezza degli insediamenti extraurbani. In sostanza, “il momento di più evidente ed efficace ricaduta dell’organizzazione centrale sulle campagne è dato dallo scavo dei canali”[67]. Nel periodo proto-dinastico, le comunità di villaggio si troveranno sempre più nella condizione di dover vendere la terra all’organizzazione centrale (il tempio)[68].

La crisi della prima urbanizzazione

La cultura di Uruk nella sua fase più tarda (strato III dell’Eanna) sembra patire una fortissima quanto repentina contrazione: alcune colonie semplicemente scompaiono (come nel caso di Habuba Kebira); lo strato corrispondente di Malatya restituisce un ritorno all’insediamento di villaggio (successivo alle grandi edificazioni precedenti), che sembra attestare la sparizione di un coordinamento politico-amministrativo centrale. Le ragioni di questa crisi non sono del tutto chiare: Liverani ipotizza una questione di rendimento dei raccolti, più contratto fuori dell’alluvio.[69] Nell’Alta Mesopotamia, alla crisi succede una regionalizzazione che sostituisce l’omogeneità che la prima urbanizzazione vi aveva incontrato, quella relativa agli insediamenti tipo-Ubaid. Anche l’interpretazione delle varie culture regionali del Nord resta problematica.[70] Nella Bassa Mesopotamia, al periodo di Uruk segue una fase detta di Gemdet Nasr, che prende il nome da un sito nei pressi di Kish: tale fase corrisponde a Uruk 3 e complessivamente si parla di una fase “proto-letterata”. Si tratta, almeno nel sud, di una fase ancora espansiva (tanto sul piano demografico quanto sul piano economico), pur nel quadro della complessiva regionalizzazione. Ad essa segue una fase detta Proto-Dinastico I, che è generalmente intesa come una fase di forte contrazione e crisi.[71]

Il periodo proto-dinastico

Con il cosiddetto “periodo proto-dinastico” (III millennio a.C.) si chiude in Mesopotamia la fase protostorica locale: è con il Proto-Dinastico che le vicende umane sono per la prima volta analizzabili non solo attraverso la documentazione archeologica, ma anche attraverso l’eccezionale novità della documentazione testuale degli archivi amministrativi.[68][72] Il Proto-Dinastico I è una fase recessiva, ma rappresenta una parentesi rispetto al periodo di grande sviluppo che caratterizza le fasi II e III.[72]

Periodo Proto-Dinastico in Mesopotamia[73]
Proto-Dinastico I2900-2750 ca.
Proto-Dinastico II2750-2600 ca.
Proto-Dinastico IIIa2600-2450 ca.
b2450-2350 ca.

Rispetto al precedente Periodo di Uruk, che vedeva il centro di Uruk relativamente isolato a dominare la scena, il periodo proto-dinastico (in particolare nelle fasi II e III) si distingue per la presenza in Sumer di diversi centri di uguale importanza, caratterizzabili come città-stato (quindi Stati di dimensioni “cantonali”[74]): tra queste, la stessa Uruk, Ur ed Eridu nel sud, Lagash e Umma sul Tigri, Adab, Shuruppak e Nippur nella zona centrale, Kish a nord ed Eshnunna nell’estremo nord.[72] Le principali direttive dell’espansione sumera in questa fase sono Mari e Assur. Coinvolti in questo sistema culturale e commerciale, pur non essendo sumerici, sono anche Khamazi (alle pendici dei Monti Zagros, ma mai esattamente localizzato) e Susa, ma i rapporti sono intensi anche con località che già da tempo sono in relazione con l’alluvio e cioè il Golfo Persico, l’altopiano iranico, il sud-est anatolico, la Siria.[72]

Note

  1. ^ Lo schema di Braidwood può essere accolto per il Vicino Oriente con qualche distinguo: si presentano infatti casi di raccolta intensiva accompagnata da «produzione incipiente», di agricoltura non sedentaria, di neolitico aceramico (Liverani 2009, p. 62). Questa particolare situazione dà conto della varietà geografica del Vicino Oriente. Esistono, in definitiva, “comunità a diverso grado di avanzamento tecnologico ed economico” (Liverani 2009, p. 63).
  2. ^ Salta a:a b c Liverani 2009, p. 64.
  3. ^ Liverani 2009, pp. 64-5.
  4. ^ Salta a:a b c Liverani 2009, p. 65.
  5. ^ Liverani 2009, p. 63.
  6. ^ È comunque solo intorno al VI millennio a.C. che le culture “ceramiche” tracimeranno, collocandosi tanto in bassa Mesopotamia quanto negli altipiani anatolico e iranico. Successivamente, alla fine del IV millennio a.C., Mesopotamia ed Egitto acquisteranno centralità storica (Liverani 2009, p. 63).
  7. ^ Salta a:a b c Liverani 2009, p. 66.
  8. ^ Liverani 2009, pp. 65-6.
  9. ^ Liverani 2009, p. 64.
  10. ^ Salta a:a b c d e Liverani 2009, p. 69.
  11. ^ Per questa ragione, Gerico è stata tradizionalmente indicata come “la prima città”, anche se questa enfasi è metodologicamente scorretta (Liverani 2009, p. 77)
  12. ^ Vi sono anche centri più arretrati: Beidha (in Transgiordania) è un villaggio sedentario che però ricorre ancora massivamente alla caccia. Nel Negev e nel deserto di Giuda si trovano ancora solo “campi di caccia” (Liverani 2009, p. 69).
  13. ^ Liverani 2009, pp. 80-1.
  14. ^ La tessitura è attestata da rivelative impronte sull’argilla e da alcuni strumenti specifici pervenuti, come alcuni pesi da telaio (Liverani 2009, p. 74).
  15. ^ In particolare, la ceramica inizia intorno ai monti Zagros: Ganjdareh e Tepe Guran (Liverani 2009, p. 71).
  16. ^ A Çayönü, nei pressi degli importanti giacimenti di Ergani Maden (Liverani 2009, p. 71).
  17. ^ Salta a:a b c Liverani 2009, p. 74.
  18. ^ Liverani 2009, p. 72-3.
  19. ^ Salta a:a b Liverani 2009, p. 72.
  20. ^ Liverani 2009, p. 75.
  21. ^ Liverani 2009, p. 71.
  22. ^ Liverani esplicitamente non intende “religione”, in quanto non appaiono ancora personalità divine adeguatamente individuate: le pratiche cultuali sono piuttosto riferibili a “concezioni” sui problemi della fertilità e della mortalità (cfr. Liverani 2009, p. 76).
  23. ^ Liverani 2009, pp. 75-6.
  24. ^ Salta a:a b Liverani 2009, p. 77.
  25. ^ Liverani 2009, pp. 78-79.
  26. ^ Liverani 2009, p. 81.
  27. ^ Liverani 2009, p. 80.
  28. ^ Liverani 2009, p. 84.
  29. ^ Liverani 2009, pp. 82-3.
  30. ^ Liverani 2009, p. 83.
  31. ^ Salta a:a b c Liverani 2009, p. 85.
  32. ^ Salta a:a b Liverani 2009, p. 86. È in questa fase, peraltro, che si diffonde nell’arco siro-palestinese la pecora.
  33. ^ Liverani 2009, p. 88.
  34. ^ Salta a:a b c Liverani 2009, p. 89.
  35. ^ Liverani 2009, pp. 89-90.
  36. ^ Salta a:a b c Liverani 2009, p. 91.
  37. ^ Liverani 2009, p. 92. Le date indicate si appoggiano alla cronologia media.
  38. ^ Liverani 2009, p. 90.
  39. ^ Liverani 2009, p. 92.
  40. ^ Liverani 2009, pp. 92-3.
  41. ^ Salta a:a b c Liverani 2009, p. 93.
  42. ^ Illustrazione del tempio di Eridu, livello 7, dal sito del Department of Classical and Near Eastern Studies and The University of Minnesota.
  43. ^ Scheda con i templi di Eridu nei diversi livelli Archiviato il 1º ottobre 2018 in Internet Archive., in babel.massart.edu.
  44. ^ I livelli 7, 9 e 16 dell’area templare di Eridu, dal sito della DePaul University.
  45. ^ Si ipotizzano, anzi, due fasi chiave nella storia delle società vicino-orientali: una in cui il potere religioso e quello politico sono nelle mani del sacerdote e una seconda, in cui il potere politico è nelle mani del re, che pure è accompagnato dal sacerdote nell’esercizio della sua funzione regale (cfr. Delfino Ambaglio, Daniele Foraboschi (a cura di), Le civiltà dell’antichità 1, ed. cit., 1994, pp. 80-81).
  46. ^ Jane McIntosh, Ancient Mesopotamia: New Perspectives, ABC-CLIO, 2005.
  47. ^ Liverani 2009, pp. 94-5.
  48. ^ Liverani 2009, p. 95.
  49. ^ Liverani 2009, p. 227.
  50. ^ Mario Liverani, Marcella Frangipane, Paola Davoli, Stefano De Martino, Laura Battini-Villard, Dai primi insediamenti al fenomeno urbano. Vicino Oriente ed Egitto, Il Mondo dell’Archeologia (2002), da treccani.it.
  51. ^ Liverani 2009, p. 147. Le date indicate si appoggiano alla cronologia media.
  52. ^ Harriet E. W. Crawford, Sumer e i sumeri, p. 69.
  53. ^ Harriet E. W. Crawford, Sumer e i sumeri, p. 75.
  54. ^ Liverani 2009, p. 108.
  55. ^ Salta a:a b c Liverani 2009, p. 114.
  56. ^ Salta a:a b Liverani 2009, p. 115.
  57. ^ Liverani 2009, pp. 109-110.
  58. ^ Salta a:a b c Liverani 2009, p. 110.
  59. ^ Citato in Liverani 2009, p. 111.
  60. ^ Salta a:a b Liverani 2009, p. 111.
  61. ^ Liverani 2009, pp. 119-120.
  62. ^ Liverani 2009, p. 120.
  63. ^ Salta a:a b Liverani 2009, p. 116.
  64. ^ Liverani 2009, p. 117.
  65. ^ Salta a:a b Liverani 2009, p. 118.
  66. ^ Liverani 2009, p. 122.
  67. ^ Salta a:a b Liverani 2009, p. 112.
  68. ^ Salta a:a b Liverani 2009, p. 178.
  69. ^ Liverani 2009, p. 157.
  70. ^ Liverani 2009, pp. 157,159.
  71. ^ Liverani 2009, p. 159.
  72. ^ Salta a:a b c d Liverani 2009, p. 164.
  73. ^ Secondo la cronologia media (cfr. Liverani 2009, p. 164). Il periodo è indicato anche come “Dinastico Antico”, in sigla “DA”: ne discendono le sigle DA I, DA II, DA IIIa, DA IIIb (cfr. Orsi 2011, p. 22).
  74. ^ Liverani 2009, p. 183. Quanto alla terminologia “città-stato”, essa venne inizialmente utilizzata con riferimento alla polis greca (πόλις) e successivamente estesa alle civiltà pre-classiche del Vicino Oriente (cfr. Giusti 2002, pp. 121-122).

Bibliografia

  • Francesca Giusti, I primi stati: la nascita dei sistemi politici centralizzati tra antropologia e archeologia, Roma, Donzelli Editore, 2002.
  • Mario Liverani, Antico Oriente: storia, società, economia, Roma-Bari, Laterza, 2009.
  • Hans J. Nissen, Protostoria del Vicino Oriente, Roma-Bari, Laterza, 1990
  • Valentina Orsi, Crisi e rigenerazione nella valle dell’Alto Khabur (Siria): la produzione ceramica nel passaggio dal bronzo antico al bronzo medio, vol. 1, Firenze, University Press, 2011.

Fonte: Wikipedia



Categorie:B00- [PROTOSTORIA E STORIA ANTICA], B02.01- Storia culturale del Vicino Oriente antico

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