Antonio De Lisa- Sommario di archeologia e storia dell’arte islamica

MoscheOmayyadiPanoramica

ARTE PROTO-ISLAMICA

Nella Penisola Arabica le più antiche costruzioni del periodo islamico giunte a noi almeno parzialmente inalterate sono pochissime. Alcuni edifici che conservano quasi integre le strutture originali, quali la moschea attribuita al califfo Omar a Dumat al-Giandal nel Giauf saudita sono in uno stato di conservazione così cattivo da far prevedere, e temere, un loro restauro radicale. Altri edifici mantengono pressoché intatto il carattere e molti elementi architettonici originali, pur attraverso ripetuti restauri e talvolta ampliamenti (ad es., la Grande Moschea di Sanaa, la moschea di al-Gianad e la Grande Moschea di Shibam Aqyan).

E’ un’architettura di notevole monumentalità unita a linee molto austere e spoglie, uno sviluppo volumetrico contenuto e una totale mancanza di decorazione. L’originalità  sta spesso nel legame tra l’edificio e il contesto urbano (ad es., la moschea di Dumat al-Giandal e il mausoleo del profeta Hud nel Wadi Hadramaut) più che nella propria struttura, che resta molto modesta. In epoca più tarda (IX-XIII sec.) l’architettura si arricchisce di elementi decorativi molto raffinati (specialmente legno e stucco scolpiti, più raramente dipinti), quali si trovano specialmente nello Yemen (Sanaa, Sarha, Zafar Dhi Bin) e nell’Oman (Zafar e Saal).

I PRIMI DUE GRANDI CALIFFATI

L’arte Omàyyade

Omàyyadi è il nome dato in Europa ai Banū Umayyah (figli di Umayyad), la dinastia dei califfi che detennero il sommo potere nell’impero arabo dal 661 al 750. L’arte omàyyade è il risultato delle scelte effettuate dagli Arabi nel periodo della loro formazione artistica, e insieme la sintesi dell’arte tardoromana e asiatica, adattata alle esigenze locali.

I centri di influenza – Bilâd al-Shâm

Gli Omàyyadi scelsero come centro politico la Siria e le sue province, un’area conosciuta come Bilâd al-Shâm (Libano, Siria, Giordania, Palestina e Israele) e fissarono la loro sede a Damasco, che respinse in seconda linea le città sacre, Medina e La Mecca.

L’area siro-libano-transgiordanico-palestinese era chiamata complessivamente Shām, impiegando un toponimo di origine molto antica per indicare tutta quell’area geografico-antropica che si estendeva a nord della Penisola Araba che confinava a ovest con l’Egitto e a est con la Cilicia bizantina.

Ash-Sham

Alla fine del sec. VII o agli inizi dell’VIII risalgono i monumenti più significativi:

– la Qubbat as-Sahra (Cupola della Roccia),

– la moschea di Wāsiṭ in Iraq (703-704)

– la moschea degli Omayyadi a Damasco (705-715) .

La Cupola della Roccia – Qubbat al-Ṣakhra – قبة الصخرة

La Cupola della Roccia  –  Qubbat al-Ṣakhra – قبة الصخرة  – fu eretta intorno a una pietra sacra del tempio di Gerusalemme. La sua pianta centrale è un modulo architettonico propriamente siriaco; i mosaici della decorazione interna, e più ancora gli ornati dell’esterno, con una cornice ad arcatelle su colonnine binate, rivelano i fermenti della nuova arte islamica.

Cupola della Roccia Egira 72 / d.C. 691 Omayyade Gerusalemme

Cupola della Roccia- Egira 72 / d.C. 691 – Omayyade  – Gerusalemme

La moschea di Wāsiṭ

L'ingresso della moschea di Wasit

L’ingresso della moschea di Wasit

La moschea degli omayyadi a Damasco

La moschea degli Omayyadi a Damasco

La moschea degli Omayyadi a Damasco

Nel luogo ove sorge la moschea gli Amorrei eressero un tempio dedicato al dio semitico della tempesta, Hadad, che poi in epoca greca divenne Zeus ed in epoca romana divenne Giove.

I Romani modificarono il tempio originale, nel I secolo d.C. e poi, ancora durante la dinastia dei Severi, tanto che il tempio divenne il più grande della Siria.

Con l’imperatore Teodosio, alla fine del IV secolo, a seguito del divieto imperiale di praticare culti diversi da quello cristiano, il tempio fu trasformato in una chiesa dedicata a san Giovanni Battista.

Nel 661, dopo la conquista araba, il califfo, Mu’awiya ibn Abi Sufyan, all’interno del Temenos, terreno appartenente al Santuario del vecchio tempio pagano, fece erigere una musalla all’aperto, per cui per alcuni decenni, musulmani e cristiani celebrarono fianco a fianco i loro riti.

Nel 706 d.C. il califfo omayyade al-Walid I, riprendendo la politica del padre ‘Abd al-Malik ibn Marwān che aveva eretto a Gerusalemme la cupola della Roccia, decise di dare vigore all’opera di monumentalizzazione della capitale Damasco. Ordinò pertanto che si costruisse la grande moschea, ultimata nel 715, nel luogo dove era sempre stato il luogo di culto più importante della città, cioè inglobando la parte cristiana residua dell’originale chiesa dedicata a san Giovanni Battista, che era stata eretta da Teodosio sul tempio pagano del I secolo.

Il califfo al-Walīd fece demolire tutti gli edifici esistenti all’interno del recinto sacro, risparmiando solo le tre torri-campanili, trasformate in minareti: il minareto di Gesù (ʿĪsā), quello di Qayt Bey (dal nome di un sultano mamelucco) e quello infine detto “della Sposa” (ʿarūsa), realizzò un edificio destinato a influenzare la successiva architettura religiosa islamica.

Il muro perimetrale della moschea segue la recinzione del tempio romano (e della chiesa bizantina). L’edificio fu completamente rivestito di marmi e mosaici in pasta vitrea con conchiglie e madreperle inserite sul fondo oro, di cui si occuparono maestranze bizantine che poi rimasero a Damasco per istruire artigiani locali.

Della superficie di oltre 4.000 m² – che rappresentarono la più imponente decorazione a mosaico mai realizzata – sopravvive oggi la sola facciata del luogo di preghiera (musalla) a causa di alcuni terremoti. La facciata è ricca di motivi fitoformi, di elementi naturali e di raffigurazioni di fabbricati umani, in accordo col crescente sfavore espresso da una parte considerevole del mondo religioso islamico nei confronti delle proposizioni di immagini umane, alla luce di un versetto del Corano, in realtà tutt’altro che chiaro, che ebbe non poche né trascurabili eccezioni, specie nel campo delle miniature.

Una parte dei mosaici, con l’accentuarsi dell’avversione nei confronti delle immagini maturato nel mondo islamico, fu nascosta sotto uno strato di intonaco, e solo un’opera di restauro la riportò alla luce negli anni venti.

La facciata est richiama il fronte di un palazzo; sopra al portale vi sono mosaici attualmente asportati per il restauro.

Al centro del cortile si trova la cupola dell’abluzione, mentre nella zona ovest si trova una cupoletta rialzata da terra, a base ottagonale, sorretta da otto colonne romane, con capitello corinzio, ed affrescata all’esterno, costruita per ospitare il tesoro della moschea.

Sempre nel cortile, oltre le arcate, si trova il Mašhad al-Ḥusayn, luogo sacro degli sciiti, in quanto qui la tradizione islamica vuole che fosse stata la testa di al-Ḥusayn – figlio di ʿAlī e nipote del profeta Maometto – mozzatagli dopo essere stato sconfitto e ucciso nella battaglia di Kerbela.

I castelli del deserto

Si sono conservati molti dei cosiddetti “castelli del deserto”. Fondamentalmente esemplati sui castra del limes romano-siriaco, questi edifici (Hirbet al-Minya e Jabal Seis di al-Walid I; Qaṣr al-Hayr al-GarbīQaṣr al-Hayr al-Sharqī e Hirbet al-Mafjar, di Hišam I, Qaṣr al-Ṭūba e Mšatta di al-Walid II) mostrano molte influenze orientali. Hanno pianta quadrangolare, esteriormente fortificata e scandita da bastioni semicircolari e torrioni angolari, fra i quali si apre una sola porta, che dà accesso a una corte centrale; impianti agricoli e opere idrauliche fanno talvolta parte del complesso.

Il castello di Hirbet al-Mafjar, presso Gerico – Il più spettacolare di questi castelli è quello di Hirbet al-Mafjar, presso Gerico, costituito da un palazzo preceduto da un ampio cortile, una moschea e un edificio termale, ampio e sontuoso, che si affaccia su una corte secondaria. Gli ambienti raggruppati al piano inferiore, intorno al cortile, comprendono una sala per le feste a due navate che, con i locali circostanti, doveva costituire la “casa per gli ospiti”. Il piano superiore, con stanze decorate da preziosi dipinti, era destinato all’intimità della famiglia; il bagno era provvisto anche di una sala da udienze, coperta da cupola e sontuosamente decorata con mosaici, stucchi figurati e rilievi in pietra, tutti eseguiti con un’abilità e un’inventiva eccezionali, nelle quali è l’eco dell’ispirazione ellenistica e irano-mesopotamica.

Diversamente organizzati sono i palazzi di Qusayr ‘Amra e di Mšatta, anch’essi notevolissimi per la particolare decorazione pittorica o scultorea.

Le arti minori – Le arti minori sono ben rappresentate da alcuni pezzi in metallo di notevole valore artistico, tra cui vassoi e brocche di tipo sassanide assai marcato. Attribuibile a Marwān II, ultimo califfo omayyade ucciso dagli Abbasidi nel 750, è una splendida brocca in bronzo fuso, ritrovata a El Faiyûm e ora conservata al Metropolitan Museum of Art di New York. Ha corpo globulare con alto collo, versatoio a forma di gallo (di chiara ispirazione ellenistica per il realismo delle sue forme) e manico lavorato a girali, di gusto iranico come i fregi a colonnine binate e false nicchie riempite di rosette sul corpo del vaso.

L’arte del califfato abbaside

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La dinastia califfale araba degli Abbasidi fu al potere dal 750 al 1258 sull’impero islamico. Con la definizione di arte degli Abbasidi si intende l’arte prodotta in Mesopotamia da questa dinastia, dalla metà del sec. 8° alla sua caduta, causata dall’invasione mongola nel 1258.

Oltre all’uso del laterizio in architettura con decorazioni di legno intagliato, stucco e pittura, in questo periodo fiorirono anche l’arte della lavorazione dei tessuti, dei metalli, del vetro, della ceramica e l’arte del libro. La perdita di gran parte dell’arte mesopotamica ha indotto gli studiosi a prendere in considerazione la produzione artistica delle province periferiche dell’impero islamico, come riflesso di quanto è andato perduto nelle regioni centrali. Se nel corso del sec. 10° l’arte delle province rifletteva ancora in pieno il gusto e le tecniche proprie del centro dell’impero, in seguito essa acquisí sempre più caratteristiche locali e regionali.

È possibile quindi parlare di un’arte abbaside dell’Iran e dell’Africa settentrionale per quanto riguarda il IX secolo, ma non per quanto concerne l’XI secolo. Oltretutto poco è noto dell’arte degli Abbasidi in Mesopotamia dopo il X secolo, quando cioè i califfi persero vaste aree del loro impero, in particolare l’Africa settentrionale e l’Egitto, che caddero sotto il dominio dei principi Buwahidiprima e poi dei Selgiuchidi, le cui basi militari si trovavano sull’altopiano iranico.

L’arte abbaside rappresentò uno sviluppo naturale delle tendenze già presenti nell’arte omayyade e non sembra che i committenti abbasidi cercassero di differenziarsi dal punto di vista artistico rispetto ai loro predecessori, tanto faticosamente spodestati.

L’architettura siriaca si avvaleva dell’elegante tecnica a corsi in pietra, mentre gli edifici omayyadi dell’VIII secolo (per es. Mshattà, in Giordania, o Khirbat al-Mafjar, a N di Gerico) rivelano il progressivo diffondersi dell’uso di tecniche quali le volte di mattoni e la lavorazione degli stucchi, tradizionalmente associate all’architettura iranica e mesopotamica.

Non si conosce praticamente nulla circa le antiche capitali che gli Abbasidi eressero a Kūfa e nella regione circostante durante i primi decenni del loro regno, a eccezione del fatto che in una di esse si ergeva un palazzo con la sala del trono sopraelevata.

Alla Mecca, il centro spirituale del mondo islamico, i primi Abbasidi intrapresero un programma di ampliamento e risistemazione dell’area circostante la Ka’ba, che li avrebbe impegnati per molti anni. Essi continuarono a far uso di materiali che gli Omayyadi avevano impiegato per opere importanti, quali i marmi per le colonne, i mosaici per i rivestimenti e le travature di teak per i soffitti.

Madīnat al-Salām (Baghdad)

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La prima rottura significativa con le tradizioni artistiche del passato si realizzò nel 762, quando il califfo al-Mansūr trasferì la capitale in un centro di recente fondazione, Madīnat al-Salām (Baghdad).

La città, a pianta circolare, con m. 2700 di diametro, era circondata da un doppio ordine di mura. Soltanto la residenza del califfo aveva qualche pretesa architettonica: il palazzo si trovava al centro esatto della città (e dell’impero) e aveva una sala del trono sopraelevata coperta da una cupola sormontata da una figura mobile di cavaliere che simboleggiava la città e i suoi governanti.

Ben poco rimane delle arti applicate di questo periodo, a eccezione dei tessuti recanti iscrizioni (ṭirāz), che i califfi Abbasidi, come i loro predecessori Omayyadi, continuavano a concedere in segno di favore ai cortigiani.

Ukhayḍir

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Ukhayḍir, un lussuoso palazzo nella steppa a N-O di Kūfa attribuito al nipote di al-Manṣūr‘Īsā b. Mūsā, e risalente alla fine dell’VIII secolo, offre un esempio dell’architettura dell’epoca e delle relative decorazioni.

Posto entro un’imponente cinta di mura, si elevava su tre piani intorno a un ampio cortile centrale; era composto da diversi spazi pubblici e privati, ivi compresa un’ampia sala quadrata preceduta da un īwān e da un pīshṭāq (‘incorniciatura’ rettangolare dell’arco), un accostamento che sarebbe divenuto caratteristico dell’architettura dei palazzi. Le sue pareti erano costruite con sottili lastre di calcare, allettate con spessa malta; le volte erano, in qualche caso, costruite in mattoni, che sovente erano disposti secondo schemi che formavano complessi disegni decorativi; stucchi minuziosamente modellati decoravano alcune delle volte, formando disegni a imitazione dei mattoni. Entrambe queste tecniche ebbero una notevolissima diffusione anche nell’architettura iranica più tarda.

Sāmarrā’

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Nell’836 il califfo al-Mu’ṭasim decise di abbandonare Baghdad e la capitale fu trasferita a Sāmarrā’(سامرّاء )lungo il corso del fiume, km. 120 a nord. Vi rimase per cinquantasei anni, finché la corte non ritornò nuovamente a Baghdad, tuttavia il luogo non fu completamente abbandonato prima di un secolo.

I lavori di scavo nel sito, un’immensa distesa di rovine che si estende per km. 35 lungo le rive del Tigri, ebbero inizio prima della prima guerra mondiale, portando immediatamente alla luce una grande quantità di reperti artistici e vestigia dell’architettura abbaside. Dopo la guerra gli scavi furono continuati dal Dip. per le Antichità dell’Iraq, ma gran parte dei risultati e dei materiali recuperati attende ancora oggi di essere pubblicata integralmente.

Nel corso dei decenni di residenza a Sāmarrā’ i califfi costruirono una serie di palazzi immensi, anche se poco sviluppati in altezza, i più noti dei quali sono quelli conosciuti oggi come Jawsaq al-Khāqānī e Balkuwārā. Entrambi erano vastissimi complessi residenziali che gravitavano intorno a quelli che sono stati ritenuti gli appartamenti ufficiali del califfo destinati ai ricevimenti, costituiti da un organismo unitario quadrangolare probabilmente con volta cupoliforme, affiancato da sale longitudinali precedute da una serie di cortili.

Questa identificazione è stata confortata dalla scoperta di ceramiche a lustro, piastrelle per rivestimenti parietali di vetro ‘millefiori’ e frammenti di stucchi dipinti, che sembrano indicare che quest’area era più riccamente decorata rispetto ad altre. La raffigurazione di bevitori, danzatori e animali in queste pitture murali è segno del permanere, a un livello sociale elevato, del gusto per la decorazione con rappresentazioni di carattere privato che era comparsa per la prima volta nel corso del periodo omayyade.

Molto più comuni, tuttavia, e in ultima analisi molto più importanti per la storia successiva della decorazione islamica, furono gli stucchi intagliati e modellati a stecca che ricoprivano e proteggevano i mattoni crudi, relativamente fragili, con cui era costruita la gran parte degli edifici di Sāmarrā’. I pannelli di stucco conservatisi sono stati distinti in tre gruppi stilistici, che tuttavia sembrano essere coevi. Mentre due di essi mantengono la distinzione figura-sfondo e il rapporto tra il bordo e il campo già presente nella decorazione omayyade, il più ‘evoluto’ fra i tre stili di Sāmarrā’ è quello che sfrutta intagli obliqui praticati nello stucco, il cosiddetto stile ‘a incisione obliqua’, che è caratterizzato da un’ambiguità voluta tra la figura e lo sfondo, così come da una proprietà di espansione infinita in senso orizzontale e verticale. Le sue origini sono state oggetto di discussione; la sua duttilità ne rese possibile, in epoca medievale, la capillare diffusione in tutte le regioni dell’Islam, dall’Egitto all’Asia centrale, non solo nella lavorazione dello stucco, ma anche per altri materiali quali il legno e il vasellame di vetro molato. Un esempio degno di menzione in relazione agli impieghi disparati di questo stile è la piccola moschea abbaside di Balkh, in Afghanistan, la cui datazione al IX secolo è stata ricavata proprio in base alle decorazioni in stucco. In linea di massima, le prime moschee abbasidi perpetuarono le regole di progettazione che erano state fissate in precedenza, nel corso del periodo omayyade, sebbene qua e là venissero operati tentativi per eliminare quelle che erano considerate innovazioni omayyadi, come il minbar (pulpito) elevato o la maqṣūra, uno schermo che separava il signore dai fedeli all’interno della moschea.

La moschea ipostila semplice e disadorna di Raqqa, in Siria e la moschea Tārik-Khāna di Dāmghān in Iran costituiscono esempi tipici di questo primo periodo. Risulta ancor più sorprendente, quindi, che gli albori del IX secolo vedano l’introduzione della torre nella moschea. L’idea di una torre alta affiancata a una moschea si diffuse rapidamente dalla Mesopotamia all’Africa settentrionale, all’Iran, all’Asia centrale, coniugandosi con una tradizione indigena di torri che avrebbe dato vita alla varietà di tipi di minareti oggi nota.

Raqqa

La Qalʿat di Jaʿbar b. Sābiq al-Qushayrī (conquistatore della città in epoca selgiuchide), costruita sulla sponda sinistra del medio Eufrate, di fronte a Siffin

La Qalʿat di Jaʿbar b. Sābiq al-Qushayrī

Fondata da Alessandro Magno, ebbe il nome di Niceforio, mutato poi in Callinico (sec. III) in onore di Seleuco II Callinico. Nel sec. VIII divenne la capitale di Harūn ar-Rašīd.  La città abbaside aveva una doppia cinta di mura di argilla, alte fino a 10 m, fiancheggiate da piccole torri rotonde. Si conserva ancora la porta di Baghdad, con uno splendido arco acuto a quattro centri, che ebbe un’enorme diffusione in seguito, soprattutto nell’Iran.

Assai rovinata è invece la Grande Moschea di al-Mansūr (restaurata nel sec. XII da Nūr ad-Dīn). Del palazzo di Harūn ar-Rašīd si è conservato solo un angolo di stanza, ove compare il primo esempio di decorazione a muqarnas.

Fra il 1171 e il 1259 a Raqqa si produsse una ceramica di lusso, nel cui ambito sono notevoli le lampade traforate, le piccole mattonelle per pavimenti (decorate con incisioni e con macchie di smalto verde-turchese), le ciotole e le giare decorate con motivi floreali originalissimi, scene di caccia o caratteri della scrittura nashī.

Kairouan

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Il minareto in pietra grezza della Grande moschea di Kairouan, risalente all’836, è costruito all’incirca secondo il modello di un faro romano. La torre, a base quadrata, aggiunta alla metà del IX secolo alla parte settentrionale della moschea omayyade di Damasco, ricalca, senza dubbio, antiche torri tradizionali siriache.

La moschea di Kairouan offre inoltre altri raffinati esempi di arte del IX secolo: il minbar di teak era presumibilmente realizzato con pannelli importati dall’Iraq. Il loro stile attardato, nel quale non si rivelano segni dell’influenza dello stile ‘a incisione obliqua’, ben si confronta con altri pannelli di legno intagliato la cui provenienza da Takrīt è nota.

Lo stile ‘a incisione obliqua’ fu accolto con entusiasmo in Egitto, come attestano numerosi pannelli di stucco o di legno provenienti dalla moschea di Ibn Ṭūlūn (876-879). Il minbar della moschea di Kairouan, delimitato da pannelli scolpiti di marmo d’importazione, è incorniciato con piastrelle di ceramica a lustro disposte a imitazione del diaspro, in modo che risulti raddoppiata la superficie coperta da questi preziosi materiali importati dall’Iraq.

Oltre a una grande quantità di ceramiche, non smaltate o smaltate in modo rudimentale, prodotte per l’uso quotidiano, sono stati attribuiti alla produzione dei secc. IX e X in Iraq alcuni tipi di ceramiche di lusso, quali vasi smaltati a rilievo o decorati a macchie di colore, vasi a vernice stannifera dipinti in blu o in verde e vasellame a lustro policromo o monocromo. Si ritiene che i vasi smaltati a rilievo rappresentino un genere noto fin dall’Antichità; tanto i vasi decorati a macchie quanto quelli a vernice stannifera rivelano l’influsso delle forme e degli smalti cinesi sulle ceramiche islamiche e soltanto i vasi lavorati a lastre rappresentano una creazione veramente islamica. La tecnica della invetriatura a lustro ebbe origine in Iraq o più probabilmente in Egitto. L’oggetto smaltato veniva dipinto con ossidi metallici e quindi cotto una seconda volta con un procedimento ‘a riduzione atmosferica’ altamente controllato. Si ritiene, per quanto strano possa sembrare, che i vasi policromi verniciati a lustro per i quali si usavano vari ossidi metallici abbiano preceduto la serie monocroma. Numerosi frammenti sono stati ritrovati a Sāmarrā’, dove si pensa che la loro produzione sia continuata fino al X secolo inoltrato, quando il centro della ceramica invetriata si trasferì in Egitto, sotto il regno fatimide. La decorazione delle ceramiche abbasidi consisteva in un accostamento di disegni geometrici e fitomorfi, di epigrafi, di figure che acquistavano spesso armonia in una forma vegetale geometrizzata, generalmente nota come ‘motivo ad arabesco’. Figure singole di animali o umane dipinte con vernice lucida monocroma erano talvolta accompagnate da brevi iscrizioni che invocavano il favore divino sul possessore del vaso.

I vasi di metallo attribuibili con sicurezza agli Abbasidi e quelli che possono documentare le fonti cui essi attinsero per la lavorazione dei metalli sono pochi. Mentre opere in metallo di genere tradizionalmente mediterraneo continuavano a essere prodotte in Siria e in Egitto, lavori riconducibili a tipologie tradizionalmente sasanidi venivano prodotti nelle regioni islamiche orientali. Un gruppo significativo di vasi d’argento decorati a rilievo con figure tratte dal repertorio tradizionale di immagini regali sasanidi è definito comunemente ‘post-sasanide’, giacché tali vasi furono prodotti fino al X secolo, quando cominciavano a diffondersi tipologie chiaramente islamiche, come dimostrano le nuove forme, le decorazioni ad arabesco e le iscrizioni in arabo.

Descrizioni contemporanee o poco più tarde della vita di corte narrano dei lussuosi tessuti di seta a disegni e dei ṭirāz di lino e di lana che i califfi ancora usavano donare. Queste stoffe tessute finemente (decorate con medaglioni contenenti immagini di creature fantastiche, cacciatori e talvolta iscrizioni) continuavano la tradizione della manifattura tessile sasanide. Alcune delle sete cosiddette ‘buyidi’, disseminate fra i maggiori musei europei e statunitensi, potrebbero essere attribuite agli Abbasidi.

Khaṭṭ al-manṣūb‘scrittura proporzionata’ – In origine i caratteri cosiddetti cufici, uniformati per la prima volta nel corso del periodo omayyade, continuarono a essere di rigore per le trascrizioni del Corano su pergamena e per iscrizioni di qualsiasi genere. Molti frammenti di pergamene che riportano passi del Corano, conservate nei musei e nelle biblioteche di tutto il mondo, testimoniano lo straordinario sviluppo delle qualità estetiche dei manoscritti arabi durante il periodo abbaside. Inoltre, nei secc. IX e X, si arrivò alla progressiva regolarizzazione degli scritti in corsivo, che da lungo tempo venivano usati per altri scopi da maestri calligrafi quali Ibn Muqla e Ibn al-Bawwāb, che inventarono e divulgarono il Khaṭṭ al-manṣūb, ‘scrittura proporzionata’, che determinava la misura delle lettere in funzione della larghezza del tratto.

Manoscritti islamici illustrati – Lo sviluppo di una tradizione di manoscritti islamici illustrati può essere fatto risalire al IX secolo – quando la cultura e la scienza greche rifluirono nelle accademie – incoraggiato dal patrocinio dei califfi Abbasidi che richiedevano opere letterarie, scientifiche e filosofiche dall’Egitto, dalla Siria e da Bisanzio. Sebbene si abbia notizia di manoscritti illustrati risalenti all’ VIII secolo, i più antichi esemplari tuttora esistenti, a eccezione di un frammento di papiro proveniente dall’Egitto che illustra una leggenda popolare, risalgono soltanto all’XI secolo, quando cominciò a diffondersi l’uso della carta, introdotta per la prima volta dai fabbricanti cinesi a Samarcanda.

Non rimane praticamente niente dell’architettura abbaside di questi secoli che precedono l’invasione dei Mongoli e il sacco di Baghdad del 1258, a eccezione del cosiddetto ‘palazzo abbaside’ e della madrasa Muṣtansiriyya, المدرسة المستنصرية, un istituto per studi teologici costruito a Baghdad nel 1233.

La madrasa Mustansiriya a Baghdad

La madrasa Mustansiriya a Baghdad

Non soltanto nella pianta con ampi iwān assiali a volta che si aprono all’esterno su un cortile centrale, ma anche nelle decorazioni di mattoni disposti a formare disegni geometrici, questa costruzione, come le contemporanee miniature dei manoscritti, annuncia molti degli sviluppi artistici dell’Iran nel corso del XIV secolo.

ARTE ISLAMICA IN EUROPA

Al-Andalus

Map al-Andalus 1035. Wikimedia Maps of Spain

La prima dinastia che si installa in Spagna (o al-Andalus) è quella degli Omayyadi di Spagna. Questa stirpe discende da quella dei grandi Omayyadi di Siria, decimata nel IX secolo. Essa è sostituita dopo la sua caduta da diversi regni autonomi, i Re delle taife (1031–1091), ma la produzione artistica in questo periodo non differisce fondamentalmente dopo questo cambiamento politico.

Alla fine dell’XI secolo, due tribù berbere si mettono successivamente alla testa del Maghreb e della Spagna, allora in piena Reconquista: gli Almoravidi e gli Almohadi, che apportano influenze maghrebine nell’arte. Ciononostante, conquistata poco a poco dai re cristiani, la Spagna islamica finisce, nel XIV secolo, per ridursi alla sola città di Granada con la dinastia nasride (1238) che riesce a mantenersi fino al 1492.

Di questi tre secoli di storia esistono pochi ma importanti monumenti: la Grande Moschea di Cordova (784-786, in seguito frequentemente restaurata, ampliata e infine ristrutturata come chiesa), i resti del palazzo di Madinat az-Zahra presso Cordova (936-976), il minareto incorporato nella chiesa di S. Giovanni a Cordova (930), la cittadella di Mérida (835) e la moschea di Bab al-Mardun a Toledo (1000), convertita in chiesa dopo la conquista della città da parte dei cristiani nel 1085.

La grande importanza dell’architettura musulmana di Spagna la si può constatare soprattutto in costruzioni più tarde e di vario genere, quali i giardini del Generalife, presso Granada (XIV sec.), i bagni termali di Ronda (XII e XV sec.), il palazzo di Aljafería di Saragozza (1046-1081), la Grande Moschea di Siviglia (1171-1176) e soprattutto il grande complesso residenziale fortificato dell’Alhambra (XIII-XIV sec.), presso Granada.

Alhambra

Alhambra

Sicilia

I resti architettonici della cultura arabo-siciliana, che ebbe inizio nell’826 circa con la conquista araba dell’isola, sono riconducibili all’XI secolo, nel periodo della piena dominazione normanna, durante la quale la forte tradizione costruttiva precedente non solo continuò ma ricevette nuovo vigore. I monumenti più rappresentativi sono la Cappella Palatina, i palazzi della Zisa, la Cuba, la Favara, il Ponte dell’Ammiraglio a Palermo, il bagno di Cefalà Diana e le abitazioni e la moschea recentemente scoperte presso l’acropoli di Segesta.

Interno della Cappella Palatina di Palermo

Interno della Cappella Palatina di Palermo

L’arte della Sicilia araba rappresenta uno sviluppo autonomo della tradizione fatimide, arricchita da forti influenze locali e da una ancora non del tutto chiarita componente mesopotamico- selgiuchide.

MAGHRIB E MEDIO ORIENTE

Maghrib

Nel Maghrib, sono gli Hafsidi (1230), gli Zayyanidi, ovvero Abdelwadidi (1235) e i Merinidi(1258) che continuano la tradizione almohade.

Merinidi, dalla loro capitale di Fes, partecipano a numerose spedizioni militari tanto in Spagna quanto in Tunisia da cui non possono però scalzare gli Hafsidi, una dinastia solidamente insediata. Gli Zayyanidi ebbero intensi scambi con il Sultanato di Granada, firmando così alleanze contro la Corona d’Aragona e i Merinidi. I Merinidi vedono il loro potere diminuire a partire dal XV secolo e sono definitivamente sostituiti dagli Sceriffi nel 1549. Quanto agli Hafsidi, essi subiscono la conquista dei Turchi Ottomani nel 1574.

Egitto e Siria

La dinastia fatimide– Regnando in Egitto tra il 909 e il 1171, la dinastia fatimide è una delle rare sciite del mondo islamico. Nata a Ifriqiya nel 909, essa arriva in Egitto nel 969, dove fonda la città califfale del Cairo, a nord di Al-Fustat, che resta un grande centro economico. La dinastia dà origine a un’importante architettura religiosa e profana, di cui sussistono in particolare le moschee al-Azhar e al-Hakim, come pure le muraglie del Cairo realizzate dal visir Badr al-Jamali.

Al-Azhar

Al-Azhar

Essa è anche all’origine di una ricca produzione di oggetti d’arte nei materiali più diversi: legno, avorio, ceramica lustrata e dipinta sotto vetrinatura, oreficeria, metalli incrostati, vetri opachi e, soprattutto, cristallo di roccia.  L’arte si caratterizza per una iconografia ricca, che sfrutta molto la figura umana e animale, in rappresentazioni animate, che hanno la tendanza a liberarsi degli elementi puramente decorativi, come gli ocelli nella ceramica lustrata. Essa si arricchisce, tanto tecnicamente quanto stilisticamente, mediante i suoi contatti commerciali con le culture del bacino mediterraneo, e in particolare Bisanzio. La dinastia fatimide è peraltro una delle sole che dà luogo a una scultura a tutto tondo, spesso in bronzo.

Nello stesso momento, in Siria, gli atabeg, vale a dire i governatori arabi dei principi selgiuchidi, si arrogano il potere. Molto indipendenti, giocano sulle inimicizie tra i principi turchi e supportano in gran parte l’installazione dei crociati franchi. Nel 1171, Saladino s’impadronisce dell’Egitto fatimide, mettendo sul trono egiziano un’effimera dinastia ayyubide. Questo periodo non è molto fausto per l’architettura, il che non impedisce il rifacimento e il miglioramento delle difese della città del Cairo. La produzione di oggetti di valore non si interrompe. La ceramica lustrata o dipinta sotto vetrinatura e il metallo incrostato di grande qualità continuano a essere prodotti e il vetro smaltato fa la sua apparizione a partire dall’ultimo quarto del XII secolo, particolarmente in una serie di bicchieri e di bottiglie.

Mamelucchi– I Mamelucchi prendono il potere agli Ayyubidi d’Egitto nel 1250 e giungono nel 1261 ad imporsi in Siria, sconfiggendo i Mongoli. Non si tratta propriamente di una dinastia, dato che i sovrani non regnano di padre in figlio; i Mamelucchi sono schiavi turchi emancipati che si passano  il potere tra compagni di emancipazione.

Questo governo durerà quasi tre secoli, fino al 1517, e darà luogo ad una feconda architettura di pietra, composta da grandi complessi sultaniali o emiratici, in particolare al Cairo. La decorazione è realizzata in generale mediante incrostazioni di pietre di colori diversi, secondo la tecnica dell’ablaq, come pure con un importante lavoro sul legno, intarsiato con motivi geometrici a raggiera. Il mecenatismo favorisce la produzione di vetro smaltato e, soprattutto, del metallo incrostato: è a questo periodo che risale il Battistero di san Luigi, uno degli oggetti islamici più famosi, firmato dall’ottonaio Muhammad ibn al-Zayn.

IL PERIODO DELLE GRANDI INVASIONI DALL’ASIA CENTRALE E ORIENTALE

Iran ed Asia Centrale

In Iran e nel Nord dell’India si disputano il potere nel X secolo i Tahiridi, i Samanidi, i Ghaznavidie i Ghuridi. Sono create grandi città come Nishapur o Ghazni e vede la luce la versione attuale della Grande moschea di Isfahan. Si sviluppa l’architettura funeraria, mentre i vasai creano pezzi assai diversi gli uni dagli altri con decorazioni caleidoscopiche su fondo giallo, decorazioni marezzate, vale a dire costituiti da colori di vetrinature colorate, o ancora da ingobbio su ingobbio sotto vetrinatura.

I Selgiuchidi – Nomadi di origine turca (vale a dire dell’Asia centrale, anticamente Turkestan), i Selgiuchidi irrompono nel mondo musulmano verso al fine del X secolo. Si impadroniscono di Baghdad nel 1048 e si estendono nel 1194 in Iran, benché la produzione di oggetti eponimi risalga alla fine del XIII secolo e sia stata dunque realizzata per sovrani indipendenti, più piccoli. È sotto i Selgiuchidi che appare per la prima volta la pianta iraniana. La tecnica dell’haftrang in ceramica su paste silicee e le incrostazioni di metalli preziosi negli oggetti in bronzo sono ugualmente riportati in voga da artigiani di questo periodo.

I Mongoli– Nel XIII secolo, una nuova ondata di invasori provenienti dall’Asia centrale si abbatte sul mondo islamico, risalendo fino alle porte di Vienna: sono i Mongoli sotto la guida dal loro capo Gengis Khan. Alla morte di costui, il suo impero è diviso tra i suoi figli e si creano vari rami: in Cina la dinastia degli Yuan, in Iran quella degli Hulagidi o Ilkhanidi, mentre nel Nord dell’Iran di trovano i nomadi del Khanato dell’Orda d’Oro.

Gli Ilkhanidi – Sotto questi “piccoli khan”, in origine sottomessi all’imperatore Yuan ma rapidamente indipendenti, si sviluppa una ricca civiltà. L’attività architettonica s’intensifica via via che i Mongoli diventano stanziali e resta più o meno segnata dalle tradizioni dei nomadi, il che è provato dall’orientamento nord-sud degli edifici. Si nota tuttavia un’importante persianizzazione e la ripresa di modelli già stabiliti come la pianta iraniana. La tomba di Öljeitü a Solṭāniyyeh è uno dei monumenti più grandi e più impressionanti dell’Iran.

Tomba di Öljeitü a Solṭāniyyeh

Tomba di Öljeitü a Solṭāniyyeh

Questa struttura, eretta fra il 1302 ed il 1312, presenta la più antica doppia cupola del mondo, la cui importanza nel mondo islamico è paragonabile a quella della cupola del Brunelleschi per l’architettura cristiana. La costruzione della cupola di Solṭāniyyeh spianò la strada ad opere ancora più audaci, come il Mausoleo di Khoja Ahmed Yasawi in Kazakistan o il Taj Mahal in India, entrambi patrimoni dell’umanità dell’Unesco come Solṭāniyyeh.

Gran parte delle decorazioni esterne sono andate perdute, ma all’interno del mausoleo vi sono notevoli mosaici, maioliche e affreschi. La cupola ha un peso stimato in circa 200 tonnellate ed un’altezza di 49 metri dalla base.

Sotto questa dinastia  nasce l’arte del libro persiano attraverso grandi manoscritti come i Jami al-tawarikh ordinati dal visir Rashid al-Din. Nuove tecniche appaiono nella ceramica, particolarmente quella del lajvardina, e si notano influenze cinesi in tutte le arti.

L’Orda d’Oro– L’arte di questi nomadi è estremamente poco conosciuta. Gli studiosi, che cominciano appena ad interessarsene, hanno scoperto che in queste regioni esistevano un’urbanistica e un’architettura. Si sviluppa ugualmente un’importante oreficeria la maggior parte dei cui pezzi mostrano una forte influenza cinese. Conservati all’Ermitage di San Pietroburgo, cominciano solo ora ad essere studiati.

Turkmeni– I Turkmeni, che conducono una vita nomade nella regione del Lago di Van, sono molto poco conosciuti. A loro si devono tuttavia varie moschee come la Moschea blu di Tabriz ed essi avranno un’influenza decisiva tanto in Anatolia dopo la caduta dei Selgiuchidi di Rum quanto in Iran, durante la dinastia timuride.

Moschea blu di Tabriz

Moschea blu di Tabriz

A partire dal XIII secolo l’Anatolia è dominata da piccole dinastie turcmene che si insediano, appropriandosi progressivamente del territorio bizantino. A poco a poco, emerge una dinastia: quella degli Ottomani, che è chiamata “primi Ottomani” prima del 1453. Il mecenatismo si esercita allora principalmente nell’architettura dove si registra una ricerca sull’unificazione dello spazio mediante l’impiego di cupole. Anche in ceramica sono poste le basi di quella che diventerà l’arte ottomana propriamente detta con la “ceramica di Mileto” ed i primi tappeti anatolici blu e bianchi.

L’arte Timuride – È una terza invasione di nomadi, quella delle truppe di Tīmūr (Tamerlano), che fonda il terzo grande periodo medievale iraniano: quello dei Timuridi. L’architettura e l’urbanistica persiana, in particolare attraverso i monumenti di Samarcanda, conoscono un’età aurea. Le decorazioni di ceramica, le volte delle muqarnas sono particolarmente impressionanti.

Piazza Registan a Samarcanda

Piazza Registan a Samarcanda

Timuridi furono chiamati appunto i discendenti Tīmūr, o Tamerlano, che nella seconda metà del XIV secolo aveva formato un impero con centro a Samarcanda, esteso dalla Transoxiana e Persia orientale sino alla Mesopotamia. Morto Tīmūr nel 1405, gli succedette nella parte occidentale dell’impero il figlio Mīrānshāh morto nel 1407, e in quella orientale l’altro figlio Shāhrukh, che a poco a poco seppe riunire sotto il suo regno (1405–1447) quasi tutti i territorî aviti.

Il lungo regno di Shāhrukh segna l’apogeo della potenza politica, economica e dello splendore culturale dei Timuridi; sotto i successori Ulūgh Beg῾Abd el-LaṭīfAbū Sa῾īd, il nucleo orientale dell’impero timuride continuò a essere sede di una brillante civiltà caratterizzata da una notevole fioritura artistica, ma la potenza politica dello stato andò sempre decadendo. L’ultimo decennio del XV secolo segna il crollo dei Timuridi di Persia, il cui regno si dissolve col riformarsi dell’unità persiana sotto i Safavidi, e con la conquista della Transoxiana, centro della dinastia, da parte degli Usbechi Shaibanidi. Il timuride Bābur, rifugiatosi in India dopo la perdita del regno, vi fondò l’impero dei Moghul.

È in parte il periodo timuride che dà la sua coesione all’arte persiana permettendo più tardi il suo sviluppo nel grande impero safavide.

Arte dei Ghaznavidi e dei Ghuridi in Afghanistan– L’arte nell’Afghanistan si produce per confluenza di correnti diverse, partecipi di quella componente fondamentale indoiranica che da epoca remota segnò i contatti tra le due civiltà (nei siti afghani di Mundigak e Kandahār già dal IV millennio a. C. sono testimoniate affinità evidenti con le civiltà dell’Indo e dell’Iran), con una continuità più evidente dal sec. VI a. C. al sec. VIII d. C.

La massima estensione dell'impero Ghaznavide

La massima estensione dell’impero Ghaznavide

Sull’itinerario dei centri monastici del buddhismo e lungo le vie carovaniere (Begram) si attuarono i più imprevisti incontri fra tradizioni estetiche e formule iconografiche di origine diversa , dando vita a connubi stilistici come quello greco-buddhista (sec. II a. C., frutto di influenze ellenistiche e irano-partiche) e quello irano-buddhista fiorito a Bamiyan, successivamente sottolineato da una corrente sassanide-gupta (sec. V-VII d. C.). Ancora dall’alveo culturale iranico, ma con altri interessi estetici, dipenderà l’arte dei Ghaznavidi (sec. X-XII d. C.) e dei Ghuridi (metà sec. XII-inizi sec. XIII d.C.), sfondo immediato all’arte selgiuchide e antefatto di quella indomusulmana.

Dei primi si ricordano i resti dei palazzi sultaniali di Lashkari Bazār (con pitture murali di stile centro-asiatico) e di Ghazni (l’antica Ghaznā, con resti di rivestimenti parietali marmorei di finissima eleganza), oltre ai magnifici minareti a pianta stellare di Mas’ud III e di Bahrām Shāh, sempre a Ghazni.

Già nel VII secolo Ghazni era stata  occupata da truppe arabe provenienti dall’Iran, ma solamente nel 962 venne sottomessa per mano di Altpigin, al comando di un esercito samanida. La città visse il suo momento di più grande splendore dal 998 al 1030, quando divenne la capitale dell’impero fondato dalla dinastia dei Ghaznavidi, che si estendeva dalla Persia occidentale fino alla valle del Gange. In questo periodo la città ospitò importanti uomini di cultura e di scienze, come il poeta Firdusi e lo scienziato al-Biruni e venne impreziosita dalla costruzione di moschee, giardini e palazzi lussuosi. La fortuna della città andò progressivamente declinando fino al saccheggio effettuato dai mongoli nel 1221.

Ghazni è conosciuta per i suoi minareti costruiti a pianta stellare. Sono del XII secolo, dovevano raggiungere un’altezza di circa sessanta metri, e costituiscono i resti della moschea di Bahram shah. Le pareti laterali sono decorate con disegni geometrici. Le parti superiori dei minareti sono state danneggiate o sono crollate.

Il minareto di Bahram Shah a Ghazni

Il minareto a pianta stellare di Bahram Shah a Ghazni

Un’altra perla della città è il palazzo di Mas’ud risalente al 1099, costruito in fango e mattone crudo, secondo schemi architettonici iranici. Tra le sale più importanti vi sono quelle di preghiera e del trono, arricchite da decorazioni in mattone cotto con l’aggiunta di elementi in terracotta e di stucco, e pavimentazioni marmoree di influenza indiana.

Ai Ghuridi appartiene il bellissimo minareto cilindrico di Jam, fra le montagne del Ghor, prototipo immediato, insieme con i precedenti, del Quṭb Minār di Delhi. L’arte islamica si conclude nell’Afghanistan con la splendida fioritura della civiltà timuride (sec. XV), che avrà uno dei suoi centri maggiori a Herāt.

Continuando sul loro slancio, i Turchi selgiuchidi proseguono le loro conquiste fino in Anatolia. Dopo la battaglia di Manzicerta nel 1071, essi costituiscono un sultanato indipendente da quello dei loro cugini iraniani. Il loro potere sembra estendersi a partire dal 1243 dopo le invasioni mongole, ma monete a loro nome sono coniate fino al 1304. L’architettura e gli oggetti sintetizzano diversi stili, tanto iraniani quanto siriani, rendendo spesso difficili le attribuzioni. L’incisione su legno è un’arte di grande importanza e si conosce un unico manoscritto illustrato risalente a quest’epoca.

India prima dei Moghul– L’India, conquistata dai Ghaznavidi e dai Ghuridi nel IX secolo, diventa autonoma solo a partire dal 1206 quando i Muizzi, o re-schiavi, prendono il potere, segnando la nascita del Sultanato di Delhi. Più tardi, altri sultanati concorrenti vedono la luce nel Bengala, nel Cashmere, nel Gujarat, a Jaunpur, nel Malwa e nel Nord del Deccan (Bahmanidi). Essi si allontanano a poco a poco dalla tradizioni persiane, dando origine ad un’architettura e ad un’urbanistica originali che si colorano di sincretismo con l’arte indù. La produzione di oggetti non è quasi studiata in questo periodo, ma si conosce un’importante arte del libro. Il periodo dei sultanati si conclude con l’arrivo dei Moghul che si impadroniscono a poco a poco di tutta la regione.

LA STABILIZZAZIONE IMPERIALE

I tre imperi (XV – XIX secolo)

Ottomani

L’Impero Ottomano, nato nel XIV secolo, proseguirà fino all’indomani della Prima guerra mondiale. Molto esteso nel tempo e nello spazio, questo impero possiede un’arte prolifica: al tempo stesso un’architettura feconda, una produzione di massa di ceramiche (le ceramiche di İznik in particolare), un’importante attività gioielliera e un’importante arte del libro. Numerosi scambi con i paesi orientali (Iran, Cina), ma soprattutto occidentali, particolarmente Venezia, hanno luogo in quest’epoca.

La pianta ottomana delle moschee è al tempo stesso ispirata alla pianta della chiesa di Santa Sofia che i musulmani scoprono a Costantinopoli (Istanbul) dopo la conquista della città da parte di Maometto II e alle ricerche anteriori dei primi Ottomani. occorre segnalare in particolare la figura dell’architetto Sinān, che visse estremamente a lungo (circa cento anni), e realizzò varie centinaia di edifici.

Gli Ottomani sono ugualmente i primi ad ottenere un rosso vivo, detto “rosso di Iznik”, nella ceramica. L’apparizione di questo colore, molto particolare per il suo rilievo, interviene verso il 1557 come prova una lampada della Moschea di Solimano a Istanbul, conservata attualmente nel Victoria and Albert Museum di Londra.

India Moghul

Moghul regnano in India tra il 1526 ed il 1858. L’architettura è messa in risalto con l’adozione definitiva della pianta moghul per le moschee, la creazione del celebre Taj Mahal.

È sotto il regno di Shah Jahan che è possibile individuare il momento classico dell’architettura moghul. Questi stabilisce un programma architettonico molto ambizioso, il più vasto di tutta la storia dell’arte islamica: le principali manifestazioni di quest’arte sono rintracciabili nel Forte rosso di Agra, a Delhi, ad Ajmer, nel Kashmir, ecc. Questo classicismo si manifesta con diversi tratti peculiari – quali ad esempio l’importanza della simmetria – ed utilizzando un repertorio di forme e modelli più standardizzato e limitato rispetto ai precedenti regni – come arco lobato – che si diffonde in tutto l’Impero. Il materiale preferito è ora il solo marmo bianco, senza arenaria rossa, ma decorato con stucchi e intarsi.

Il Taj Mahal , situato ad Agra, nell’India settentrionale (stato di Uttar Pradesh), è un mausoleo fatto costruire nel 1632 dall’imperatore moghul Shah Jahan in memoria della moglie preferita Arjumand Banu Begum. Nonostante vi siano molti dubbi riguardo il nome dell’architetto che lo progettò, generalmente si tende a considerare Ustad Ahmad Lahauri il padre dell’opera.

Taj-mahal

Taj Mahal

Persia- Ṣafàvidi e Qajar

L’arte dei afàvidi ( Ṣafàwidi)– L’Iran, tra i Moghul e gli Ottomani, resistette alla meno peggio con alla sua testa una dinastia di sciiti duodecimani che durò dal 1501 al 1786. Fondatore di questa dinastia  fu Ismā῾īl (1483–1524), discendente dello shaikh Ṣafī ad-dīn di Ardabīl, eponimo della dinastia (àfawiyya, o àfawī, relativo-gentilizio di Ṣafī divenuto nelle fonti occidentali Sofi o Sophi). I afàvidi riunificarono territorialmente la Persia e dichiararono religione ufficiale lo sciismo duodecimano che rimase da allora dominante. Sotto il quarto successore di Ismā῾īl, ῾Abbās I(1587–1629), che riportò una vittoria contro gli Ottomani (1603), conquistò tutto il territorio fino a Baghdād (1624) ed espulse la colonia portoghese dall’isola di Hurmūz, la potenza e lo splendore dei afàvidi giunsero all’apogeo. Seguì una lunga decadenza di quasi un secolo, in alterne lotte della Persia ṣafavide con l’Impero ottomano per il possesso della Mesopotamia. La dinastia cadde nei primi decennî del XVIII secolo, con l’invasione degli Afgani (1722) che occuparono la capitale Ispahan, e, dopo una breve restaurazione, con l’usurpazione di Nādir Shāh nel 1736.

L’arte ṣafavide vide a poco a poco una forte evoluzione della ceramica e dell’arte del metallo che, a metà del XVI secolo, non era più incrostato di materie preziose ma di paste colorate. Alcuni studiosi parlano perfino di declino dell’arte del metallo nel XVI secolo. Le porcellane cinesi, molto apprezzate, conducevano a imitazioni in azzurro e bianco con motivi molto sinizzanti che si sviluppavano d’altronde nell’arte del libro e del tappeto. Un’architettura fiorente si mise in opera e ad Isfahan fu creata una nuova città da Shah ’Abbas, con numerosi giardini, palazzi di campagna come l’Ali Qapu, un immenso bazar e la grande Moschea dello Scià. Questa moschea fu eretta nel 1629 al lato sud di Piazza Naqsh-e jahàn, una delle piazze più grandi del mondo, il cui complesso è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità nel 1979.

L’edificio è un eccellente esempio di architettura islamica dell’Iran e dell’arte islamica in generale. La moschea è riconosciuta come uno dei più grandi capolavori dell’architettura persiana.

Isfahan_Royal_Mosque_general

Moschea dello Scià a Isfahan

L’arte dei Qajar– La caduta dei Safavidi sotto le invasioni afghane condusse a un secolo di disordine, interrotto dalla salita al potere di una tribù turkmena insediata dall’epoca mongola sulle rive del Mar Caspio: i Qajar. Essi diedero luogo ad un’arte molto influenzata dall’Occidente: i grandi ritratti dipinti ad olio su tela degli scià cagiari hanno poco a vedere con la pittura persiana perfino se vi si ritrovano certi codici della miniatura. Sotto il loro regno, riprese l’architettura monumentale con lo sviluppo della città di Teheran. Nell’arte furono messe in opera nuove tecniche come la lavorazione dell’acciaio.

L’età moderna

Nel XIX secolo “maggiori contatti con la cultura europea avevano portato all’accoglimento di modelli occidentali; nello stesso tempo l’Occidente si era aperto, dapprima solo per esotismo, a un generico Oriente che solo in un secondo tempo si era precisato”. Questo processo è particolarmente evidente nella costruzione delle moschee, che restano l’elemento simbolo dell’architettura islamica. Le moderne moschee conservano gli elementi basilari della tradizione e la loro funzione di testimonianza religiosa, ma si adattano per tenere conto dei diversi contesti: ad esempio, in paesi che hanno da poco conquistato l’indipendenza (Giacarta, Moschea di Stato della Repubblica Indonesiana, 1955-1984) o in paesi di fede diversa, ad esempio occidentali (Londra, Roma) in cui spesso sono annesse a centri culturali. Nei paesi musulmani si assiste alla riproposizione dei modelli tradizionali (scelta che ha una precisa valenza politica e culturale), attenuata tuttavia dall’uso di tecniche e materiali nuovi (Moschea di re Abd Allah ad Amman, 1989, che richiama la Cupola della Roccia; Moschea di re Faysal a Islamabad, 1966-86, semplice struttura a tenda con 4 minareti angolari).

L’architettura conserva dunque caratteristiche più marcatamente islamiche, mentre altre forme artistiche risentono maggiormente delle influenze occidentali ed internazionali in genere. Per quanto riguarda la scultura, specialmente di grandi dimensioni, “avendo minori tradizioni è quella che più si è assoggetta alle tendenze moderniste internazionali”. La pittura subisce già alla fine del XIX secolo l’influsso degli stili europei, per poi adottare anche la bidimensionalità moderna, che realizza un felice connubio con l’antica arte della miniatura. Nel XX secolo, lo stile tende a recuperare i modelli della tradizione popolare, mentre torna in auge l’arte della calligrafia.


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Antonio De Lisa

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