La storia visuale si basa su documenti visivi, come disegni, grafici, mappe, fotografie. La domanda a cui risponde è: “E’ possibile documentare un avvenimento o un periodo storico in mancanza di documenti scritti, facendo uso solo di tracce visive?” Forse per rispondere a questa domanda ci sarà bisogno di un periodo di rodaggio. Per il momento ci accontentiamo di integrare la documentazione scritta con una serie mirata e commentata di immagini relative alla questione trattata.
Naturali compagni di strada della Storia visuale sono la Geografia visuale, la Sociologia visuale e l’Antropologia visuale. Queste discipline hanno raggiunto un buon livello di scientificità nei loro settori. Osiamo sperare che simili risultati possano essere raggiunti anche dalla Storia visuale.
Facciamo qualche esempio di ricerca. Nella seconda metà del XX secolo per merito di alcuni studiosi si sono approfonditi temi relativi a quelle che loro stessi hanno definito “Religioni politiche”, in riferimento a regimi dispotici come il fascismo e il nazismo, che cercavano il consenso con un uso spregiudicato delle immagini e della propaganda. Discorso simile è stato fatto per il comunismo sovietico, in particolare dello stalinismo, sia pure evidenziandone differenze ed elementi originali ed è possibile fare ancora oggi per il comunismo cinese. In questi casi ci si trova a dover analizzare le stesse immagini prodotte dalla propaganda di regime. Un discorso diverso andrebbe fatto per le democrazie occidentali, la cui sfera di persuasione non è interna all’apparato di potere, ma esterna: si pensi ai valori veicolati (per immagini) dal cinema di Hollywood.
Non si dovrebbe pensare che la Storia visuale riguardi solo la modernità. Essa è applicabile a diversi periodi storici. L’accortezza in questi casi è cercare di coniugare nuovi spunti di ricerca con vecchi specialismi, almeno nel caso in cui questo sia possibile.
Quando si fa storia bisogna sempre partire dalle fonti. Le prime a dovere essere usate cono quelle primarie come Documenti e materiali di cui si serve lo storico per strutturare la sua ricerca. Sono tracce dirette e contemporanee di una presenza o di una attività umana legate all’argomento della ricerca (documenti scritti, testimonianze orali, oggetti d’uso, giornali e riviste ecc.).
Sono invece fonti secondarie quelle costituite da opere storiografiche a loro volta frutto di un lavoro condotto su fonti. In particolare, grazie al contributo della Scuola delle Annales ( Bloch, Marc; Febvre, Lucien), nel XX secolo il significato di questa espressione si è molto esteso, cosicché dal monopolio quasi assoluto dei documenti scritti si è passati a riconoscere come fonti anche monumenti, fotografie, immagini, prodotti culturali o legati alla «cultura materiale» di un dato contesto.
Il problema è come integrare le varie fonti, specie ora che si pone all’attenzione degli esperti la valutazione delle fonti nate dal web 2.0. Con questi ultimi strumenti di lavoro bisognerà fare i conti in maniera seria, rilevandone le potenzialità ma anche i rischi. In questi casi sarà fondamentale il metodo di ricerca e le sue cautele disciplinari, sottoponendo i materiali a severa verifica.
In conclusione possiamo dire che questo nuovo terreno di ricerca pone delle sfide interessanti a menti aperte e a spiriti liberi.
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