Paolo I (1796-1801), succeduto alla madre, evidentemente squilibrato, rappresentò una triste parentesi; ad Alessandro I (1801-25), forse in parte responsabile della misteriosa soppressione del padre, toccò ormai il compito di dirigere la Russia, prima e dopo la vittoria su Napoleone, sulla via di un rinnovamento morale e sociale. Tutto sembrava preannunciarlo: l’educazione liberale ricevuta dallo zar, l’apertura del Paese a libri e idee europei, la nuova coscienza delle giovani generazioni, l’influenza occidentale subita da nobili e militari attraverso le guerre con i Francesi, l’unione spirituale di tutti i Russi di fronte all’invasione straniera.
Eppure Alessandro riuscì a vanificare queste promesse, passando in pochi anni da un liberalismo velleitario e dai vasti programmi di riforme costituzionali preparati da Speranskij (1809-12) a un misticismo altrettanto dilettantesco (la Santa Alleanza del 1815) e, più tardi, sotto l’influsso dell’onnipotente ministro Arakčeev e di Metternich, a una posizione nettamente reazionaria sia di fronte ai suoi sudditi sia dinanzi alle nazioni che invocavano libertà (1820-25).
Nel periodo in cui la Russia partecipò alla Santa Alleanza espanse il suo impero in Finlandia, Caucaso, Polonia e Bessarabia. Il sistema venutosi a creare dopo il congresso di Vienna entrò in crisi con la guerra di Crimea contro Francia e Inghilterra.
Nei primi anni del regno di Alessandro il commercio e l’istruzione avevano chiaramente progredito grazie all’atmosfera di libertà che incoraggiava le iniziative, ma dopo le guerre del 1812-15 scomparve ogni prospettiva di rinascita e le classi lavoratrici ripiombarono nella loro schiavitù economica e giuridica.
Il processo riformatore produsse un ampio sviluppo del ceto medio intellettuale: professori, letterati, giornalisti, ma anche giudici, funzionari, militari consci dell’arretratezza e critici verso lo status quo.
Un russo, Alexander Herzen, viene considerato (metà 800) il padre del socialismo nella forma del populismo rivoluzionario, sulla scia delle rivoluzioni europee del 1848.
Anche la creazione del nuovo regno di Polonia, assegnato allo zar, non recò alcun vantaggio né ai Russi né ai Polacchi per l’impossibilità in cui si trovava il governo di San Pietroburgo di risolvere i problemi d’altri popoli, non sapendo risolvere i propri.
Era logico che, dopo il 1816, sorgessero in Russia società segrete, nate dal malcontento delle classi alte, che la reazione sembrava privilegiare ma i cui membri più illuminati (per lo più ufficiali dell’esercito) si agitavano impazienti di fronte a un assolutismo non più giustificabile. Si giunse a programmare la deposizione di Alessandro o addirittura lo zaricidio; ci fu (dicembre 1825) il tentativo di colpo di stato dei decabristi, fallito per errori d’organizzazione, ma rivelatore di una crisi profonda. L’aver inaugurato il regno con questo drammatico evento indusse Nicola I (1825-55), fratello di Alessandro, a imboccare sin dall’inizio la via di una reazione organizzata in ogni particolare.
Nicola volle essere il “gendarme d’Europa”; la sua coerenza morale e la sua buona fede, tanto maggiori di quelle del fratello, gli consentirono d’immobilizzare la storia russa nel rifiuto d’ogni novità e nella lotta contro ogni idea che minacciasse il sacro trinomio: ortodossia, autocrazia, nazionalismo. Per Nicola la salvezza della Russia stava nel resistere al contagio delle idee d’Occidente, il che spingeva fatalmente all’opposizione tutta l’. Il controllo del pensiero e dell’attività dei nemici, veri e presunti, del regime di Nicola, esercitato da una polizia oculatissima, bloccò ogni tentativo di protesta o di rivolta.
Le armi russe furono, è vero, vittoriose in più di un’occasione: soffocarono l’insurrezione polacca (1830-31), avanzarono in Caucasia, in Persia e nell’Asia centrale, sconfissero (1849) gli Ungheresi ribellatisi contro Vienna. Ma la guerra di Crimea (1853-56) rappresentò un grave scacco, non solo perché scatenò in difesa della Turchia le maggiori forze militari dell’Occidente o perché fece perdere alla Russia il predominio sul Mar Nero, ma soprattutto perché rivelò la disorganizzazione dell’esercito, l’incapacità dei capi, la corruzione esistente in alto e in basso.
Alessandro II (1855-81), salito al trono in un momento assai critico, animato da intenzioni liberali, iniziò il suo regno con il preciso disegno di una riforma dello Stato in senso moderno e soprattutto di una soluzione della questione agraria. La Russia sembrò trovare una nuova vitalità in un regime che incoraggiava l’istruzione, la stampa, le iniziative economiche. L’emancipazione dei servi della gleba (1861) fu una grande svolta nella storia russa più per il suo significato politico-morale che per le conseguenze immediate; in realtà ne uscirono svantaggiati tanto i proprietari quanto i contadini. Intanto vivaci correnti di pensiero si affrontavano nel Paese; già nei decenni precedenti gli occidentalisti e gli slavofili, uniti nell’auspicare la trasformazione sociale e politica della Russia, si separarono al momento di scegliere per modello l’Occidente innovatore o le vecchie tradizioni del popolo russo.
Sotto Alessandro II molti intellettuali si orientarono verso il populismo, cercando di ridestare nei contadini la speranza di poter essere un giorno gli arbitri del loro destino. Dalla matrice populista sorsero gruppi di combattimento, alcuni dei quali scelsero il terrorismo come unica arma idonea a combattere lo spirito di reazione che tornò ad animare le sfere governative. Alessandro II, che pure aveva ottenuto qualche successo politico-militare nei Balcani (1877-78), che aveva dato impulso all’industria, al commercio, alle ferrovie e che aveva sinceramente auspicato uno sviluppo della Russia in senso europeo, finì con il raccogliere diffidenza e odio da destra e da sinistra e morì assassinato da un terrorista (1881), assai meno rimpianto di quanto non meritasse.
Molti giovani intellettuali divennero nichilisti senza nessuna speranza né verso il riformismo dall’alto né verso la rivoluzione dal basso. Nacque anche l’anarchismo, con Michail Bakunin. Giovani intellettuali proveranno a spingere le masse contadine, fallendo, alla rivolta. Queste proteste porteranno al terrorismo (l’uccisione dAlessandro II, lo zar riformatore) e alla nascita del partito operaio socialdemocratico russo, fondato da Plekhanov, con l’influenza di Marx. Il partito si divise dopo qualche anno in una minoranza (menscevichi) ed una maggioranza (bolscevichi). Il ventennio riformatore di Alessandro II si chiuse con il suo assassinio e il figlio Alessandro III attuò una politica di panslavismo, russificazione delle minoranze etniche e antisemitismo fino alla violenza e all’eccidio (pogrom) degli ebrei delle regioni meridionali.
L’avvento al trono del figlio Alessandro III (1881-94), infatti, peggiorò la situazione: sotto l’influsso nefasto di Pobedonoscev, si tornò a governare nel culto dei tre “miti” del tempo di Nicola. Ma l’autocrazia, più che un fatto, venne considerata un dogma; l’ortodossia diventò persecuzione dei sudditi cattolici, ebrei, protestanti, o comunque dissidenti; il nazionalismo fu compressione delle nazionalità non russe, sostituzione forzata della lingua russa agli altri idiomi nazionali. Sembrava che lo zarismo, ormai moribondo, volesse accentuare tutte le ingiustizie e gli errori del passato. Gli ebrei furono i più bistrattati, colpiti come furono da misure legali e frequenti .
L’autogoverno locale, promosso da Alessandro II con la creazione degli zemstvo, aveva impegnato nobili, borghesi e contadini in un fecondo lavoro comune; ma Alessandro III distrusse tutto questo, ridando alla classe nobile le responsabilità amministrative e svuotando di significato tutte le riforme del suo predecessore.
Nonostante questa cecità del governo, che per evitare la rivoluzione moltiplicava i presupposti della medesima, la Russia verso la fine del secolo aveva compiuto passi da gigante nella produzione industriale, ma i grandi profitti non avevano contribuito al benessere della popolazione essendo finiti nelle casse dello Stato o nelle mani di pochi capitalisti, quasi sempre stranieri. In politica estera la Russia, venuta in urto con l’alleata Germania sia per ragioni economiche sia per le delusioni patite nei Balcani di fronte alla politica di Vienna appoggiata da Berlino, si orientò verso un’alleanza con la Francia (1891).
Con Nicola II (1894-1917) il progresso economico fu ancora più sensibile, grazie all’azione energica di S. Ju. Vitte, ministro delle Finanze, il maggior uomo di Stato russo del suo tempo (1892-1903). Con l’industria crebbe di numero e di forza il proletariato urbano, pronto ad accogliere non più il verbo dei terroristi, ma l’insegnamento marxista, con altre ideologie rivoluzionarie che il governo perseguiva senza poterle sopprimere.
La sconfitta contro il Giappone accellerò lo scoppio della prima rivoluzione nel 1905. Nicola II concesse pieni diritti civili ed avviò la costituzione. Ogni ordine partecipò alla Duma, una assemblea elettiva nazionale. Lo zar mantenne l’elezione di metà della camera alta, il diritto di veto su ogni legge, il controllo delle spese militari. La prima Duma richiese suffragio universale, abolizione della camera alta, riforma agraria. Dopo due mesi, estate 1906, fu sciolta dallo zar. Witte fu sostituito da Stolypin che stroncò il movimento con una dura repressione. Stesso destino toccò un anno dopo alla seconda Duma che fece richieste ancor più radicali data la presenza di partiti socialisti e rivoluzionari e dell’estrema destra al posto dei liberali democratici che parteciparono alla prima Duma. Nel 1907 Stolypin e l’alta borghesia realizzarono un colpo di stato reazionario. Con il nuovo governo aumentò la tradizionale frattura città/campagna e nonostante il tentativo di formare una proprietà contadina autonoma prevalse nello scontro politico la nobiltà fondiaria che riprese parte del suo potere.

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