L’arte Omàyyade

DAMASCO

L’arte Omàyyade

Omàyyadi è il nome dato in Europa ai Banū Umayyah (figli di Umayyad), la dinastia dei califfi che detennero il sommo potere nell’impero arabo dal 661 al 750, e che, dopo il crollo in patria, fondò – a opera dell’unico superstite – il califfato indipendente di Cordova (756-1031).

Il regno della dinastia degli omayyadi durò meno di novant’anni (41/661-132/750), ma durante questo periodo relativamente breve essi sconvolsero la mappa politica e culturale del mondo mediterraneo e dell’Asia occidentale e centrale. Spronati dalla nuova religione islamica, crearono un vasto impero che si estendeva dalla Francia meridionale a occidente fino all’India e ai confini della Cina a oriente.

Il primo personaggio importante della dinastia è Abū Sufyān (m. dopo il 650), prima nemico, poi suocero e seguace di Maometto. Era omayyade ‘Osmān, terzo dei califfi “ortodossi” (m. 656). Già gli Omayyadi formavano il gruppo più potente della tribù meccana dei Coreisciti quando Mu’āwiyah, figlio di Abū Sufyān, dopo aver capeggiato l’opposizione contro il 4º califfo ‘Ali ibn Abi Talib, si fece, alla morte di lui (661), eleggere califfo in Siria, Iraq, Egitto e Arabia, stroncando ogni resistenza.

Muʽāwiyah, influenzato dall’esempio di altri Paesi, volle fare del califfato una monarchia ereditaria, rompendo decisamente con la tradizione “democratica” ed egualitaria delle vecchie tribù arabe. Uomo di grandi qualità, sembrò, agli occhi dei contemporanei e più ancora dei posteri, simboleggiare il trionfo di uno spirito laico e di una concezione profana del mondo: ma in realtà gli Omayyadi erano fedeli musulmani e leali difensori della legge del Profeta. Il loro torto, se mai, fu d’aver capito prima di altri Arabi la necessità di dare all’Islam una struttura politica che lo rendesse più agguerrito di fronte alle crescenti opposizioni.

Il califfato omayyade ebbe sede a Damasco, che respinse in seconda linea le città sacre, Medina e La Mecca. La Siria gli diede non solo la capitale, ma un ambiente di cultura ben sviluppato, una popolazione araba devota e laboriosa e una classe di funzionari, non arabi e spesso cristiani, che furono preziosi alla nuova monarchia. La lingua dell’amministrazione era il greco, solo più tardi soppiantato dall’arabo.

Questa utilizzazione dei cristiani di Siria allarmò naturalmente l’elemento arabo più nazionalista, che, umiliato, creò una prima corrente d’opposizione. Una seconda venne dagli sciiti, fedeli alla memoria di ʽAlī e di suo figlio Ḥusayn, numerosi soprattutto nell’Iraq; una terza era quella dei khārigiti, musulmani rigorosi e intolleranti; una quarta fu quella della Mecca e di Medina, insorte per istigazione dei familiari dell’assassinato Ḥusayn.

Gli Omayyadi dovettero combattere senza respiro, specie quando ai discendenti di Muʽāwiyah succedette il cugino Marwān I (684-685) nella cui famiglia il califfato durò sino alla caduta degli Omayyadi. Dei Marwanidi il più bellicoso fu ‘Abd al-Malik (685-705), il cui famoso generale al-Ḥaǧǧāǧ espugnò La Mecca (692) e represse poi (701) la sedizione dell’Iraq.

I centri di influenza

Gli omayyadi scelsero come centro politico la Siria e le sue province, un’area conosciuta come Bilâd al-Shâm (Libano, Siria, Giordania, Palestina e Israele).

L’area siro-libano-transgiordanico-palestinese era chiamata complessivamente Shām, impiegando un toponimo di origine molto antica per indicare tutta quell’area geografico-antropica che si estendeva a nord della Penisola Araba che confinava a ovest con l’Egitto e a est con la Cilicia bizantina.

Ash-Sham

In quanto provincia della Siria, le zone dell’attuale Giordania erano di grande interesse per gli omayyadi, soprattutto perché costituivano il legame geografico tra la capitale Damasco e la regione dell’Hijâz, importante dal punto di vista politico e religioso.

L’espansione

L’espansione musulmana sotto gli Omayyadi fu d’eccezionale vastità: col califfo al-Walī’d (705-715) si progredì all’est sino alla Transoxiana (Buhara, Samarcanda) e al di là dell’Indo (Sind). Al nord si giunse, sotto il califfo Sulaymān (715-717), ad assediare Costantinopoli. All’ovest, dove i primi Omayyadi avevano spinto razzie sino a Tripoli, si rafforzò la provincia d’Africa con la fondazione di Qairawān (670) e, occupato il Maghreb, s’iniziò la conquista della Spagna (711). Nel 713 gli Arabi raggiungevano Narbona, nel 725 saccheggiavano Nîmes, nel 732 erano fermati a Poitiers da Carlo Martello. Negli anni successivi, però, devastavano e in parte occupavano Provenza e Delfinato. Mai più le armi arabe furono portate così lontano.

L’arte omayyade

L’arte omayyade è il risultato delle scelte effettuate dagli Arabi nel periodo della loro formazione artistica, e insieme la sintesi, perfettamente riuscita, dell’arte tardoromana e asiatica, adattata alle esigenze locali. Alla fine del sec. VII o agli inizi dell’VIII risalgono i monumenti più significativi:

– la Qubbat as-Sahra (Cupola della Roccia),

– la moschea di Wāsiṭ in Iraq (703-704)

– la moschea degli Omayyadi a Damasco (705-715) .

La Cupola della Roccia

La Cupola della Roccia, eretta intorno a una pietra sacra del tempio di Gerusalemme, è il più interessante dei tre edifici e rappresenta un unicum nel panorama dell’arte islamica. La sua pianta centrale è un modulo architettonico propriamente siriaco; i mosaici della decorazione interna, e più ancora gli ornati dell’esterno, con una cornice ad arcatelle su colonnine binate, rivelano i fermenti della nuova arte islamica.

Cupola della Roccia Egira 72 / d.C. 691 Omayyade Gerusalemme
Cupola della Roccia- Egira 72 / d.C. 691 – Omayyade  – Gerusalemme

La moschea di Wāsiṭ

L'ingresso della moschea di Wasit
L’ingresso della moschea di Wasit

La moschea degli omayyadi a Damasco

Nel luogo ove sorge la moschea, che, alla fine del III millennio a.C., era sopraelevato di circa 5 metri rispetto al territorio circostante, gli Amorrei eressero un tempio dedicato al dio semitico della tempesta, Hadad, che poi in epoca greca divenne Zeus ed in epoca romana divenne Giove.

I Romani modificarono il tempio originale, nel I secolo d.C. e poi, ancora durante la dinastia dei Severi, tanto che il tempio divenne il più grande della Siria.

Con l’imperatore Teodosio, alla fine del IV secolo, a seguito del divieto imperiale di praticare culti diversi da quello cristiano, il tempio fu trasformato in una chiesa dedicata a san Giovanni Battista.

Nel 661, dopo la conquista araba, il califfo, Mu’awiya ibn Abi Sufyan, all’interno del Temenos, terreno appartenente al Santuario del vecchio tempio pagano, fece erigere una musalla all’aperto, per cui per alcuni decenni, musulmani e cristiani celebrarono fianco a fianco i loro riti.

Nel 706 d.C. il califfo omayyade al-Walid I, riprendendo la politica del padre ‘Abd al-Malik ibn Marwān che aveva eretto a Gerusalemme la cupola della Roccia, decise di dare vigore all’opera di monumentalizzazione della capitale Damasco. Ordinò pertanto che si costruisse la grande moschea, ultimata nel 715, nel luogo dove era sempre stato il luogo di culto più importante della città, cioè inglobando la parte cristiana residua dell’originale chiesa dedicata a san Giovanni Battista, che era stata eretta da Teodosio sul tempio pagano del I secolo.
Il califfo al-Walīd fece demolire tutti gli edifici esistenti all’interno del recinto sacro, risparmiando solo le tre torri-campanili, trasformate in minareti: il minareto di Gesù (ʿĪsā), quello di Qayt Bey (dal nome di un sultano mamelucco) e quello infine detto “della Sposa” (ʿarūsa), realizzò un edificio destinato a influenzare la successiva architettura religiosa islamica.

In merito le tradizioni non sono concordi: se ne esiste una favorevole all’islam che parla di acquisto a ottimo prezzo dell’area sacra che conservava la testa del cugino di Gesù, un’altra tradizione, meno favorevole, parla invece di pretestuoso sequestro della chiesa onde ampliare la musalla già esistente fin dall’epoca dell’ingresso dei musulmani a Damasco. Il riferimento riguarda le modalità di resa della capitale siriana all’epoca di Khālid ibn al-Walīd: secondo la più ricorrente tradizione islamica, la città si sarebbe arresa “a condizione”, evitando un inutile spargimento di sangue fra la popolazione, lasciata a sé stessa dalla debole politica bizantina. Questo comportava, fra l’altro, il mantenimento all’elemento cristiano (del tutto preponderante a Damasco) di tutti i luoghi di culto e la libera espressione colà della loro fede.
Un’altra tradizione – verosimilmente plasmata per consentire l’azione di esproprio di al-Walīd I – parla invece di una mancanza di comunicazione fra gli Arabi che assediavano la città. Una parte di essi infatti avrebbero trattato coi suoi abitanti (di qui l’ipotesi che la resa fosse “a condizione”, ovvero “pacificamente”) mentre un’altra parte, inverosimilmente inconsapevole di quanto stava avvenendo, avrebbe preso vittoriosamente d’assalto la parte opposta delle mura di Damasco, prefigurando quindi la conquista manu militari che non comportava alcuna concessione ai vinti. Quest’ultima tradizione fu fatta valere sulla parte della città conquistata con le armi.

Il muro perimetrale della moschea segue la recinzione del tempio romano (e della chiesa bizantina).

L’edificio fu completamente rivestito di marmi e mosaici in pasta vitrea con conchiglie e madreperle inserite sul fondo oro, di cui si occuparono maestranze bizantine che poi rimasero a Damasco per istruire artigiani locali.

Della superficie di oltre 4.000 m² – che rappresentarono la più imponente decorazione a mosaico mai realizzata – sopravvive oggi la sola facciata del luogo di preghiera (musalla) a causa della devastatrice azione di alcuni terremoti. La facciata è ricca di motivi fitoformi, di elementi naturali e di raffigurazioni di fabbricati umani, in accordo col crescente sfavore espresso da una parte considerevole del mondo religioso islamico nei confronti delle proposizioni di immagini umane, alla luce di un versetto del Corano, in realtà tutt’altro che chiaro, che ebbe non poche né trascurabili eccezioni, specie nel campo delle miniature.
Una parte dei mosaici, con l’accentuarsi dell’avversione nei confronti delle immagini maturato nel mondo islamico, fu nascosta sotto uno strato di intonaco, e solo un’opera di restauro la riportò alla luce negli anni venti.

La facciata est richiama il fronte di un palazzo; sopra al portale vi sono mosaici attualmente asportati per il restauro.

Al centro del cortile si trova la cupola dell’abluzione, mentre nella zona ovest si trova una cupoletta rialzata da terra, a base ottagonale, sorretta da otto colonne romane, con capitello corinzio, ed affrescata all’esterno, costruita per ospitare il tesoro della moschea.

Sempre nel cortile, oltre le arcate, si trova il Mašhad al-Ḥusayn, luogo sacro degli sciiti, in quanto qui la tradizione islamica vuole che fosse stata la testa di al-Husayn – figlio di ʿAlī e nipote del profeta Maometto – mozzatagli dopo essere stato sconfitto e ucciso nella battaglia di Kerbela.

La moschea degli Omayyadi a Damasco
La moschea degli Omayyadi a Damasco

I castelli del deserto

Gli Omayyadi furono infaticabili costruttori anche di palazzi e di edifici civili in genere. Si sono conservati molti dei cosiddetti “castelli del deserto”, vere e proprie residenze di campagna dei califfi, costruiti su terreni fertili o comunque appositamente bonificati, talvolta sfruttando più antiche installazioni.

Fondamentalmente esemplati sui castra del limes romano-siriaco, questi edifici (Hirbet al-Minya e Jabal Seis di al-Walid I; Qaṣr al-Hayr al-Garbī, Qaṣr al-Hayr al-Sharqī e Hirbet al-Mafjar, di Hišam I, Qaṣr al-Ṭūba e Mšatta di al-Walid II) mostrano in vari particolari molte influenze orientali. Hanno pianta quadrangolare, esteriormente fortificata e scandita da bastioni semicircolari e torrioni angolari, fra i quali si apre una sola porta, che dà accesso a una corte centrale; impianti agricoli e opere idrauliche fanno talvolta parte del complesso.

Il più spettacolare di questi castelli è quello di Hirbet al-Mafjar, presso Gerico, costituito da un palazzo preceduto da un ampio cortile, una moschea e un edificio termale, ampio e sontuoso, che si affaccia su una corte secondaria. Gli ambienti raggruppati al piano inferiore, intorno al cortile, comprendono una sala per le feste a due navate che, con i locali circostanti, doveva costituire la “casa per gli ospiti”. Il piano superiore, con stanze decorate da preziosi dipinti, era destinato all’intimità della famiglia; il bagno era provvisto anche di una sala da udienze, coperta da cupola e sontuosamente decorata con mosaici, stucchi figurati e rilievi in pietra, tutti eseguiti con un’abilità e un’inventiva eccezionali, nelle quali è l’eco dell’ispirazione ellenistica e irano-mesopotamica.

Diversamente organizzati sono i palazzi di Qusayr ‘Amra e di Mšatta, anch’essi notevolissimi per la particolare decorazione pittorica o scultorea.

Le arti minori

Le arti minori sono ben rappresentate da alcuni pezzi in metallo di notevole valore artistico, tra cui vassoi e brocche di tipo sassanide assai marcato. Attribuibile a Marwān II, ultimo califfo omayyade ucciso dagli Abbasidi nel 750, è una splendida brocca in bronzo fuso, ritrovata a El Faiyûm e ora conservata al Metropolitan Museum of Art di New York. Ha corpo globulare con alto collo, versatoio a forma di gallo (di chiara ispirazione ellenistica per il realismo delle sue forme) e manico lavorato a girali, di gusto iranico come i fregi a colonnine binate e false nicchie riempite di rosette sul corpo del vaso.

Bibliografia

Storia

Ch. Diehl, G. Marçais, Le Monde Oriental de 395 à 1081, Parigi, 1944; F. M. Pareja, A. Bausani, L. Hertling, Islamologia, Roma, 1951; Ph. Hitti, Storia degli arabi, Firenze, 1966; R. Milton, Banu Umayyah, Oxford, 1978.

Arte

J. Sauvaget, La mosquée omeyyade de Médine, Parigi, 1947; K. A. C. Creswell, L’architettura islamica delle origini, Milano, 1966; L. Golvin, Essai sur l’architecture religieuse musulmane. L’art religieux des Umayyades de Syrie, Parigi, 1971; H. M. Norren, The Qubbat al-Sahra, Londra, 1981.



Categorie:A00.06- Storia dell'Islam attraverso le immagini, P90.01- Arte islamica - Islamic Art

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