Storia dei simboli matematici
Nella matematica odierna molti simboli e notazioni sono standardizzati, ma non tutti. Nel passato lo erano ancora di meno. Le notazioni matematiche hanno evoluzioni travagliate, con modifiche e motivazioni delle quali si è persa quasi ogni traccia; si possono fare solo generalizzazioni empiriche. Molti simboli derivano da abbreviazioni di parole e sono motivati dalla opportunità di evitare, con la concisione, i lunghi giri di frase dispersivi; tra le iniziali che si sono imposte: “p”; per peripheria del cerchio unitario, “d” per differentia, “i” per immaginario. Tra le abbreviazioni di largo uso vi sono “lim” per il limite, “log” per il logaritmo in base 10, “exp” per la e, “sin” per la funzione seno, “cos” per la funzione coseno, “tan” per la funzione tangente, “sec” per la funzione secante.
Molte abbreviazioni vengono modificate per assumere forme di maggiore evidenza, spesso florescenti, e per passare per simboli ideografici. Esempi sono “+” derivato da et, il segno di integrale “∫” da summa, tilde allungata per similis. Si usano poi simboli pittografici come quelli che indicano triangolo, quadrato, cerchio, parallelismo, angolo. Si possono invece considerare simboli ideografici le parentesi “( )” indicanti aggregazione, “=” per uguaglianza, i segni per quindi e dato che e l’uso di lettere per denotare numeri generici e grandezze indefinite o incognite. Molti simboli si propongono di rendere più evidenti alla mente relazioni logiche e concetti.
Altri sono dovuti a motivi pratici: la “x” per la moltiplicazione è stata adottata dai tipografi che si sono limitati a ruotare il punzone del “+”. Le invenzioni documentate sono state prevalentemente individualistiche. Fino agli anni più recenti raramente si sono cercati accordi sull’adozione di simboli che potessero soddisfare ampie comunità. Fa eccezione Leibniz che, in accordo con il suo programma finalizzato all’individuazione di un linguaggio che riducesse i ragionamenti a calcoli formali, ha mantenuto contatti con i maggiori matematici del suo tempo con lo scopo di individuare simboli ampiamente accettabili. Un pregio di alcuni simboli è l’adattabilità al progredire delle conoscenze: ad esempio, il segno di integrale è stato in grado di arricchirsi per denotare integrali definiti. Altro pregio è la capacità di stimolare indagini che permettano generalizzazioni: è il caso dell’esponente delle potenze, prima solo intero positivo, poi reale e complesso. Tra gli inventori di simboli, solo Euler e Leibniz vantano molti simboli sopravvissuti.
Le basi del sistema numerico
Studiando le civiltà antiche si scopre una varietà di notazioni, che differiscono principalmente per la scelta della base. Quasi sempre le basi erano 2, 5, 10, 20 e 60 (in particolare la numerazione in base 2 era già nota nel 3000 a.c. ai Sumeri). Erano tutti sistemi di tipo additivo e quindi scarsamente utilizzabili per eseguire calcoli, sia scritti che verbali.
Il linguaggio non è solo un insieme di segni orali, ma una forma di rappresentazione simbolica. I numeri ne sono un esempio e, alla fine, la cosa importante è la relazione tra simboli.
Per utilizzare i numeri in modo più efficace, con riferimento ai soli simboli e non agli insiemi di cose che possono rappresentare, occorre un’altra innovazione. I linguaggi scritti esprimono concetti diversi tramite la permutazione di un piccolo numero di simboli, perché hanno significato sia l’identità del simbolo sia la posizione che occupa rispetto agli altri (esempio: selva e salve, rea e are …).
Con il trascorrere del tempo le culture più progredite hanno elaborato migliori e più efficienti sistemi di numerazione. Teoricamente in base 2 si possono rappresentare numeri grandi quanto si voglia, ma in pratica il metodo diventa di complicata lettura, avendo scarsa immediatezza visiva.
Il sistema decimale rappresenta un valido compromesso. L’uso della base 10 deriva dal conteggio sulle dita, ma l’utilizzo del 10 è un fatto di praticità: non è una base troppo grande, né troppo piccola.
Il sistema posizionale
Sembra che i matematici babilonesi siano stati i primi ad introdurre, intorno al 2000 a.c., un sistema addizionale posizionale in base 60, che però non si serviva di 59 simboli diversi. Utilizzava combinazioni di due sole forme, incise sulle tavolette di argilla: un cuneo verticale per il numero 1 ed un cuneo orizzontale per il 10. I numeri minori di 60 venivano scritti in base 10, addizionando i simboli; per i numeri maggiori di 60, si utilizzava il sistema posizionale. Questo metodo poteva essere causa di equivoci. Ad esempio 10;10=10*60+10*1 (610) (doppio cuneo orizzontale), poteva essere confuso con il simbolo utilizzato per il 20. L’ambiguità del significato era dovuta alla mancanza del simbolo 0. Attorno al 2.000 a.c. i Babilonesi tentarono di risolvere il problema con degli spazi vuoti, ma soltanto verso il 300/200 a.c. pensarono di introdurre un simbolo specifico per indicare l’assenza dell’unità. Il problema non era, però, ancora risolto: il simbolo indicava uno spazio vuoto, non era inteso come simbolo del nulla e non veniva utilizzato per scrivere il risultato di una sottrazione come 10-10, cioè niente.
Per i Babilonesi era una contraddizione usare “qualche cosa” per indicare “il niente”. Probabilmente furono gli astronomi ad introdurre il simbolo 0 per rappresentare le frazioni in sessantesimi, ovvero in forma simbolica. In seguito gli astronomi greci indicarono lo zero con un piccolo cerchio e sostituirono le notazioni cuneiformi con lettere dell’alfabeto.
Il sistema posizionale fu introdotto in modo indipendente anche in altre culture, ad esempio nell’America centrale presso l’antica civiltà Maya (500 a.C. – 900 d.C.), dove lo zero si rappresentava con un simbolo che ricordava un occhio chiuso.
Il concetto di zero
Gli antichi cinesi inventarono un sistema decimale con segni orizzontali, ma il simbolo “0” fu aggiunto successivamente, importato dall’India. Le popolazioni di quest’ultima regione elaborarono un sistema posizionale che diventerà quello oggi impiegato in tutto il mondo occidentale. In India il concetto di zero era associato al concetto di nulla e poteva rappresentare sia uno spazio vuoto in un sistema numerale sia il risultato dell’operazione 10-10.
In sanscrito zero è sunya, mentre in arabo è (in entrambi i casi significa “vuoto”). La parola trascritta in latino medioevale divenne zefirum, da cui si trasformò nell’italiano zefiro, zevero ed infine zero.
Parallelamente la parola cifra (utilizzata per indicare i simboli da 0 a 9), si trasformò in inglese nel verbo to cipher, usato come sinonimo di to count = contare.
Adesso sei uno zero senza cifre davanti. Sono meglio io di te, adesso: io sono un matto, tu non sei nulla.
W. Shakespeare Re Lear atto I, scena IV
L’uso di un simbolo per lo zero non ha però resa immediata l’introduzione dei numeri negativi. Il matematico greco Diofanto (325-409 d.C.), non accettava le soluzioni negative delle equazioni (i matematici cinesi rappresentavano i numeri positivi in rosso e quelli negativi in nero; gli Indù inserivano in un cerchio i numeri considerati negativi; gli arabi invece ponevano un punto sopra il numero negativo).
I progressi nelle notazioni greche si devono a Diofanto, che si occupò principalmente della risoluzione delle equazioni di primo e secondo grado, adoperando simboli algebrici per rappresentare le quantità incognite (s e ss per una o due variabili). Fu il primo ad usare un simbolo numerico per moltiplicare, non usò alcun segno speciale per l’addizione. Citò i numeri positivi e negativi, ovvero quelli che “si aggiungono” e quelli che “si tolgono”.
Questo modo di fare la Matematica, con un linguaggio eterogeneo, con rappresentazioni notazionali in parte descrittive, in parte con abbreviazioni letterali e in parte con soluzioni notazionali, si definisce “algebra sincopata”.
In memoria di Diofanto i concittadini scolpirono sulla sua tomba un enigma che, trasformato in equazione, rivelava l’età della scomparsa.
Hunc Diophantus habet tumulum qui tempora vitae
Illius mira denotat arte tibi.
Egit sex tantem juvenic; lanugine malas
Vestire hinc coepit perte duodecima
Septante uxori post haec sociatur, et anno
Formosus quinto nascitur inde puer.
Semissem aitatis postquam attigit ille paternae,
Infelix subita morte peremptus obit,
Quator aestater genitor lugere superstes
Cogitur, hinc annos illius assequere.
(“Questa tomba racchiude Diofanto. Oh meraviglia. La pietra ti dirà l’età del defunto. Un Dio gli prestò un sesto della sua vita per essere fanciullo e ne aggiunse un dodicesimo fino a che gli spuntò la barba sulle gote. Dopo un altro settimo della sua vita prese moglie la quale gli regalò un figlio dopo cinque anni di matrimonio. Infelice fanciullo! Raggiunta la metà dell’età del padre, se lo prese l’Averno. Il piangente Diofanto gli sopravvisse quattro anni insegnando l’arte dei numeri”).
La seguente equazione
X/6 + x/12 + x/7 + 5 + x/2 + 4 = x
dà l’età della morte di Diofanto, x=84.
Nel XIII secolo Fibonacci considerava le quantità negative solo nei problemi finanziari, nel XVI secolo i numeri negativi si utilizzavano, ma venivano indicati come “falsi”, contrapponendoli a quelli “veri” positivi.
Senza un sistema posizionale, è impossibile effettuare il calcolo in modo sistematico. Con la numerazione romana, la somma si può ottenere il risultato solo con metodi primitivi e con l’ausilio dell’abaco. La notazione cioè non ha alcuna efficacia algoritmica intrinseca. I problemi diventano ancora più complessi per le altre operazioni.
In tutto il basso Medioevo, quando i numeri erano indicati con le lettere dell’alfabeto romano, la simbologia dava luogo a combinazioni alquanto complicate ed a calcoli farraginosi; ne derivavano numerosi errori che provocavano contestazioni negli affari e che costituivano un freno allo sviluppo dell’istruzione e dei traffici economici (attualmente questo sistema, riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa, è ancora in uso per indicare i numeri ordinali).
Il successo del sistema posizionale di origine indiana era dovuto a quattro caratteristiche:
- i numeri da 1 a 9 erano rappresentati con simboli univoci ed astratti;
- era un sistema con un’unica base: 10;
- era un sistema posizionale;
- faceva uso dello zero.
Gli Indù furono i primi ad usare oralmente la notazione posizionale abbreviata ed il loro sistema di numerazione si può considerare l’innovazione intellettuale che ha avuto il maggior successo.
Gli Arabi alterarono gradualmente i simboli indiani, che assunsero via via le forme da noi oggi utilizzate. Secondo la tradizione la numerazione indo-araba fu introdotta in Europa attorno all’anno 1000 da Papa Silvestro II, con l’uso di un particolare tipo di abaco, la cosiddetta “tavoletta calcolatoria romana”. I vantaggi del sistema erano evidenti e il suo uso si diffuse nel commercio e negli affari, nonostante alcune leggi che ne vietavano l’uso per impedire le frodi.
I numeri arabi, a cui si potevano aggiungere gli zeri, si prestavano alle falsificazioni e furono perciò adottati dai mercanti dell’Europa settentrionale, solo verso la fine del XVI secolo.
L’Italia del XIV e XV secolo era al centro degli interessi commerciali e culturali europei; l’ampliamento del commercio comportava l’esigenza di introdurre nuovi strumenti matematici, che consentissero una contabilità più rapida e comprensibile.
Nel frattempo gli Arabi avevano svolto un ruolo importante nel Mediterraneo e nel periodo tra l’800 e il 1200 avevano fatto da tramite tra la civiltà occidentale e quella orientale. In campo matematico ereditarono i papiri ellenici e raccolsero scritti persiani e sanscriti che, tradotti, sono stati tramandati sino ai giorni nostri.
Il termine “algoritmo” si deve al matematico persiano Abū Jaʿfar Muhammad ibn Mūsā al-Khwārizmī (780-850 circa). Egli scrisse due opere; nella prima presentò il sistema numerico posizionale indiano e le quattro operazioni, iniziando proprio con le parole “algoritmo dicit”, l’altra, sulle equazioni, si intitolava al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-ǧabr wa al-muqābala, cioè Breve opera sul calcolo di spostare e raccogliere, da cui il termine “algebra”. (Cfr. https://storiografia.me/2013/11/28/la-nascita-dellalgebra-al-khwarizmi/).
I numeri indo-arabi in Europa
I numeri indo-arabi compaiono in Europa per la prima volta in Spagna nel 976. Gerbert d’Aurillac, dopo aver studiato matematica e astronomia in Spagna e prima di diventare papa Silvestro II (999-1003), nel 980ca. presenta il loro utilizzo mediante un abaco.
Le notazioni indo-arabe però incontrano resistenze ed opposizioni. Sono diffidenti i mercanti e i banchieri che temono che esse favoriscano inganni e falsificazioni. Contribuisce alla loro diffusione la traduzione latina intitolata Algoritmi de numero Indorum del testo di aritmetica divulgativa di al Khwarizmi (780ca-850). Un robusto appoggio viene dal Liber Abbaci di Leonardo Pisano, detto “Fibonacci” (1170-1250). Queste notazioni si impongono però solo nel ‘500-‘600. Le ipotesi sul collegamento fra forma e significato delle cifre sono molteplici, ma si basano su ben pochi fatti documentati. Nel XIII secolo fu Fibonacci a contribuire alla diffusione della numerazione indo-araba, sottolineando il ruolo dello zero. La potenza di questo simbolo consiste nella sua posizione: posto alla destra di qualsiasi cifra la rende (nel sistema decimale) dieci volte maggiore. (Cfr. https://storiografia.me/2013/11/22/la-matematica-del-medio-evo-europeo/)
“La sbarretta orizzontale nelle frazioni era usata regolarmente da Fibonacci (ed era nota nel mondo arabo prima di lui), ma fu solo nel XVI secolo che entrò nell’uso generale. (La sbarretta inclinata fu suggerita nel 1845 dal matematico inglese A. De Morgan)”. [Boyer 1968]
Le cifre indo-arabe si sostituirono alla precedente simbologia in tutto l’Occidente; non avvenne invece altrettanto con le unità fondamentali del sistema di misura.
Luca Pacioli (1445-1514), allievo di Piero della Francesca e considerato il più grande matematico del XV secolo, introdusse in Italia la prima notazione della radice quadrata, ponendo le iniziali della parola e a sinistra l’indice della radice. La sua opera principale, “Summa de Arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità”, è il primo ed unico libro scientifico pubblicato a stampa in quel periodo.
L’incompletezza del sistema notazionale (persistevano linguaggio descrittivo, notazioni e calcoli più o meno complicati) limitò la diffusione dell’algebra.
La nascita del linguaggio simbolico
Gli studiosi rinascimentali si resero conto che un fenomeno complesso, per essere osservato e interpretato dal punto di vista matematico, necessita di notazioni inserite in un sistema coordinato. Non furono infatti i singoli simboli (radice quadrata, pi greco, potenza, sommatoria) che consentirono le grandi scoperte. Fu la nascita del linguaggio simbolico, come un insieme di comandi comunicanti tra loro, che permise di stabilire le relazioni tra le fenomenologie osservate.
I primi tentativi di organizzare un sistema abbastanza completo si attribuiscono a Raffaello Canacci e a Giovanni Del Sodo (1400). L’algebra, ferma al tempo dei Babilonesi e all’opera di Diofanto, fece notevoli progressi passando dalle soluzioni di secondo a quelle di terzo e quarto grado. Le scoperte furono favorite dalla visione universale della cultura rinascimentale. Il XVI secolo fu un secolo di guerre e di grandi lotte di conquiste, ma fu anche un periodo di disfide matematiche italiane, che ebbero il merito di stimolare la cultura e di far conoscere i metodi specifici della disciplina che, altrimenti sarebbero forse andati perduti.
Tra i matematici più illustri figura Nicolò Tartaglia (1500 circa-1557), autodidatta di umili origini che, non conoscendo il latino, fu costretto a scrivere le sue “poesie scientifiche” in volgare. Lo ricordiamo per aver costruito l’omonimo triangolo, matrice di coefficienti per risolvere il binomio (a+b)n. Sono famosi i versi che scrisse per risolvere l’equazione di terzo grado:
Quando che ‘l cubo con le cose appresso
Se agguaglia a qualche numero discreto
Trouan dui altri differenti di esso.
Dopo terrai questo per consueto
Che ‘l lor produtto sempre sia eguale
Al trezo cubo, delle cose neto,
El residuo poi suo generale
Delli lor lati cubi ben sottratti
Verrà la tua cosa principale.
Gli algebristi italiani del Rinascimento usavano le lettere per indicare sia le incognite che le operazioni da svolgere, ad es.:
12LmIQp48 aequalia 144m24LpIQ
in cui L sta per ×, m per meno, IQ per incognita al quadrato e p per moltiplicato, cioè:
12x – x2 + 48 = 144 – 24x + x2
Furono gli studiosi europei ad introdurre gradatamente la cosiddetta algebra simbolica:
es: “4 plus 2” diventò “4 & 2” (& = et).
In seguito il simbolo di crescita “&” venne rappresentato col “+”, segno della croce, ovvero della crescita dovuta all’avvento della religione cristiana.
Il segno “minus” ovvero “–” derivò dall’uso di porre una linea nelle forme contratte (“mancante” e quindi “sottrarre”).
Il segno “=” fu introdotto nel 1557 da Robert Recorde, medico e matematico gallese. Il segno “=” stava a significare che due rette // complanari non si sarebbero mai incontrate, quindi erano perfettamente identiche e perciò esprimevano il concetto di uguaglianza.
Un tempo l’incognita si chiamava cosa, l’incognita al quadrato censo, l’incognita al cubo cubo, l’incognita alla quarta censo censo, l’incognita alla quinta primo relato.
François Viète (1540-1603) scrisse un’equazione di grado n in termini generali, usando le vocali per rappresentare le quantità ignote e le consonanti per il termine noto. Il matematico diede un’ulteriore svolta agli studi algebrici e si dimostrò così abile nel decifrare i messaggi segreti, da essere accusato di essere d’accordo col diavolo.
Numeri immaginari e complessi
Proprio come i numeri irrazionali e negativi e lo zero, i numeri immaginari e complessi hanno suscitato un bel po’ di controversie nel corso degli anni. Il primo reseconto pubblicato che li cita è l’Ars Magna di Cardano. Nel bel mezzo del calcolo per risolvere equazioni cubiche e quartiche, Cardano si imbattè nella radice quadrata di un numero negativo. Ignorò il fatto che si trattasse di una situazione “immaginaria” o “impossibile” e proseguì, arrivando a un risultato “reale”.
Rafael Bombelli fu il primo ad adoperare esplicitamente i numeri complessi; nel 1572 presentò per iscritto le operazioni che li coinvolgevano. A volte si attribuisce a Cartesio il merito di aver scelto il nome dei numeri immaginari, nel Seicento, e due secoli dopo Carl Gauss introdusse la definizione “numeri complessi”.
La notazione cartesiana
Un importante sviluppo della matematica si ebbe quando il filosofo e matematico francese René Descartes (Cartesio), nel Seicento, applicò l’algebra alla geometria, dando luogo a quella particolare disciplina che è la geometria analitica. “Nonostante i difetti dell’esposizione, è il Libro II de La géometrie quello che maggiormente si avvicina alla concezione moderna della geometria analitica” [Boyer 1968]. L’opera di René Decartes (Cartesio, 1596-1650) è basata sulla corrispondenza tra le equazioni algebriche e le proprietà delle figure geometriche. Cartesio perfezionò il simbolismo algebrico con l’uso degli esponenti, delle parentesi graffe e delle lettere x, y e z per indicare le variabili. (Cfr. https://storiografia.me/2013/10/30/cartesio-matematico/)
La notazione “ α” comparve invece solo alla fine del XVII secolo, ma rimase ancora qualcosa di incomprensibile , perché con il simbolo “ α” non si potevano fare le operazioni, né applicare le potenze o i logaritmi.
I simboli “>” e “<” per esprimere “maggiore di ” e “minore di” fecero la loro prima comparsa in un libro scritto da Thomas Harriot, matematico inglese, e pubblicato nel 1631, dieci anni dopo la sua morte; la notazione è però attribuita all’editore.
A William Oughtred si attribuisce la crocetta “×” per indicare la moltiplicazione.
Da parte sua John Wallis contribuì allo sviluppo dell’analisi ed è noto per aver introdotto il simbolo “∞” per l’infinito.
Sempre nel XVII secolo comparvero i simboli di valore assoluto || e le notazioni “x” e “:”, rispettivamente per la moltiplicazione e per la divisione. Gli astronomi greci trattarono la trigonometria con notazioni diverse dalle attuali, già uno o due secoli prima di Cristo. Gran parte di queste opere, a suo tempo ritenute perdute, furono invece tradotte e tramandate dagli Arabi.
Simbologia trigonometrica
Il termine “trigonometria” si deve al matematico tedesco B. Pitiscus, che nel 1595 scrisse un trattato sulla misura degli archi e degli angoli dei triangoli. Gli astronomi del XVII secolo dovevano affrontare calcoli molto impegnativi per trasformare il prodotto o il quoziente di due funzioni trigonometriche in somma e differenze. Fondamentale fu l’introduzione dei logaritmi, la scala di base decimale e tutte le operazioni che ne conseguono.
I termini “sin”, “cos” e “tang” furono riportati da R. di Chester, uno dei più famosi traduttori occidentali (“sin” è la traduzione araba di “jaib” = insenatura). La notazione “logaritmo” deriva da “logos” (rapporto) e “arithmos” (numero).
Il calcolo infinitesimale
In campo scientifico l’uso della stessa simbologia matematica diventò strumento di comunicazione internazionale. La creazione del simbolismo, l’introduzione della geometria analitica e delle nuove metodologie del calcolo infinitesimale di Newton e Leibniz favorirono l’approfondimento (Bernoulli e Laplace) del calcolo della probabilità (introdotto da Pascal e Fermat) e la sua applicazione alla demografia ed alle assicurazioni.
Eulero (1707-1783) inventò simboli tuttora usati per la concisione e la potenza della comunicazione algoritmica che sottendono. Si entrò così nel sistema notazionale moderno, con al centro il calcolo infinitesimale e l’analisi geometrica, che consentono di operare in tutti i campi del sapere. Alcune notazioni erano nuove, altre sostituirono i simboli preesistenti.
Il simbolo π di pi greco (nel significato matematico moderno) è stato introdotto da William Jones nel 1706, nel libro Synopsis Palmariorum Mathesios.
Lambert (1761) dimostrò che pi greco è un numero irrazionale e Lindemann (1882) che pi greco non può essere radice di un’equazione algebrica.
Eulero indicò la notazione “e” alla base dei logaritmi neperiani ed introdusse il simbolo “f(x)” per la funzione, ∂ƒ / ∂× e Δ per le derivate parziali e, rispettivamente, per gli incrementi delle funzioni.
A cavallo del XVIII secolo si accese un dibattito tra i seguaci di Newton, che prediligeva le applicazioni e i contenuti e Leibniz, che sosteneva il rigore formale. Il primo si avvicinò di più ai moderni fondamenti del calcolo infinitesimale; le notazioni differenziali di Leibniz furono essenziali per gli sviluppi successivi (∫, dx, dy). A Leibniz si deve anche il primo accenno sull’uso dei determinanti, ma la stesura della notazione è piuttosto incerta e non può essere attribuita ad un unico matematico.
Nel 1847 G. Boole pubblicò “l’analisi matematica della logica”, in cui applicò allo studio della logica la simbologia, i concetti ed i metodi della matematica. Questi studi costituirono parte integrante della geometria proiettiva, della teoria delle strutture delle algebre astratte, dell’analisi funzionale e della teoria dei circuiti elettrici, i cui risultati furono fondamentali per la successiva rivoluzione informatica.
Dall’algebra classica all’algebra moderna
Nel passare dall’algebra classica all’algebra moderna, si è compiuta un’ulteriore generalizzazione. Infatti se nell’algebra classica si definisce, per esempio, la somma e poi se ne studiano le proprietà (associativa, commutativa e via dicendo), nell’algebra moderna si stabiliscono prima le proprietà di cui un’operazione deve godere (associatività, commutatività, e così via) e si verifica poi che la somma è una delle tante operazioni che godono di tali proprietà.
L’algebra moderna, infatti, si occupa di insiemi di elementi non precisati (non si parla esplicitamente di numeri) e delle operazioni che si possono eseguire su di essi. Questi insiemi dotati di operazioni si chiamano strutture algebriche.
La struttura algebrica più semplice è il gruppo, G, un insieme di elementi (a, b, c, …) dotato di un’operazione (che indicheremo col simbolo ‘°’) che a due elementi dell’insieme ne fa corrispondere un terzo. Questa operazione gode della proprietà associativa. Inoltre, dato un qualsiasi elemento a del gruppo, esiste (sempre nel gruppo) un unico elemento n, detto elemento neutro rispetto all’operazione °, tale che a°n=n°a=a. Infine, per ogni elemento a del gruppo, esiste un elemento ā tale che a° ā = ā °a=n.
Dalla matematica alla logica e ritorno
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, si tentò di ricostruire la logica e di riformulare la matematica, in presenza dei cosiddetti “paradossi” (Frege, Russel, Hilbert in Germania, Peano in Italia). I formalisti ritenevano che la matematica non avesse bisogno degli assiomi, ma trovasse le sue fondamenta nella logica. Poiché, secondo questi autori, i postulati della logica sono arbitrari e formali, anche la matematica è formale e priva di collegamenti con il mondo reale.
Peano creò un linguaggio formalizzato, in grado di esprimere la logica ed i risultati più importanti delle scienze matematiche (formulario del 1894). Questo simbolismo è usato tuttora (,
,
,
, …).
Nei primi decenni del Novecento, alcuni matematici francesi, mimetizzati sotto lo pseudonimo di N. Bourbaki (generale francese che partecipò alla guerra di Crimea e si occupò della riorganizzazione dell’esercito), si dedicarono al cosiddetto metodo deduttivo: dagli assiomi al particolare. L’obiettivo consisteva nel comprendere sinteticamente le diverse branche della matematica in poche strutture, strettamente legate tra loro. Questo progetto si basava sul formalismo rigido, con pochissimo spazio per il linguaggio descrittivo, troppo variabile perché sempre soggetto ad interpretazioni.
Le notazioni matematiche con le nuove tecnologie
Nei tempi più recenti, lo sviluppo delle ICT porta nuovi problemi e nuove opportunità anche per la documentazione matematica. Notevole influenza ha avuto la diffusione del sistema tipografico TeX, a partire dagli ultimi anni settanta: questo prodotto software ha reso sempre più praticata la tipografia matematica personale ad alto livello, contribuisce a ridurre le difformità nella redazione delle formule ed ha favorito la circolazione di conoscenze matematiche attraverso canali digitali.
Con la crescita del World Wide Web, vengono sviluppati ampi contenitori di conoscenze matematiche come l’enciclopedia MathWorld di Eric Weisstein e la On-Line Encyclopedia of Integer Sequences di Neil Sloane. Si sviluppano riviste elettroniche e iniziative per le Open Digital Libraries, grandi archivi di documenti accessibili in Rete: Digital Mathematical Library è il progetto internazionale per la messa in Rete di tutta la letteratura matematica.
Nel 1997, nell’ambito del Consorzio W3C, viene avviata la definizione di MathML, un linguaggio applicazione di XML per l’inserimento di formule matematiche nelle pagine Web. Dal 2002 iniziano a definirsi progetti di Mathematical Knowledge Management. Tutte queste iniziative affrontano i problemi di standardizzazione delle notazioni matematiche.
In questi sviluppi hanno ruoli di rilievo anche attori industriali. I sistemi per il calcolo numerico, simbolico e grafico (come Mathematica e Maple) tendono ad imporre propri simboli, in particolare sigle che corrispondono ad identificatori di loro routines.
Bibliografia
[Boyer 1968]
Carl B. Boyer, A History of Mathematics, 1968 (tr. it. Storia della matematica, Mondadori, Milano 1980: si cita da questa traduzione)
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