La nascita dell’algebra: Al-Khwārizmī
Nell’VIII sec., presso gli arabi, si assiste ad un progressivo interesse per l’aritmetica e per i sistemi di numerazione. Inizialmente non vi erano simboli appositi per i numeri, che erano semplicemente espressi a parole. In seguito alle conquiste, dovendosi tenere i registri amministrativi in arabo, si pose anche il problema di come scrivere i numeri e questo venne risolto, in un primo tempo, adottando, presso i singoli popoli, i loro rispettivi simboli (greci o siriaci in Siria, copti in Egitto, ecc.) e poi, a partire dall’VIII sec., usando le lettere dell’alfabeto e la numerazione in base 10. Era un sistema additivo, non posizionale, e che non possedeva ancora il simbolo dello zero. Non appena iniziarono gli interessi per l’astronomia, gli arabi si accostarono agli scritti indiani e da quelli appresero il sistema di numerazione posizionale in base 10 e il simbolo dello zero. Subito ne compresero l’importanza e iniziarono ad elaborare un’aritmetica decimale, che si rivelava molto semplice ed efficace.
Il matematico a cui si deve la prima esposizione del sistema di numerazione indiano e delle operazioni effettuate in questo sistema è il persiano Abū Jaʿfar Muhammad ibn Mūsā al-Khwārizmī (780-850 circa), che opera a Bagdad, nella casa della saggezza. Della sua vita non si conosce quasi nulla, tranne forse il fatto che, come indica il nome, egli era originario di Khwarizm (oggi Khiva), città del Turkestan. Di lui si sono conservate cinque opere, in parte rimaneggiate, di aritmetica, algebra, astronomia, geografia e sul calendario. In particolare le due opere sull’aritmetica e sull’algebra sono diventate famose e hanno esercitato notevole influenza sullo sviluppo della matematica medioevale occidentale, oltre che sugli studi successivi compiuti dagli arabi.
Il libro di aritmetica si conosce solo attraverso una versione latina del XIII sec., conservata a Cambridge e pubblicata a Roma nel 1857 da B. Boncompagni, col titolo Algoritmi de numero indorum e successivamente da K. Vogel col titolo Mohammed ibn Musa Alchwarizm’s Algorithmus (Aalen 1963). Il termine algoritmus, che qui compare, derivato semplicemente dal nome latinizzato di al-Khwarizmi, ha designato, fino al sec. XVII, il sistema di numerazione posizionale decimale, e, successivamente, un procedimento sistematico di calcolo.
Interessa però qui soprattutto il trattato di algebra di al-Khwārizmī, composto fra l’813 e l’833, in quanto si può considerare l’atto di nascita di questa disciplina. Tale trattato si è conservato in un manoscritto arabo del 1342, attualmente ad Oxford, e in alcune versioni latine, di cui le più famose sono quella di Robert of Chester, redatta nel 1145 a Segovia e pubblicata, con traduzione e commento inglese, da Karpinski (1915) e quella di Gherardo da Cremona (1114-1187), fatta a Toledo.
Il testo arabo si intitola al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-ǧabr wa al-muqābala, cioè Breve opera sul calcolo di spostare e raccogliere. Essa si compone di un breve capitolo introduttivo sui contratti commerciali effettuati con l’aiuto della regola del tre, così come la utilizzarono gli indiani; di una parte propriamente algebrica; di un breve capitolo di geometria relativo al calcolo di aree e volumi e di una vasta parte dedicata ai problemi di divisione di eredità, particolarmente complessi nel diritto musulmano, sancito dal Corano. I manoscritti latini non contengono le ultime due parti e presentano alcune varianti rispetto all’originale. Lo scopo principale, che al-Khwārizmī si era prefisso in questa opera, era di scrivere un manuale che servisse alla risoluzione dei problemi della vita quotidiana. In realtà l’opera ebbe una diffusione ben più ampia di quella che l’autore si aspettava.
Fra i principali concetti qui utilizzati si trova la nozione di equazione di primo e di secondo grado, a coefficienti numerici. Qui al-Khwārizmī si distingue dai predecessori: non si tratta più, come presso gli egizi e i babilonesi, di risolvere problemi aritmetici e geometrici, che si possono tradurre in termini di equazioni, ma al contrario si parte dalle equazioni e i problemi vengono dopo. Il fatto che egli si limiti a considerare equazioni di primo e secondo grado è legato all’esigenza di avere una soluzione per radicali e una verifica geometrica di tale soluzione. L’algebra di al-Khwārizmī è interamente retorica; egli non usa infatti alcun simbolo ed è piuttosto prolisso nelle spiegazioni. La nozione di base è, come si è detto, quella di equazione a coefficienti numerici ed i termini di un’equazione sono indicati con nomi diversi. I numeri sono chiamati dirham, probabilmente dal nome dell’unità monetaria greca: la dracma; l’incognita è designata con say’ (cosa) o gizr (radice), dal termine arabo che indicava la radice di una pianta, ed è usato anche per significare la radice quadrata. Infine mal (bene, possedimento) denota il quadrato dell’incognita.
All’inizio dell’opera al-Khwārizmī distingue sei tipi canonici o normali di equazione, che egli presenta semplicemente a parole (come nello schema che segue, a sinistra, corrispondente, in notazioni moderne, alle equazioni scritte a destra, in cui a, b, c indicano numeri interi positivi):
l. I quadrati sono uguali alle radici: ax2 = bx
2. I quadrati sono uguali a un numero: ax2 = c
3. Le radici sono uguali a un numero: ax = c
4. I quadrati e le radici sono uguali a un numero: ax2 + bx = c
5. I quadrati e i numeri sono uguali alle radici: ax2 + c = bx
6. Le radici e i numeri sono uguali ai quadrati: bx + c = ax2.
In queste forme canoniche i coefficienti sono tutti positivi e i termini appaiono dunque sempre come grandezze additive. Ogni equazione viene sistematicamente ricondotta ad uno dei tipi indicati e, per la risoluzione, si impiegano due operazioni fondamentali: l’ al-jabr (completamento, riempimento; tradotto in latino con restauratio), che corrisponde ad eliminare i termini negativi, aggiungendo termini uguali nei due membri, e l’ al-muqabala (messa in opposizione, bilanciamento; latino oppositio) che corrisponde alla riduzione dei termini simili nei due membri. Inoltre il coefficiente del termine di secondo grado viene sempre ridotto all’unità, con un’operazione, detta al-hatt, che in particolare è applicata nella risoluzione delle equazioni dei tipi 4 e 5. Ad esempio, per l’equazione
x2 + (10 – x)2 = 58,
cioè
2x2 + 100 – 20x = 58,
con l’al-jabr si ottiene
2x2 + 100 = 20x + 58,
poi, con l’al-muqabala,
2x2 + 42 = 20x
e infine l’al-hatt dà luogo a
x2 + 21 = 20x,
che riconduce l’equazione di partenza al tipo 5.
Le espressioni al-jabr, da cui deriva la parola algebra, e al-muqabala caratterizzeranno quasi tutte le opere dei matematici islamici che seguono, sullo stesso tema, e si estenderanno poi alla teoria delle equazioni. Esse faranno la loro apparizione in occidente nel sec. XIV, dove indicheranno esplicitamente la disciplina dell’algebra, ma il termine al-muqabala cadrà in disuso dopo il sec. XV.
Nella risoluzione delle prime tre forme canoniche di equazione si notano alcune particolarità: innanzitutto il fatto che l’equazione ax2 = bx venga trattata esattamente come l’equazione ax = b, senza considerare la soluzione x = 0. Questa esclusione, dovuta forse al fatto che tale soluzione non aveva incidenza nei problemi concreti, persisterà nella storia dell’algebra fino al sec. XVII.
Inoltre al-Khwārizmī fornisce non soltanto la radice di un’equazione, ma anche il suo quadrato. Per esempio per il primo tipo di equazione: x2 = 5x, egli afferma: “La radice del quadrato è 5 e 25 costituisce il suo quadrato”. E conserva lo stesso atteggiamento anche per le equazioni lineari, ad esempio per 1/2 x = 10, viene dato sia x = 20, che x2 = 400.
Uno dei punti più importanti e innovativi della trattazione è la ricerca della soluzione algoritmica: cioè il fatto che, per le equazioni di secondo grado, la soluzione si deve esprimere per radicali. al-Khwārizmī dapprima enuncia, a parole, la regola risolutiva e poi ne fornisce la dimostrazione geometrica, sfruttando l’eredità greca classica. È vero che già prima si sapeva calcolare la soluzione di equazioni di questo tipo, ma non esistevano queste esigenze. I greci cercavano concretamente una o due incognite ben distinte e in un’equazione vedevano semplicemente una relazione fra queste grandezze concrete. In questo modo l’incognita risultava avere un solo valore, salvo nel caso in cui le ipotesi non fossero sufficienti oppure la stessa relazione potesse adattarsi a due casi diversi. al-Khwārizmī invece studia l’equazione come oggetto matematico in sé, ne cura la classificazione, il metodo risolutivo e la discussione di ogni caso. Non tiene però mai conto delle soluzioni negative, forse proprio in quanto restava comunque un forte legame con le grandezze geometriche (quindi sempre positive), ravvisabile nelle verifiche, e un ancoraggio ai problemi concreti della vita quotidiana. Peraltro questo atteggiamento rimarrà a lungo immutato anche negli algebristi che seguono e non verrà messo in discussione se non nel sec. XVII.
Ecco ora in dettaglio, su alcuni esempi, la risoluzione delle equazioni complete in secondo grado dei tipi 4, 5 e 6, elencati sopra. al-Khwārizmī inizia con l’equazione
x2 + 10x = 39,
che rappresenta il tipo: “Radici e quadrati uguali a numeri”. Egli afferma: “La soluzione è: dividi a metà il numero delle radici, che in questo caso dà 5. Moltiplica questo per se stesso: il prodotto è 25. Aggiungilo a 39, ottenendo 64. Ora prendi la radice di questo, che è 8 e sottrai da questo la metà delle radici, 5; il resto è 3. Questa è la radice del quadrato che cercavi e il suo quadrato è 9.”
In notazioni moderne, l’equazione è rappresentabile con x2 + px = q ed è risolta con la regola
.
Alle regole risolutive con i radicali, come si è già detto, al-Khwārizmī fa seguire la dimostrazione geometrica che, in questo caso, presenta due diverse costruzioni, corrispondenti al procedimento noto come “completamento del quadrato”. La prima consiste nel costruire il quadrato x2 e quattro rettangoli di altezza 10/4 sui lati di quello (v. Fig. 1). Si completa poi la figura con quattro quadrati di lato 10/4. Si ottiene così, sapendo che x2 + 10x = 39, un quadrato di area
, il cui lato,
, misura 8. Si deduce quindi x = 3.
Queste trasformazioni geometriche corrispondono alle seguenti trasformazioni algebriche:



,
da cui la regola data da al-Khwārizmī e riportata sopra.
La seconda dimostrazione geometrica si deduce dalla Fig. 2 e corrisponde alla seguente trasformazione:
x2 + 2x +
= q +
.
Nel caso dell’equazione del tipo 5, al-Khwārizmī sa che si possono avere due radici oppure una sola (doppia) o nessuna (quando le radici non sono reali). Per mostrare la completezza della trattazione, si riporta per esteso il ragionamento di al-Khwārizmī relativo all’equazione x2 + 21 = 10x, affiancato dalla traduzione in simbolismo moderno delle operazioni espresso a parole.
“Quadrati e numeri uguali a radici. Il seguente esempio è un’illustrazione di questo tipo: un quadrato e 21 unità uguali a 10 radici. La regola risolutiva è la seguente: dividi per 2 le radici, ottieni 5. Moltiplica 5 per se stesso, hai 25. Sottrai 21 che è sommato al quadrato, resta 4. Estrai la radice, che dà 2 e sottrai questo dalla metà della radice, cioè da 5, resta 3. Questa ` la radice del quadrato che cerchi e il suo quadrato è 9. Se lo desideri, aggiungi quella alla metà della radice. Ottieni 7, che è la radice del quadrato che cerchi e il cui quadrato è 49.” | x2 + 21 = 10x 10 : 2 = 55 · 5 = 2525 – 21 = 4![]() | x2 + q = px p : 2![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
Sono così presentate le due soluzioni positive dell’equazione, seguite dal commento:
“Se tu affronti un problema che si riconduce a questo tipo di equazione, verifica l’esattezza della soluzione con l’addizione, come si è detto. Se non è possibile risolverlo con l’addizione, otterrai certamente il risultato con la sottrazione. Questo è il solo tipo in cui ci si serve dell’addizione e della sottrazione, cosa che non trovi nei tipi precedenti. Devi inoltre sapere che se in questo caso tu dividi a metà la radice e la moltiplichi per se stessa e il prodotto risulta minore del numero che è aggiunto al quadrato, allora il problema è impossibile. Se invece risulta uguale al numero, ne segue che la radice del quadrato sarà uguale alla metà delle radici che sono col quadrato, senza che si tolga o si aggiunga qualcosa.”
Gli ultimi due casi corrispondono ad avere discriminante negativo (p/2)2 < q, dunque nessuna soluzione in campo reale, e discriminante nullo, vale a dire due soluzioni coincidenti (x=p/2).
La dimostrazione geometrica di al-Khwārizmī, distingue due possibilità, corrispondenti alle due soluzioni. Della prima è data una costruzione dettagliata, mentre per la seconda si hanno pochi cenni nel testo arabo e alcune figure nelle versioni latine.
Ecco come viene presentata la prima costruzione (fig. 3): il rettangolo GCDE, di lati GC= p e CD = x, è formato dal quadrato ABCD = x2 e dal rettangolo GBAE = (p-x)x = q. Se si pone x < p/2 cosa che al-Khwarizmi non dice esplicitamente, si può innalzare in F, punto medio di GC, la perpendicolare FH e GC e prolungare FH del segmento HK=AH=p/2– x. Si costruiscono quindi i quadrati GFKM= (p/2)2 e IHKL = (p/2– x)2. Dalla costruzione risulta che i rettangoli EILM e FBAH sono congruenti, per cui IHKL risulta essere la differenza fra GFYM e GBAE, cioè (p/2-x)2 = (p/2)2 – q. Dunque
IH = AH = e AD = HD–AH = p/2 –
= x.
Per la seconda costruzione, al-Khwārizmī dice solo che si ottiene la maggiore delle radici aggiungendo DH a M. È tuttavia quasi certo che egli ne conoscesse la dimostrazione, dal momento che nelle versioni latine si trovano le figure relative.
Supponendo infatti (fig. 4) x > p/2, il punto F, medio di GC = p, cade all’interno di BC=x. Si prenda AB = BC. Il quadrato BFHI, avendo lato BF=x–p/2, è uguale alla differenza del quadrato GFKM = (p/2)2 e della somma delle aree GBLM+IHKL=GBAE=q. Così BF =
e x = CF + BF = p/2 +
.
al-Khwārizmī presenta poi, come esempio di equazione del tipo 6,
3x + 4 = x2
di cui considera solo la soluzione positiva e non quella negativa. La regola, espressa in notazioni moderne, relativamente all’equazione px + q = x2, corrisponde alla soluzione
x = +
La dimostrazione geometrica consiste nella costruzione (fig. 5) del quadrato ABCD=x2, composto dai rettangoli ARHD = px e RBCH = x2 – px = q.
Sia G il punto medio di HD e si costruisca il quadrato TKHG = (p/2)2. Sul prolungamento di TG si prenda TL = CH = x – p. Si innalzi in L la perpendicolare a LG, che incontri BC in M e il prolungamento di KH in N. Ora GL risulta uguale a CM e uguale a CG poiché GL = GT + LT = GH + HC e TL = CH = MN, per cui LTKN = BMNR. Dunque MCHN + BMNR = BCHR = q = MCNH + LTKN. Inoltre
LMCG = TKHG + q = (p/2)2 + q e CG = ,
da cui CD = x = CG + GD = + p/2.
Dopo aver discusso tutti i tipi di equazioni di primo e secondo grado, al-Khwārizmī espone alcune regole fondamentali per operare sulle espressioni algebriche. Ad esempio sono illustrate la moltiplicazione di monomi e binomi, la riduzione dei termini simili in somme e differenze di monomi e le trasformazioni del tipo a =
x o viceversa.
Trattando addizioni e sottrazioni di segmenti, al-Khwārizmī sottolinea l’esigenza di rispettare sempre l’omogeneità dimensionale, cioè il fatto che non si può operare su grandezze che non abbiano le stesse dimensioni. Inoltre egli utilizza pochissimo il numero irrazionale, che chiama gizr asamm = (radice sorda o cieca). Gherado da Cremona, nel XII sec., ha tradotto il termine asamm col latino surdus ed è per questo motivo che fino al sec. XVIII i numeri irrazionali sono stati chiamati numeri surdi.
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