L’alchimia nel mondo islamico

Jabir ibn Hayyan, da un manoscritto del XV secolo

Jabir ibn Hayyan, da un manoscritto del XV secolo

L’alchimia nel mondo islamico

La distruzione del Serapeo e della Biblioteca di Alessandria segnò la fine del centro culturale greco, spostando il processo dello sviluppo alchemico verso il Vicino Oriente. L’alchimia islamica è molto meglio conosciuta perché meglio documentata e molti dei testi antichi giunti sino a noi si sono preservati come traduzioni islamiche.

Sia la sperimentazione pratica che l’elaborazione teorica ebbero un forte impulso nel mondo islamico fin dall’VIII secolo, e poiché la presenza dell’alchimia in India e in Cina è documentata a partire all’incirca dallo stesso periodo, la possibilità e le eventuali modalità di rapporto fra l’alchimia islamica e quella orientale sono state prese in considerazione da diversi studiosi, per ora senza risultati acquisiti in modo definitivo. L’alchimia di lingua araba non si limitò a riprendere le pratiche metallurgiche dell’età ellenistica ma, forte della base teorica fornita dalla dottrina ermetica, allargò la ricerca alchemica alla struttura e alle trasformazioni di tutti i corpi materiali, fino a prendere in considerazione l’origine stessa della vita.

L’idea di elixir, che nel suo stesso nome mostra la propria origine araba (al-iksir), trasformò la nozione di ‘agente della perfezione metallica’ in quella di ‘sostanza capace di perfezionare qualsiasi tipo di corpo’, compresi i corpi umani. I contributi più rilevanti sul piano filosofico riguardano la matrice invisibile delle realtà visibili e la continuità fra materia e spirito; la scienza detta della Bilancia, elaborata da una scuola alchemica i cui testi sono attribuiti al fondatore

Jabir, si fonda sul rapporto fra linguaggio e realtà per indagare gli aspetti strutturali dei corpi e definire le regole di trasformazione sulla base del significato numerico delle lettere alfabetiche e dunque dei nomi; nell’ambito delle ricerche di laboratorio, si devono segnalare i tentativi di classificazione delle sostanze minerali e metalliche nei testi alchemici di Razi, e l’introduzione di solventi e processi sconosciuti all’alchimia greca.

Sul versante opposto, testi costruiti con linguaggio metaforico e densi di simboli vennero prodotti sia attribuendoli ad autori antichi e autorevoli (Ermete, Platone, Aristotele) sia riferendoli all’autore islamico vero e proprio, come la Tabula chemica di Ibn Hamuel che i latini chiamarono Senior. Due testi di Avicenna, la Epistola ad Hasen regem e lo Sciant artifices presentano infine un’articolata indagine di ordine filosofico sulle condizioni di pensabilità dell’elixir e della trasmutazione.

Alchimisti  come al-Razî (in latino Rasis o Rhazes) [https://storiografia.me/2013/11/23/al-razi-il-filosofo-laico-dellislam/]diedero un contributo fondamentale alle scoperte chimiche, come la tecnica della distillazione, e ai loro esperimenti si devono l’acido muriatico (l’antico nome dell’acido cloridrico), l’acido solforico e l’acido nitrico, oltre alla soda (al-natrun) e potassio (al-qali), da cui derivano i nomi internazionali di sodio e potassio, Natrium e Kalium.

L’apporto di nomenclatura alchimistica a tutta la posteriore cultura occidentale è di origine araba: termini arabi sono infatti alchimia, atanor (fornace), azoth (forma corrotta da al-zawq, ‘mercurio’), alcool (da al-kohl, indicante una polvere per il trucco ricavata dall’ ‘antimonio’), elisir (da al-iksīr, “pietra” filosofale) e alambicco. La scoperta che l’acqua regia, un composto di acido nitrico e muriatico, potesse dissolvere il metallo nobile – l’oro – accese l’immaginazione degli alchimisti per il millennio a venire.

I filosofi islamici diedero anche grandi contributi all’ermetismo alchemico. Al riguardo la più grande e influente figura è probabilmente Jâbir ibn Hayyân (in arabo جابر إبن حيان, il Geber o Geberus dei Latini) [https://storiografia.me/2013/11/26/jabir-ibn-hayyan-geber-tra-alchimia-e-chimica/]. Questo importante alchimista, nato agli inizi dell’VIII secolo, fu il primo, a quanto sembra, ad aver analizzato gli elementi secondo le quattro qualità base di caldo, freddo, secco e umido. Jâbir ipotizzò che, siccome in ogni metallo due di queste qualità erano interne e due esterne, mescolando le qualità di un metallo, si sarebbe ottenuto un altro metallo. La grande serie di scritti che gli vengono attribuiti esercitò un’enorme influenza sulle correnti alchimistiche europee.

Bibliografia

Die Alchemie al-Razi’s, “Der Islam”, Vol. XXII, pp. 283-319
Julius Ruska, Arabische Alchemisten, t. II : Ga’far Alsadîq, Heildelberg, 1924
Pierre Lory, Dix traités d’alchimie de Jâbir ibn Hayyân. Les dix premiers Traités du Livre des Soixante-dix, Paris, Sindbad, 1983.
Paul Kraus, Jâbir ibn Hayyân. Contribution à l’histoire des idées scientifiques dans l’Islam, Cairo, Memorie presentate all’Istituto d’Egitto, 1942-1943, 2 t.



Categorie:G40.05- Scienza araba e islamica - Arabic and Islamic Science

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