Un movimento sunnita fra tradizionalismo e modernizzazione: il salafismo
La salafiyya ( ﺳﻠﻔﻴـة), o salafismo, è una scuola di pensiero sunnita che prende il nome dal termine arabo salaf al-ṣaliḥīn (“i pii antenati”) che identifica le prime tre generazioni di musulmani (VII-VIII secolo): i Ṣaḥābi (i “Compagni” di Maometto), i Tābiʿūn (i “Seguaci”, la generazione successiva a quella del Profeta) e i Tābiʿ al-Tābiʿiyyīn (“Coloro che vengono dopo i seguaci”, la terza generazione), che vengono tutti considerati – dai salafiti – dei modelli esemplari di virtù religiosa.[1] Punti di riferimento nella storia dei movimenti salafiti sono tre autori e studiosi della Sunna a cui è comunemente associato il titolo onorifico di “Shaykh al-Islam“: Ahmad ibn Hanbal (780-855), Ibn Taymiyya (1263–1328) e Muhammad ibn Abd al-Wahhab (1703-1792).[2][3][4]
Il Salafismo delle origini era un movimento profondamente e sinceramente religioso che si batteva per il recupero di un Islam puro, privo dei tradizionalismi religiosi che contraddistinguevano l’Islam ufficiale fino al XIX secolo. I primi salafiti propugnavano una Nahda, una rinascita culturale islamica, e proponevano una lettura ambivalente dell’Islam. Da un lato erano contrari a una sua lettura troppo tradizionalista, dall’altra criticavano alcune correnti sufi, i mistici dell’Islam sunnita che erano spesso considerati degli eretici a causa della loro lettura allegorica del Corano. I sufi valorizzavano principalmente il batin, il significato interiore del Corano, piuttosto che lo zahir, quello esteriore. Per i salafiti, questi mistici erano complici degli invasori occidentali che avevano colonizzato anche culturalmente l’Egitto, diffondendo nuovi usi e costumi.
Il significato del termine salafita è gradualmente cambiato e oggi è utilizzato per indicare coloro che vogliono implementare la sharia, la legge islamica, ritenendo corretta una lettura integrale e letterale del Corano e della sunna, l’insieme del comportamento e degli insegnamenti del Profeta Maometto. Per questo i salafiti dicono di essere i veri seguaci dell’Islam: perché emulano i primi pii musulmani, i salaf, professando la versione a loro avviso più autentica dell’Islam.
Sebbene il termine salafi ( سلفي ) sia ben attestato già nel periodo classico, essendo utilizzato da eminenti studiosi di Hadīth, come al-Dhahabi (1274–1348), per qualificare come “ortodossa” la posizione teologica di autori precedenti, l’accezione moderna di questo termine – secondo alcuni storici dell’Islam – fa riferimento, innanzitutto, a un movimento revivalistico sorto nella seconda metà del XIX secolo in Egitto, in reazione alla diffusione della cultura europea e con l’intento «di rivelare le radici della modernità all’interno della civiltà islamica».[5] Questa definizione del salafismo si riconduce, in particolare, ad autori come Muhammad Abduh e Jamal al-Din Asadabadi, importanti intellettuali dell’Università al-Azhar e fondatori del movimento culturale e politico conosciuto come Iṣlāḥ (o riformismo islamico) e all’intellettuale siriano Rashid Rida.
Il termine salafismo è diventato nel tempo, tuttavia, abbastanza ambiguo, perché se inizialmente il movimento era decisamente aperto al confronto con l’Occidente non-musulmano (è nota la “Fatwa del Transvaal” di Muhammad ʿAbduh, che suscitò la forte opposizione degli ambienti islamici più conservatori e che prendeva posizione sulla liceità per un musulmano di cibarsi in certe condizioni di carni di un animale non macellato secondo la normativa islamica), già nella seconda metà del XX secolo esso rappresentava di fatto un sinonimo del Wahhabismo.
Questa trasformazione non deve sorprendere più di tanto. Comune al primo Salafismo e al fondamentalismo era infatti la volontà di affrancare il mondo islamico dalla sua sudditanza, psicologica e politica, nei confronti dell’Occidente non-musulmano, anche se le due correnti di pensiero divergevano poi per metodo e strumenti. Sinteticamente si può dire che il Fondamentalismo abbia trovato alimento nel Salafismo, allontanandosene essenzialmente per una diversa interpretazione della rivelazione coranica, ma non per le finalità da raggiungere.
Il Salafismo delle origini era anch’esso un movimento profondamente e sinceramente religioso, che si batteva per il recupero di un Islam “puro” da incrostazioni sovrastrutturali, fautore di una lettura meno intellettualistica del Corano, ostile per un verso a una sua lettura troppo letteralistica che rischiava concretamente di sfociare in vera e propria offesa alla ragione umana, ma per un altro verso anche alla dottrina di alcune correnti sufi, giudicata troppo ambigua e assertrice di una lettura esageratamente allegorica e potenzialmente fuorviante del portato coranico per essere accettata dai salafiti.
Molti salafiti di oggi pensano, invece, che la loro letterale lettura della Legge coranica sia non solo corretta ma più adeguata alle necessità del presente. Rifiutano la lettura fornita dai primi salafiti – i riformisti islamici – che a loro parere tracimava facilmente in una inammissibile «libera interpretazione» del testo sacro, preferendo fare riferimento, piuttosto, a figure fondamentaliste come Ibn Taymiyya – importante teologo ḥanbalita siriano del XIII secolo e fervente sostenitore del Jihād – e Ibn Qayyim al-Jawziyya che ai teorici di fine Ottocento del movimento.[5]
Una corrente numerosa del salafismo tra le due guerre mondiali preferisce, quindi, guardare con forte interesse all’opera ideologica del propagandista religioso Muhammad ibn Abd al-Wahhab, il cui richiamo alle pratiche delle prime generazioni di musulmani aveva dato origine al movimento wahhabita, un movimento fondamentalista profondamente legato – per tutta una serie di vicende storiche e politiche – alla casa regnante dell’attuale Arabia Saudita e che affronta il ritorno alle origini della Sunna in chiave del tutto anti-modernista.
Il movimento salafita – come affermatosi in Egitto all’inizio del XX secolo ad opera di Rida – vuole ricreare le condizioni in cui visse e agì il profeta Maometto (VII secolo) con i suoi fedeli Compagni. Da questo punto di vista appare corretto l’uso del sostantivo-aggettivo “salafita”.
L’aspetto teoretico di maggior rilievo del salafismo è, pertanto, quello di un ritorno alle “fonti”, la volontà di dar corso a una nuova interpretazione (ijtihād) autentica dei dati coranici e della Tradizione etico-giuridica (Sunna). Il movimento è anti-occidentale e apparentemente tradizionalista, ma in realtà può essere paradossalmente considerato un movimento di modernizzazione dell’Islam, visto che non ha timore di ricorrere allo strumento esegetico dell’ijtihād per affrontare le nuove fattispecie giuridiche che s’accompagnano ai processi di globalizzazione.[6]
I primi segnali evidenti, e ufficiali, del mutamento ideologico e strategico del Salafismo, da movimento “riformista” e tollerante a movimento “fondamentalista”, si possono forse riscontrare in Tunisia, verso gli anni trenta del XX secolo. Nel suo lemma «Salafiyya», su The Encyclopaedia of Islam, W. Ende sottolinea, infatti, le espressioni di questo nuovo corso in diversi settori della società tunisina: innanzi tutto con l’organizzazione di “libere scuole” e di una nuova stampa periodica, gran parte della quale permeata di uno spirito wahhabita che era marcatamente insensibile al tradizionale retaggio culturale islamico formatosi nel corso della sua più che millenaria esistenza in Asia, Africa ed Europa, nonché nella forte sottolineatura della necessità di rapporti privilegiati con l’Oriente islamico, nel moralistico impegno contro i malesseri sociali e i “vizi” importati – a dire di questi nuovi Salafiti – dall’Occidente (alcolismo e prostituzione innanzi tutto), nella condanna dello scimmiottamento dell’Occidente e del suo “decadente” femminismo, nell’ostracismo da decretare nei confronti delle missioni cristiane e nelle loro attività di proselitismo, nella ripulsa di organizzazioni come la Khaldūniyya, dell’YMMA (Young Men’s Muslim Association, creata a imitazione della Young Men Christian Association) e infine della Società per la Difesa e l’insegnamento del Corano (peraltro di brevissima esistenza).
In Egitto, la trasformazione del Salafismo avvenne nello stesso periodo, con l’avvento della cosiddetta “Neo-Salafiyya”.[7] Nascono infatti la Jamʿiyyat al-Shubbān al-muslimīn (Organizzazione dei Giovani Musulmani) e la Fratellanza Musulmana, che non si rivolgono più a minoranze colte e “illuminate” (in qualche modo sensibili alla cultura occidentale) ma alle masse più incolte, impegnandosi in una profonda e capillare opera di “richiamo” (daʿwa) all’Islam, cioè di riavvicinamento alla fede e alle pratiche canoniche dell’Islam, inteso in senso anti-intellettualistico e conservatore; una visione praticamente opposta a quella del movimento delle origini.
Rifiutando l’adesione a ciascuna delle quattro tradizionali scuole giuridiche – hanafita, hanbalita, malikita, shafiita – i salafiti sono stati influenzati dalla lettura di Muhammad Ibn Abd al-Wahhab, il severo sapiente islamico a cui si legò Muhammed Ibn Saud per dar vita al Regno dell’Arabia Saudita, a metà del XVIII secolo. Abd al-Wahhab è anche l’uomo attorno al quale è nato il wahabismo, un movimento islamista dogmatico prevalentemente saudita. Il movimento salafita si ispira infatti a sapienti radicali come Ibn Taymiyya, importante teologo siriano del XIII secolo e fervente sostenitore del jihad che divenne un simbolo per Abd al-Wahhab.
Per tutti i partiti salafiti è prioritaria l’applicazione della sharia e la trasformazione dell’Egitto in uno stato islamico. Al centro del pensiero salafita c’è il contrasto tra l’innovazione, bidah, e il credo nel monoteismo assoluto, tawhid. Servendosi di una visione dualista, i salafiti dividono il mondo dei musulmani da quello dei non musulmani, rifiutando questi ultimi e ritenendoli nemici, miscredenti e sostenitori dell’ateismo. Generalmente sospettosi verso qualsiasi concetto importato dall’Occidente, i salafiti paragonano i cristiani ai crociati e gli ebrei ai sionisti. Usando un linguaggio particolarmente violento, i salafiti alimentano spesso l’idea di un complotto tra queste forze mirato alla distruzione dell’Islam. In questa ottica ogni menzione ai diritti umani viene considerata anti-islamica e la libertà assoluta una fonte di disordine e di barbarie. La libertà di espressione può quindi essere concessa solo a coloro che vogliono propagandare l’Islam.
Nella vita quotidiana, i salafiti prestano particolare attenzione all’aspetto estetico. Come narrato in alcuni hadith, racconti del Profeta, gli uomini portano una barba lunga e indossano pantaloni che lasciano scoperte solo le caviglie. Le donne, che hanno un ruolo prettamente domestico, indossano invece il niqab, il velo che copre il volto lasciandone visibili gli occhi. La separazione dei sessi è alla base dell’organizzazione della vita pubblica. Ciononostante, i salafiti non rinunciano del tutto alla modernità. Le nuove tecnologie sono usate per diffondere il loro discorso al fine di islamizzare la modernità.
Fino alla caduta del deposto presidente Hosni Mubarak, i salafiti non partecipavano alla vita politica egiziana, condannavano con veemenza la democrazia e le elezioni, considerandole kufr, miscredenze di chi si oppone alla sharia di Allah. Questo non ha però bloccato la diffusione del jihadismo, come ha dimostrato la nascita di Al-Qaeda, fondata dall’egiziano Ayman Al Zawahiri insieme al saudita Osama Bin Laden. Anche dopo la scomparsa di quest’ultimo, Al-Qaeda resta un marchio utilizzato dai seguaci del pensiero salafita-jihadista diffuso in tutto il mondo. Attualmente, il principale esponente egiziano è Muhammed al Zawahiri, fratello di Ayman.
Nel corso della transizione egiziana i salafiti sono diventati attivi tanto in partiti come Hizb al-Nur, Partito della Luce, e Bina’a wa Tanmiyya, Costruzione e Sviluppo, evoluzione politica dei gruppi ex-jihadisti Jamaa Islamiyya, Gruppi Islamici, e Tanzim al-jihad, Organizzazione del jihad, quanto in nuove formazioni jihadiste armate che hanno fatto della penisola del Sinai una delle loro roccaforti.
Come conseguenza di questo percorso storico, a partire dalla seconda metà del XX secolo il Salafismo verrà frequentemente associato alle espressioni più radicali del Fondamentalismo islamico (che la stampa seguita a chiamare impropriamente “islamismo”). A partire dagli anni settanta del XX secolo, vi si richiamano infatti esplicitamente numerosi gruppi estremisti, come il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento, sorto negli anni novanta in Algeria, ed altre milizie jihadiste vicine ad al-Qāʿida.
Note
- ^ Ebrahim Moosa. Ghazali And The Poetics Of Imagination, p. 21 ISBN 0-8078-5612-6
- ^ التجديد بمفهومية Renewal and its Understanding, di Shaikh Muhammad Amaan al-Jaamee, parte 1
- ^ صور من الجاهليات المعاصرة Glimpses From the Modern Jahiliyyah, di Shaikh Muhammad Amaan al-Jaamee
- ^ سلسلة مفهوم السلفية Understanding Salafiyyah, A Series On, di Shaikh Muhammad Nāsir al-Dīn al-Albaani, parti 1-2, 6
- ^ a b ”Jihad” By Gilles Kepel, Anthony F. Roberts
, Books.google.com, 24 febbraio 2006. ISBN 978-1-84511-257-8 URL consultato il 18 aprile 2010.
- ^ Cfr. Claudio Lo Jacono, “I cosiddetti fondamentalismi islamici”, su: Parolechiave, 3, 1993, pp. 33-51, Roma, Fondazione Lelio e Lisli Basso, Roma, numero monografico sui Fondamentalismi). Consultabile sull’OPAR dell’Università di Napoli “L’Orientale”
- ^ R. Schulze, Islamischer Internationalismus in 20. Jahrhundert, E. J. Brill, Leiden, 1990, p. 90 e segg.
Categorie:G40- [STUDI DI ISLAMISTICA - STUDIES OF ISLAMICS], G50- [STORIA CONTEMPORANEA DEI PAESI MUSULMANI - CONTEMPORARY HISTORY OF MUSLIM COUNTRIES]
Rispondi