La velocità della luce
Ritenuta per molti secoli infinita, la prima misura della velocità della luce fu tentata da G. Galilei, che, non disponendo di apparati sperimentali adeguati, non fu in grado di pervenire a un risultato.
La questione rimase indecisa sino a quando O. Römer (1676), osservando le eclissi del satellite più interno di Giove, spiegò le irregolarità osservate come dipendenti dalla velocità finita della luce e J. Bradley (1726), nel tentativo di misurare la parallasse di alcune stelle, scoprì il fenomeno dell’aberrazione.
La prima determinazione accurata della velocità della luce fu eseguita nel 1849 da A.H.L. Fizeau con il metodo della ruota dentata, ripresa nel 1873 da A. Cornu, nel 1882 da J. Young ed E. Forbes e, successivamente (1928), da A. Karolus e O. Mittelstaedt che posero al posto della ruota dentata una cellula di Kerr. Questi metodi non consentono però la misura della velocità della luce nei vari mezzi. Fizeau e J.-L. Foucault, dapprima, poi il solo Foucault, riuscirono, nel 1850, servendosi di specchi rotanti, a ottenere risultati che accertavano che la velocità della luce nell’acqua era pari ai tre quarti della stessa in aria.
Altre misure, con metodo analogo, furono effettuate da S. Newcomb nel 1881-82, da A.A. Michelson in una serie di esperimenti condotti in due successivi periodi (1878-82 e 1924-26) e da W.C. Anderson nel 1937. Dall’esame critico dei risultati ottenuti con i vari metodi è scaturita la media, accolta nel 1962, che dà per la velocità della luce nel vuoto il valore di
299.792,5±0,3 km/s;
valore che si approssima normalmente uguale a
3 · 105 km/s.
Nell’ambito della teoria della relatività ristretta, la velocità della luce è ritenuta costante nel senso che qualsiasi segnale elettromagnetico deve propagarsi a velocità costante, la velocità della luce, appunto. Nessun segnale, di qualsiasi tipo, inoltre, può propagarsi a velocità superiore, pena l’insorgere di gravissimi paradossi logici. Ciò vale come premessa all’interpretazione di qualsiasi esperimento nel quale si osservino pretese violazioni del principio.
Verso la metà dell’anno 2000 due distinti gruppi di ricercatori, uno italiano (dell’Istituto di Ricerca sulle Onde Elettromagnetiche del CNR di Firenze) e uno statunitense (dell’Istituto di Ricerca NEC di Princeton) hanno ottenuto risultati in cui la velocità della luce non sembrerebbe un limite invalicabile. In particolare, gli esperimenti condotti dal gruppo italiano hanno messo in evidenza una velocità di circa 375.000 chilometri al secondo, ben oltre il limite della velocità della luce. Tuttavia, in ogni caso le onde elettromagnetiche che compongono il segnale con il quale viene trasmessa l’informazione continuano a rispettare la velocità della luce, mentre ciò che va al di là dei 300.000 km al secondo è la velocità di gruppo. Praticamente a oltrepassare la velocità della luce è soltanto una frazione di onde elettromagnetiche, un pacchetto d’onde di determinata velocità di fase, non il segnale nella sua globalità. Questa precisazione risulta fondamentale nel caso in cui si immagini uno scenario in cui si tenti di inviare messaggi a velocità superluminali, oppure ottenere inversioni temporali: modificando il rapporto causa-effetto.
Altre presunte violazioni al principio della costanza della propagazione dei segnali luminosi si erano peraltro già avuti negli anni Ottanta-Novanta del sec. XX R. Chiao dell’Università di Berkeley aveva dimostrato che in speciali circostanze i fotoni possono attraversare due punti separati da una barriera in un tempo praticamente uguale a zero. Questo processo conosciuto col nome di “effetto tunnel quantistico” viene normalmente sfruttato dagli elettroni per attraversare le barriere di potenziale nelle giunzioni dei diodi Zener e dei semiconduttori. Tuttavia, essendo l’effetto tunnel un effetto probabilistico, non è possibile conoscere a priori quanti e quali particelle sfrutteranno questo effetto. Perciò non risulta possibile mandare nessuna informazione utile in questo modo. In effetti, nell’ambito della meccanica quantistica, tutte le situazioni che prevedono il coinvolgimento di sistemi non locali, implicano azioni a velocità superiore a quella della luce.
In questo senso vanno intesi anche gli esperimenti, effettuati tra la fine del sec. XX e i primi anni del sec. XXI, descritti in termini di “rallentamento della velocità della luce”. Tra questi, sono notevoli quelli della scienziata danese L. Vastgaard Hau, che nel 2001 è riuscita a rallentare la luce alla velocità di 60 km/s e a intrappolarla in un gas a bassissima temperatura. Nel 2003, poi, un gruppo dell’università di Rochester, negli Stati Uniti, ha ridotto la velocità della luce a 91 m/s a temperatura ambiente all’interno di un cristallo.
Lo stesso gruppo è riuscito a far viaggiare un impulso laser a una velocità maggiore della velocità della luce nel vuoto. Tutte queste esperienze sono legate allo sviluppo di computer quantistici, nei quali immagazzinare con sicurezza e affidabilità quantità di dati di enormi proporzioni. Gli esperimenti hanno anche potenziali applicazioni nelle telecomunicazioni per la trasmissione di grandi moli di dati a grandissima velocità in condizioni di sicurezza e inviolabilità.
Bibliografia
L. De Broglie, Matière et lumière, Parigi, 1950; V. Ronchi, Storia della luce, Bologna, 1952; M. Born, E. Wolf, Principles of Optics, Londra, 1959; R. W. Ditchburn, Light, Glasgow, 1963; F. W. Sears, Ottica, Milano, 1965; F. S. Crawford, Waves, New York, 1968; M. Alonso, E. Finn, Campi e onde, Londra, 1969; G. Bruhat, A. Kastler, Lumière, Parigi, 1970; H. H. Holz, Strutture della visualità, Milano, 1984.
Fonte: Sapere.it
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