Storia della scoperta della Via Lattea
Aristotele descrisse la Via Lattea in una sua opera sulle Scienze della Terra, i Meteorologica (DK 59 A80), ma già prima di lui i filosofi Anassagora (circa 500–428 a.C.) e Democrito (450–370 a.C.) avanzarono l’idea che la Via Lattea fosse una lunga scia di stelle molto distanti. L’astronomo persiano Abū Rayhān al-Bīrūnī (973-1048 d.C.) fu il primo a notare come la Via Lattea fosse formata da un insieme di innumerevoli stelle nebulose.
Una prima conferma giunse nel 1610, quando Galilei usò un cannocchiale per studiare la Via Lattea: vide in effetti che era composta da un elevatissimo numero di deboli stelline.In un trattato del 1755, Immanuel Kant, rifacendosi ad un’opera precedente di Thomas Wright, speculò (correttamente) che la Via Lattea fosse in realtà un corpo in rotazione formato da un numero enorme di stelle, legate dalla forza di gravità come avviene nel sistema solare, ma in scala molto maggiore; dall’interno il disco di stelle è visto come una lunga scia chiara solo per un effetto prospettico. Speculò inoltre (sempre correttamente) sul fatto che alcune delle nebulose visibili nel cielo notturno altro non fossero che delle “galassie” esse stesse, simili alla nostra ma molto più lontane.
Il primo tentativo di descrivere la forma della Via Lattea e la posizione del Sole al suo interno fu di William Herschel nel 1785, attraverso un conteggio scrupoloso del numero di stelle in seicento regioni differenti del cielo. Disegnò in seguito un diagramma della forma della Galassia, considerando erroneamente il Sole nei pressi del suo centro.
Nel 1845 Lord Rosse costruì un nuovo telescopio che gli consentì di distinguere la forma ellittica e spiraliforme di alcune delle nebulose allora conosciute; cercò inoltre di capire quale fosse il “punto sorgente individuale” in molte di queste particolari “nebulose”, secondo quanto formulato in precedenza da Kant.
Nel 1917 Heber Curtis osservò la supernova S Andromedae all’interno della “Grande Nebulosa di Andromeda”; cercando poi nei registri fotografici trovò altre undici stelle novae. Curtis determinò che la magnitudine apparente di questi oggetti era stata 10 volte inferiore di quella che raggiungono gli oggetti all’interno della Via Lattea. Come risultato egli calcolò che la “nebulosa” dovesse trovarsi ad una distanza di circa 150 000 parsec. Diventò così un sostenitore della teoria degli “universi isola”, che affermava che le nebulose di forma spirale erano in realtà galassie separate simili alla nostra.Nel 1920 ebbe luogo il Grande Dibattito tra Harlow Shapley e Heber Curtis riguardo alla natura della Via Lattea, delle nebulose spiraliformi e sulle dimensioni dell’Universo. Per supportare l’ipotesi che la Grande Nebulosa di Andromeda fosse in realtà una galassia esterna, Curtis indicò la presenza di linee oscure simili alle nebulose oscure osservabili nella Via Lattea, come anche il notevole Effetto Doppler osservato.
Il problema fu definitivamente risolto da Edwin Hubble nei primi anni venti, che si servì del potente telescopio Hooker, appena costruito nell’osservatorio di Monte Wilson. Fu in grado di risolvere le parti esterne di alcune nebulose spiraliformi come insiemi di stelle e identificò alcune variabili Cefeidi, che lo aiutarono a stimare la distanza di queste nebulose: queste si rivelarono troppo distanti per essere parte della Via Lattea.Nel 1936 lo stesso Hubble ideò un sistema di classificazione per le galassie in base alla loro morfologia ancora usato ai nostri giorni, la Sequenza di Hubble.
Categorie:K40.03- Storia dell'Astronomia - History of Astronomy
Rispondi