Medici e malattie nell’antico Egitto

Papiro medico di Smith

 

Medici e malattie nell’antico Egitto

I numerosi papiri che ci sono pervenuti e lo studio sistematico delle mummie, con le moderne tecnologie mediche, consentono di fare un quadro preciso sulle patologie degli Egizi e le relative terapie.

Gli egizi non identificavano le malattie bensì cercavano le cause dei sintomi specifici, che secondo loro erano addebitabili, per lo più, ad agenti esterni che le loro cure tentavano di distruggere o di estromettere; questo modello eziologico era legato sia alla concezione dell’origine del mondo sia alle credenze sulle influenze delle forze superiori. L’esame delle mummie ha rivelato malattie quali arteriosclerosi, carie, artrite, vaiolo e tumore ma anche dalle raffigurazioni è possibile dedurre alcune patologie, come per esempio:

  • nello studio della figura del faraone Akhenaton si evidenziano arti allungati, cranio dolicocèfalo (cioè allungato nella parte posteriore), viso allungato, fianchi larghi e adiposi, sintomi riconducibili alla sindrome genetica di Marfan, escludendo così la prima ipotesi di Sindrome di Fröhlich (Hera – n.97 – Una sindrome per Akhenaton);
  • anche le figlie di Akhenaton avevano crani deformati e mentre in un primo momento si era ipotizzato che fosse una convenzione artistica, oggi è più accreditata la teoria della malattia genetica ereditaria (Hera- n.97 – Una sindrome per Akhenaton);
  • il sacerdote Rensi, nella stele, è raffigurato con una malformazione chiamata piede equino ed ha l’arto inferiore atrofizzato, tanto che doveva usare il bastone per camminare;
  • la regina Ity di Punt, raffigurata in un rilievo del tempio di Hatshepsut, doveva soffrire di lipodistrofia o steatosi, poiché era obesa e con i fianchi deformati.
  • è probabile che, in alcune ipotesi, Ramesse II sia morto, più che per la vecchiaia, per un’infezione provocata dalla scissione di un dente.

Le malattie più comuni erano:

  • cefalea e vene varicose, dovute spesso alla temperatura climatica elevata;
  • bilharziosi, per contatto con acqua infetta;
  • pneumoconiosi;
  • gobba, dovuta a tubercolosi vertebrale o malformazioni;
  • malnutrizione e rachitismo, patologie tipiche della popolazione più povera;
  • lebbra;
  • obesità;
  • poliomielite;
  • malattie del tratto gastrointestinale.

Papiro medico di Ebers

La sabbia del deserto, se inalata, causava malattie respiratorie e se masticata, insieme con gli alimenti, usurava i denti causando parecchie dolorose patologie. Anche gli occhi, tra sabbia e acqua del Nilo, andavano soggetti a congiuntiviti e il tracoma era molto diffuso, viste le numerose raffigurazioni di individui ciechi.

I medici egizi visitavano il malato accuratamente ed una volta fatta la diagnosi prescrivevano la terapia contro il dolore, come ci dice il testo del “Papiro Edwin Smith”.

La maggior parte dei testi è scritta in ieratico, come il “Papiro Chester Beatty”; altri in demotico ed alcuni sono scritti su ostraca. Molte medicine sono state identificate ed erano costituite per la maggior parte da vegetali quali sicomoro, ginepro, incenso, uva, alloro, e cocomero. Anche il salice, tkheret in egizio, secondo il “Papiro Ebers” era usato come analgesico mentre del loto veniva usato sia il fiore che la radice ed era somministrato come sonnifero. I frutti della palma servivano per curare le coliti, allora molto frequenti; con l’orzo, si faceva la birra che serviva come eccipiente, o diluente, e con il grano veniva fatta la diagnosi di gravidanza. Gli Egizi usavano anche elementi animali quali la carne per le ferite, il fegato e la bile per lenire il dolore agli occhi. Di quest’ultima è stata attestata l’efficacia anche di recente. Il latte, sia di mucca, sia di asina che di donna, era integrato come eccipiente e il principio attivo più usato era di sicuro il miele che per le sue tante proprietà serviva per le patologie respiratorie, ulcere e ustioni, come recita il “Papiro medico di Berlino”.

Tra i minerali, usati in medicina, troviamo il natron, chiamato neteri cioè il puro, il sale comune e la malachite che curava le infezioni agli occhi ed era usata sia come farmaco che come cosmetico nella profilassi.

Strumentario medico e chirurgico

Sempre dal “Papiro Ebers” apprendiamo che, come droga, si usava l’oppio, chiamato shepen e importato da Cipro, sia per il dolore che per il pianto dei bambini. In alcune raffigurazioni della tomba di Sennedjem, è stata riconosciuta la mandragola, in egizio rermet, usata come sonnifero e per le punture d’insetto. Esisteva anche la cannabis, shenshenet, che veniva somministrata, in particolare per via orale e per inalazione, ma anche per via rettale e vaginale, mentre l’elleboro era usato come vero e proprio anestetico, ma in maniera empirica e con dosaggi errati tanto che spesso il malato passava direttamente dalla narcosi alla morte.

Tra le terapie vi erano anche i massaggi, come rappresentato nella mastaba di Khnumhotep, che venivano usati per vene varicose e per lenire numerose patologie il cui sintomo principale era il dolore. Era conosciuta la tecnica delle inalazioni che erano composte da mirra, resine, datteri e altri ingredienti. Ma per i morsi velenosi dei serpenti, gli Egizi, non avevano altra cura se non quella di affidarsi alle dee Iside e Mertseger recitando le litanie magiche.

L’antico popolo della Valle del Nilo ci ha lasciato più di mille ricette ma di sicuro qualcuna è solo molto fantasiosa come quella che, per combattere l’incanutimento consigliava l’uso di un topo bollito nell’olio. Olio di palma, ovviamente, perché l’ulivo arriverà molto più tardi, con la dinastia tolemaica.

Nel tempio di Kôm Ombo, nell’Alto Egitto, vicino ad Assuan, sono raffigurati, sulla parte nord del recinto esterno, strumenti medici e chirurgici quali bendaggi, seghe, forbici, bisturi, forcipi e contenitori vari per medicamenti. Ma recentemente si è ipotizzato che fossero solo attrezzi rituali per cerimonie religiose. Accanto allo strumentario, vi sono alcune ricette mediche con tanto di componenti e dosi. Ma la chirurgia, non si sviluppò come la medicina. Forse per scarse conoscenze fisiologiche e per carenza di guerre. A conferma di ciò, sia il “Papiro Ebers” che il “Papiro Smith”, detto anche “Libro delle ferite”, citano solo dati clinici, pur molto precisi, ma non descrivono interventi chirurgici. Incredibilmente, vista la pratica religiosa di imbalsamare i morti, vi era scarsa conoscenza dell’anatomia e della chirurgia specialistica. Gli Egizi, infatti, intervenivano chirurgicamente solo in piccole patologie, come foruncoli o ascessi, o direttamente con l’amputazione di arti. Inoltre, pur avendo un’apparente rigorosità, tutte le pratiche mediche dovevano essere accompagnate da specifiche formule apotropaiche.

Gli Egizi avevano, comunque, capito l’importanza dell’igiene. Durante il giorno, si lavavano spesso le mani, e facevano la doccia giornaliera, con acqua versata dalle brocche, che erano anche parte integrante del corredo funerario. Non usavano mai acqua stagnante perché poteva contenere ogni genere di larve. Curavano l’igiene di bocca e denti che veniva effettuata con bicarbonato. Anche unghie e capelli erano lavati quotidianamente e poiché non esisteva il sapone venivano usati oli profumati e complessi unguenti che rendendo la pelle integra, e quindi non screpolata, impedivano l’introduzione, nell’organismo, di germi e batteri. Oltre alle brocche per la doccia, vi erano anche le vaschette per pediluvi raffigurate anche, come geroglifico vero e proprio, nella tomba di Rahotep.
Vi era l’usanza di togliere i sandali per entrare nei templi che nasceva dall’esigenza di non introdurre impurità dall’esterno. Questa regola valeva anche per il sovrano e nella Tavolozza di Narmer, un uomo porta in una mano i sandali del re e nell’altra una piccola brocca con acqua. Aveva il titolo di “Sandalaio”.

In Egizio il medico era detto sunu; il primo e più famoso fu di sicuro Imhotep e anche i sacerdoti potevano occuparsi di medicina come Sabni, che godeva del titolo di “Medico capo e scriba della parola del dio”. Troviamo anche Hesyra, il primo medico dentista con il titolo di “Capo dei dentisti e dei medici” nonché scriba, come scritto nella sua tomba a Saqqara.

E quando Ippocrate passeggiava con i suoi adepti nell’isola di Coo, disquisendo sui mali dell’umanità, altro non faceva che trasmettere il sapere degli Egizi che, con i loro papiri, hanno tramandato i primi fondamenti della medicina e chirurgia.

Lo staff del docente di antropologia Brunetto Chiarelli svolse un’accurata indagine sulle mummie per determinare il gruppo sanguigno e quindi una paleogenetica per gli antichi egizi, sfruttando il metodo Pickworth che ha consentito di rilevare tracce di emazie; la conclusione è stata che il sangue del 40 per cento delle mummie appartiene al gruppo A, mentre il 22 per cento al gruppo B e al gruppo 0 e solo un 17 per cento al gruppo AB.



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