Vincenzo Romaniello- Italia Germania sola andata
Mentre camminavo tra le ampie vie che circondano il centro della mia città, vie che disegnano cerchi sempre più ampi danzando sulle ripide colline che formano un ostile paesaggio urbano, dove i palazzi si stagliano malfermi, in una perenne battaglia con le raffiche del vento invernale che, anno dopo anno, sbocconcellano porzioni sempre più vaste di intonaco dalle pareti esterne dei palazzi, alzai lo sguardo dai sampietrini sparsi disordinatamente sul marciapiede, e la mia attenzione fu catturata da un enorme cartellone pubblicitario che occupava gran parte di uno dei muri a lato della strada. Poi, mentre camminavo dalla palestra alla scrivania di casa, seguendo il mio abituale tragitto che fende la città per intero, da monte a valle e su di nuovo a monte, talvolta sfruttando il tanto vantato sistema di scale mobili più lungo d’Europa, apparentemente non sfiorato dalla vista del cartellone pubblicitario, feci una scoperta che non mi avrebbe lasciato indifferente questa volta: infatti, i cartelloni raffiguranti la stessa pubblicità erano non uno, ma due, anzi tre! Questi cartelli, affittati da un’autolinea specializzata in trasporti sulla lunga distanza, mostrano alcuni autobus rossi a due piani molto londinesi tra quelli che compongono la loro flotta, con passeggeri stanchi ma felici che raccolgono le loro borse e ronzano intorno al veicolo con eccezionale, probabilmente finta, sorpresa, come se questi autobus facessero la spola tra la Terra e la Luna.
Ma non è questo il caso. Infatti questi autobus partono da città molto a sud di Roma, raccattando persone in ogni città e ad ogni grande svincolo stradale, persone che salgono a bordo con le loro valigie piene di speranza, e si imbarcano su autobus che risalgono tutto lo “Stivale”, scaricando poi i passeggeri almeno 1500 kilometri più a nord.
Noto sempre uno di questi autobus entrare la mia città ogni sabato ad ora di pranzo, pünktlich come sempre, con una stuzzicante scritta “Germania” per indicare la destinazione. Svizzera, Germania e Belgio fanno parte di un fenomeno che può essere considerato a tutti gli effetti una migrazione. Zurigo, Monaco, Stoccarda, Colonia, Liegi sono solo alcune tra le città interessate dal tragitto di questi autobus. E questi nomi, questo fenomeno, non suonano affatto nuovi alle orecchie di coloro i quali hanno già fatto lo stesso viaggio 50 anni prima, e tutto ciò non è neppure molto rassicurante, considerato che le ragione che portarono quelle masse alla “fuga” sono le stesse di adesso.
Quindi una domanda sorge spontanea: stiamo messi meglio oggi che negli anni ’50 e ’60? Inoltre, il fatto che questi spazi pubblicitari figurino tra i più richiesti dai titolari di attività economiche all’interno dei confini cittadini, poiché si trovano ad un tiro di schioppo dalla piazza principale, con un alto numero di automobili e autobus con a bordo cittadini e pendolari circolanti nei pressi dei cartelloni ad ogni ora del giorno, rende il tutto ancora più preoccupante. Ma è solo una coincidenza? Non è mai una coincidenza, come non lo era quando tutti gli spazi pubblicitari della città erano stati comprati da proprietari di negozi compro-oro, ignorati da molti, ma in realtà simbolo della decadenza in cui la mia città stava piombando e di quanto vuote fossero, e sono ancora, le tasche dei miei concittadini.
Anche questi nuovi cartelloni non fanno un’eccezione: lassù, affissi al muro, ci sono le necessità più grandi della città, cosa davvero passa per la testa delle persone, con quei cartelloni a mostrare alle persone una possibile via d’uscita dai loro guai più grossi, la cosiddetta “manna dal cielo”. La campagna pubblicitaria lanciata dalla compagnia di trasporti mostra come, se fino a due anni fa, per quanto povere in canna, le persone erano ancora speranzose di una ripresa economica e di una rifioritura del mercato del lavoro, ora l’unica soluzione per queste persone è fare le valigie ed emigrare, in altri termini “andare via”. Questo sarebbe il colpo letale per un territorio messo in ginocchio da corruzione, povertà, mafia, inquinamento, solo per nominare alcune delle piaghe del Meridione e della Basilicata in particolare.
Uomini e donne di qualunque estrazione sociale, di ogni età fanno quest’enorme scommessa in un tentativo disperato di mettere in salvo le vite proprie e dei propri figli dalla povertà. Le loro speranze sono spesso ravvivate da legami lunghi mezzo secolo con parenti che hanno fatto la loro stessa scelta tanto tempo prima, i cui figli sono pronti in molti casi a dare una mano ai nuovi migranti, trovando loro lavoro in cantieri e fabbriche, aiutandoli ad ambientarsi in nuovo Paese che presenta molte difficoltà a primo impatto. D’altro canto, però, non tutti hanno legami di sangue oltre le Alpi, quindi molti sono costretti a riaffrontare un ancor più doloroso viaggio verso casa, con la consapevolezza di aver fallito. Le storie di chi non ce l’ha fatta trattengono molti dal tentare l’impresa.
Questo non è una proiezione iper-pessimistica della realtà, ma la realtà stessa nella quale la mia regione si è trovata ad essere, una nave che affonda, portando negli abissi con sé tutti i passeggeri. Queste storie non si trovano sulle prime pagine dei giornali, eppure tra tutte le notizie sono di sicuro quelle più significative, e come spesso accade per cambiamenti sociali così vasti questi si riconoscono solo tramite cartelloni pubblicitarie o altre espressioni fin troppo normali e quotidiane, non si vedono in televisione.
Facendo parte di una generazione che si appresta ad affrontare queste sfide e a fare una scelta per il futuro, pervasa dal sentimento di essere nata al posto sbagliato nel momento sbagliato, mi sono reso conto tutto a un tratto, mentre guardavo quel cartellone pubblicitario che potevo essere io, come qualunque altro dei miei coetanei, tra le persone raffigurate sul cartellone, appena sceso da quell’autobus rosso. E mentre distoglievo lo sguardo dai visi di quelle persone, che mi fissavano in maniera così intrigante, ho posto gli occhi sulle macchie di paesaggio naturale che compongono un quadro meraviglioso che trova espressione tra gli spazi tra gli edifici, stagliandosi sulla campagna all’orizzonte, convogliando in sé tutte le sofferenze del migrante per cosa si lascia alle spalle.
Vincenzo Romaniello
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