Antonio De Lisa- Monologo
La scena è disadorna: una sedia, un piccolo soppalco, un palo tronco. La luce segue i movimenti dell’attore, ma sempre di taglio: o di lato o da dietro. L’attore è completamente vestito di nero. Ci sono tre elementi geometrici disegnati su un piano leggermente rialzato alle spalle dell’attore, realizzati con carta plastificata riflettente.
In piedi
Quando si è in quota la splendente luminosità del cielo rivela le sue ombre.
E’ come vedere le radici del colore originario a qualcuno che si è appena tinto i capelli.
L’azzurro lascia trasparire il buio della notte cosmica, come un accenno al di là del confine.
Più che una minaccia sembra quasi una consolazione: godetevi questa soffice bambagia di aria respirabile.
Anche se, a dire il vero, non la meriteremmo.
Pausa
Seduto
Ti ricordi di quella volta che sono scappato di casa per andare a sentire i Who?
Avevo 16 anni.
Fortuna che non hai chiamato la polizia.
Ti fidavi?
Ti ricordi di quella volta – sarà stato intorno al 1973- che sono partito per stare in giro per l’Europa per un mese e non ti ho telefonato. Mai. Non avevo gettoni. A 17 anni.
Fortuna che non ti hanno ricoverato con un infarto…
E quando mi presentai alle 5 di mattina, dopo aver sbagliato tre treni e mezzo ubriaco? Sono io a ricordare le tue lascrime, Mutter…
Pausa
Gira intorno al palo
Forse non credevi ai tuoi occhi, ma quella fu una vera perquisizione della polizia dopo una manifestazione studentesca. Sequestrarono i miei manifesti della Rivoluzione russa e girovagarono anche tra le tue cose.
Ammirai il tuo sangue freddo e la mancanza di commenti dopo che se furono andati. Mutter.
Cazzo, stavi dalla mia parte. Mutter.
Ero mezzo sfracellato per un incidente con la moto. Avevo tutta la parte sinistra grattuggiata. Allora, cominciasti a raccontarmi storie, come facevi quando ero piccolo.
Pausa
Che narratrice fantastica, Mom.
Pausa
Sul soppalco
Le ondate ventose del Maestrale portano spesso mari in tempesta, con violente mareggiate. Rinfrescano l’aria ma fanno ribollire e spumeggiare le acque.
In prossimità della costa, se il vento che spira è di intensità adeguata, si possono ammassare notevoli masse d’acqua che, non potendo rifluire verso il largo a causa del vento contrario, danno luogo a forti correnti che scorrono parallelamente alla costa.
In questi casi il mare sembra un fiume vorticoso e fare il bagno è un rischio mortale.
Il mare col vento di maestrale ti toglie la sabbia da sotto i piedi. E’ una mare predatore.
Potente.
Infedele.
Basta pochissimo per sentirne il richiamo. Tira come un animale impazzito.
In piedi. Fermo
Il giornale di oggi porta la notizia di un uomo di 45 anni annegato a pochi chilometri da qui. Si era tuffato per salvare tre ragazzi in difficoltà, ma non ce l’ha fatta. E’ annegato sotto gli occhi della moglie incinta di sette mesi. Una tragedia, la cui eco risuona alle spalle di questo mare.
In piedi. Camminando
Lo stesso giornale, nelle pagine interne, parla del mito di Kamaraton, per spiegare l’origine del nome Camerota. Mi colpisce l’involontario accostamento. La tradizione antica, in riferimento alle sirene dell’Odissea, concorda sul numero fissato a tre. Per quanto riguarda i nomi, invece, ne tramanda due gruppi di tre. Il primo gruppo formato da Partenope, Leucosia e Ligea, risale alla tradizione occidentale. Il Secondo gruppo formato da Molpe, Theilxinoe ed Aglaophone, risale ad una tradizione omerica.
Leucosia, secondo una ipotesi comunemente ammessa, è l’equivalente di Leucotea, divinità marina venerata, secondo Aristotele, anche ad Elea. Quindi ai Focei di Elea si potrebbe attribuire la diffusione in occidente del mito delle sirene.
Molpe, una delle sirene della tradizione omerica, è stata messa in relazione con Molpa e quindi localizzata nei pressi di Palinuro. Indubbiamente è singolare trovare localizzate due sirene, Leucosia e Molpe, nei pressi dei due promontori (punta Licosa e Capo Palinuro) che costituiscono i limiti del golfo e probalbilmente anche i confini del territorio di Elea.
Pausa
Torno a mettere i piedi in acqua passeggiando sulla riva. Solo che oggi il vento è cambiato. Oggi spira lo Scirocco che fa bollire le cellule, che ti schiaccia al suolo in una cappa incandescente.
Col Maestrale la forza è orizzontale e avvolgente, con lo Scirocco la forza preme dall’alto, senza scampo.
Il vento caldo proveniente da Sud-Est porta contemporaneamente umidità dal mare e polvere dal nord Africa.
Toglie le forze, ingarbuglia i pensieri.
Pausa
Il vento lo devi provocare con una leggera velocità. Ti devi far insinuare, sotto il casco, sul collo.
Vento caldo. E la città ti scorre accanto come un film.
Anche i rumori del traffico non ti danno più fastidio.
Rumori complici.
Il vento ti parla, soprattutto in curva, sinuoso…
Il mare è più quieto, ha sfogato la sua furia.
Le sirene tacciono.
Ma l’immagine della tempesta non si è sbiadta.
Il mare in tempesta sembra l’immagine del caos.
Spumeggiante come un toro impazzito.
Ma anche nel caos c’è una perfezione naturale, quella che siamo così incapaci di vedere.
E’ lì che si ascolta il respiro possente della natura.
Mi è capitato di accorgemene proprio mentre rischiavo di annegare, in un pomeriggio di follia.
La sensazione bruciante di non farcela toglieva il respiro, in onde che si facevano sempre più alte.
Fortuna che avevo un amico vicino, che continuava a gridare nei flutti, ma non capivo quello che diceva.
Poi finalmente capii: “Lasciati andare!”.
Come, lasciarsi andare?
Verso il largo, verso la morte?
Pausa
Ma aveva ragione.
Seduto
Quel mare è un golfo aperto. Le correnti avrebbero salvato il naufrago dopo un allontanamento che descriveva una parabola. Mi portarono a riva cinque chilometri più a sud, verso gli scogli.
Stanco, sfinito, ma con la sensazione di aver imparato una cosa importante.
Anneghiamo se pretendiamo di afferrare, fronteggiare insensatamente le avversità.
Se le assecondi, ti salvi.
Ti salvi se hai la saggezza di aspettare che le cose vengano verso di te. Come quella del mio amico.
Pausa
In piedi. Fermo
Se per il parentado era un disonore avere un nipote comunista non lo davi mai vedere. Per te, quel figlio strano avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, l’importante era che avesse un sogno, un ideale, una spinta mostruosa per andare avanti, anche quando era triste…
In piedi. Camminando
Lo vedesti sorridere quel tuo figlio musone.
Era raro. Gli avevi cucito dietro la maglietta nerazzurra il numero 11. Il numero del piede sinistro di Dio. Glielo avrei detto, molti anni dopo. Con una risata.
Silenzio
Sul soppalco
Nella libera atmosfera non sembra ci siano ostacoli, eppure, se si osserva bene, ci sono dei guardiani, garbati e gentili come capi-stazione di una volta, impeccabilmente addobbati al passaggio del sole (per i fusi orari è indifferenete che abbia ragione Tolomeo o Copernico).
E’ come un marcia marziale da parata.
Il carro del sole non è mai in ritardo.
E i guardiani sono lì, impettiti e austeri a segnalare alla zona interessata l’inevitabile tramonto.
Pausa
Il suono del fondo cosmico è impressionante.
L’universo è solo apparentemente silenzioso, in realtà è pieno di suoni, che arrivano dai suoi primi istanti di vita, il Big Bang.
E’ un fruscio costante, con un ritmo ripetitivo. E’ possibile ascoltare il suono delle stelle, delle Pulsar, della radiazione cosmica.
Il più suggestivo è il suono dell’aurora, fischi in tonalità crescenti, come il rumore del vento. “L’infinito è per sé solo da noi incomprensibile, come anco gl’indivisibili; or pensate quel che saranno congiunti insieme” ha scritto Galileo Galilei.
Silenzio
Mi hai regalato ancora un’altra libreria e non ti ho nemmeno detto grazie. Ti è bastato vedere la contentezza nei miei occhi.
Rara.
Quel dono che ancora riesci a farmi. Tre le pochissime, i pochissimi. Ma non è colpa mia.
Ah, dimenticavo: Grazie!
Pausa
Si alza e cammina
In omaggio a una nuova moda modernista hanno tolto la geografia dagli istituti superiori e ridotta a sociologia nelle medie. Compiango tutti quei ragazzi che non sanno più cosa sia il volo dell’immaginazione sulle carte e sulle rotte.
Noi l’abbiamo provato e sappiamo riconoscere un fiume quando guardiamo giù dall’aereo. I nostri discendenti, no! Gli è stata ristretta la spazialità. Forse perciò non hanno più nemmeno la concezione del tempo.
Le carte parlano, discrete, di mondi lontani e non di rado inaccessibili. Hanno sempre un po’ l’aria di essere state disegnate da un Indiana Jones in versione metafisica: vuoi mettere la fervida immaginazione di chi ha battezzato “Circolo polare antartico” quell’anello alla fine del mondo?
I vulcani hanno una grande fantasia sonora.
A Stromboli per esempio è possibile ascoltare il rombo dell’eruzione, il rotolamento di grandi massi in mare, l’accoglienza dei macigni nelle acque.
Sull’Etna la lenta avanzata della lava che via via si raffredda.
Fa un rumore come di uno scalpiccio sulla ghiaia in una notte di luna piena, con il vento delle cime che si distende come un tappeto di violini e di viole.
Questo strofinio minerale viene incontro animato dalla tranquilla potenza della conquista e dell’invasione.
La potenza della natura.
Pausa
Non so se vi è mai capitato di assistere a un vero, grande incendio boschivo.
Spesso i roghi di grandi proporzioni vengono paragonati a uno squarcio di inferno e forse il paragone è in difetto (da parte degli incendi). Una volta fummo avvolti letteralmente da un incendio che si distendeva per 15 chilometri. Dall’alto di una grande terrazza assistemmo impotenti allo smarrimento della ragione.
In un incendio ci si trova come in una foresta incantata, l’orientamento è allucinatorio, il crepitio avvolge e serra in una morsa letale di fumi e di ardori.
Nel respiro affannoso intravedi solo fiammelle di arbusti, scricchiolii di rami, fiammate improvvise di fronde.
Il calore della distruzione.
Silenzio
Si siede
Non è per il tuo modo fantastico di cucinare il pesce che voglio trovarti lì dove ti trovi. No, è per quel senso di pace che cerco tra questa scontentezza perenne. Un’isola di tranquillità.
Parlando del più e del meno, col sole che lambisce il nostro terrazzo.
Per l’eternità.
Ti ricordi, mamma, ma non quella lì, quell’altra, la madre dei miei figli, arrivati come un dono.Ti ricordi quella notte, la notte della nascita del primo angelo? Tutte e due imbranati come uccellini spaventati. Dimenticai di prendere praticamente tutto e ti accompagnai in ospedale sguarnita come una viandante… ma poi fu mattina e qualcuno mi disse, un’infermieri angelicata, corri, corri che sta per nascere e il cuore mi si fermò in petto, ma prese a volare, come te.
Silenzio
Camminando
Sulla facciata della biblioteca di Celso, a Efeso, che ora è in Turchia ma un che un tempo era stata la città natale di Eraclito, sono scritte queste due parole, separate da un’arcata: Epistéme (scienza), Sophia (sapienza).
Non ho capito se Celso le intendeva come due parole complementari o opposte. E’ probabile che Celso concepisse un nesso. Da allora in poi la divaricazione è aumentata.
Il problema è che il concetto di Sophia è talmente labile che è possibile riferirsi ad esso con la stessa problematica ironia che Freud usava per la psicoanalisi: tra sublime e ridicolo non c’è che un passo. Come evitare di cadere?
Pausa
Pausa
Delle numerose forme di nomadismo alcune curano, altre distruggono.
C’è una grande letteratura sull’argomento. Psicoanalisti e filosofi vi riflettono da secoli.
Il nomadismo meditativo ti aiuta a controllare stress e ansia: non ti devi mai preoccupare, di nulla. C’è un problema? Lo supererai. Hai perso un treno, prendi il prossimo. (Pausa) Tu non sei veramente padrone del tuo tempo-spazio, ti devi abituare ad adattarti alle circostanze come un giunco.
Più ti adatti più entri veramente in te stesso e percepisci di che stoffa sei fatto. Se appena appena scopri che la tua stoffa è anche solo discreta, (Pausa) assapori la felicità.
FINE
ANTONIO DE LISA
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