La scoperta di un nuovo mondo

La scoperta di un nuovo mondo

Le prime esplorazioni europee ed il tentativo di conquista spagnola (1520-1584)

Copia della Nao Victoria, Prima nave a esplorare le coste della Patagonia nel 1520.

La Patagonia deve essere stata vista per la prima volta dagli europei nel 1520, con la spedizione di Ferdinando Magellano, che nel suo passaggio lungo il litorale ha dato il nome a molte delle zone più caratteristiche; Golfo San Matias, Capo delle undicimila Vergini (ora semplicemente capo Virgenes) ed altri. Tuttavia, è inoltre possibile che i navigatori precedenti come Amerigo Vespucci abbiano raggiunto la zona (nel suo viaggio del 1502 probabilmente raggiunse quelle latitudini), comunque la sua omissione nel descrivere esattamente le caratteristiche geografiche principali della regione, come il Río de la Plata, fa sorgere un dubbio sul fatto che sia realmente arrivato in quelle zone.

Rodrigo de Isla, partito da San Matias nel 1535 verso l’interno della regione, fu inviato da Simón de Alcazaba y Sotomayor (governatore della Patagonia occidentale nominato dal re Carlo V di Spagna), si presume sia stato il primo europeo ad aver attraversato la grande pianura della Patagonia. Se gli uomini al suo seguito non avessero ammutinato, avrebbe potuto attraversare le Ande per raggiungere il lato cileno.

Pedro de Mendoza, nominato governatore della regione, visse a Buenos Aires, ma non estese le sue esplorazioni al sud. Alonzo de Camargo (1539), Juan Ladrilleros (1557) e Hurtado de Mendoza (1558) hanno contribuito all’esplorazione delle coste occidentali. Sir Francis Drake compì un viaggio nel 1577 lungo il litorale orientale, attraversando lo stretto di Magellano e dirigendosi verso il nord del Cile ed il Perù. Ma la geografia della Patagonia deve più a Pedro Sarmiento de Gamboa (1579-1580), che, dedicandosi particolarmente alla regione di sud-ovest, ha effettuato indagini attente ed esatte. Gli insediamenti da lui fondati, Nombre de Dios e San Felipe, furono trascurati dal governo spagnolo. Il secondo insediamento, che fu abbandonato prima, venne denominato da Thomas Cavendish che lo visitò nel 1587, Puerto Hambre per via dello stato di desolazione in cui si trovava. Il distretto in prossimità di Puerto Deseado, esplorato da John Davis, è stato preso in possesso da Sir John Narborough in nome del re Carlo II d’Inghilterra nel 1669.

I giganti della Patagonia: la prima percezione degli europei

Illustrazione del 1840 degli indigeni della Patagonia nei pressi dello Stretto di Magellano; da “Voyage au pole sud et dans l’Oceanie …..” dell’esploratore francese Jules Dumont d’Urville.

Secondo Antonio Pigafetta, uno dei pochi superstiti della spedizione di Ferdinando Magellano, Magellano diede il nome Patagão (o Patagoni) agli abitanti che incontrarono in quella regione, la Patagonia. Anche se Pigafetta non descrive come si arrivò a questo nome, le interpretazioni popolari seguenti hanno dato credito al significato terra di giganti. Tuttavia, questa etimologia è discutibile. Il termine molto probabilmente è derivato da un nome, Patagón, una creatura selvaggia descritta da Primaleón di Grecia, l’eroe del romanzo spagnolo nel Racconto di cavaliere errante, di Francisco Vázquez. Questo libro, pubblicato nel 1512, era il seguito del romanzo Palmerín de Oliva, molto conosciuto allora e lettura preferita di Magellano. Magellano percepì i nativi, vestiti di pelli e cibantisi di carne cruda, come il Patagón incivile citato nel libro di Vázquez.

L’interesse per quella regione fu alimentato dai racconti di Pigafetta, nei quali si descriveva l’incontro con gli abitanti locali, che sosteneva misurassero circa 9-12 piedi di altezza –…così alto che abbiamo raggiunto soltanto la sua cintola-; da cui l’idea successiva che il termine Patagonia significasse terra dei giganti. Questa presunta esistenza dei giganti Patagoniani o di Patagoni si è infiltrata nella percezione europea comune di questa regione poco nota e distante, che fu alimentata ulteriormente dai rapporti successivi di altri esploratori e viaggiatori famosi come sir Francis Drake, che sembrò confermare queste voci. Le mappe del nuovo mondo a volte hanno riportato in legenda il termine regio gigantum (regione dei giganti), riferita alla Patagonia. Il concetto e la credenza popolare hanno persistito per i 250 anni successivi e furono rinvigoriti nel 1767, dopo una pubblicazione da parte di un ufficiale anonimo del commodoro John Byron dal titolo Viaggio recente di circumnavigazione globale dell’HMS Dolphin. Byron ed il suo equipaggio navigarono per un certo tempo lungo le coste della Patagonia e la pubblicazione sembra dare prova dell’esistenza di questi giganti; la pubblicazione si è trasformata in un best-seller e migliaia di copie furono vendute ad un pubblico disposto all’acquisto. Anche altre pubblicazioni precedenti sulla regione furono ristampate frettolosamente (persino quelle in cui non si accennava affatto all’esistenza dei giganti).

Tuttavia, la mania del gigante patagoniano finì alcuni anni dopo, quando furono redatte alcune pubblicazioni più serie. John Hawkesworth, nel 1773, pubblicò per conto del Ministero della marina un compendio sui possedimenti inglesi nel sud, nel quale erano raccolte pubblicazioni, comprese quelle di James Cook e di John Byron. Da questa pubblicazione, ricavata dai loro diari ufficiali, fu evidenziato che l’equipaggio di Byron incontrò persone non più alte di due metri; alti forse ma non giganti. L’interesse presto si abbassò, anche se la consapevolezza e la credenza nel mito hanno persistito persino nel ventesimo secolo[9].

Le esplorazioni scientifiche (1764-1842)

Nella seconda metà del XVIII secolo, la conoscenza europea della Patagonia fu ulteriormente accresciuta grazie ai viaggi di John Byron (1764-1765), Samuel Wallis (1766, a bordo dell’HMS Dolphin, sul quale Byron aveva navigato) e Louis Antoine de Bougainville (1766). Thomas Falkner, un gesuita che visse circa quaranta anni in quelle regioni, pubblicava il suo Descrizione della Patagonia (Hereford, 1774); Francisco Viedma fondò Carmen de Patagones ed Antonio percorse la regione interna fino alle Ande (1782); Basilio Villarino esplorò il Rio Negro (1782).

Due indagini idrografiche lungo le coste furono di importanza fondamentale: la prima spedizione (1826-1830) fu compiuta con l’HMS Adventure e con l’HMS Beagle sotto il comando dell’ammiraglio Phillip Parker King. La seconda spedizione (1832-1836) fu compiuta con l’HMS Beagle sotto il comando di Robert FitzRoy. Alla seconda spedizione prese parte Charles Darwin che passò molto tempo nello studio delle zone interne della Patagonia, accompagnandosi nelle sue spedizioni ai gauchos del Río Negro e unendosi a FitzRoy in una spedizione di 320 chilometri lungo il corso del fiume Santa Cruz.

Espansione cilena ed argentina (1843-1902)

Seguendo le istruzioni di Bernardo O’Higgins, il presidente cileno Manuel Bulnes inviò una spedizione nello stretto di Magellano che fondò Fuerte Bulnes in 1843. Cinque anni più tardi, il governo cileno spostò l’insediamento principale verso la posizione attuale di Punta Arenas, diventando il più vecchio insediamento permanente nella Patagonia del sud. La creazione di Punta Arenas era strategica per la dominazione del Cile sullo stretto di Magellano.

Nella metà del XIX secolo le nuove nazioni indipendenti dell’Argentina e del Cile hanno iniziato una fase aggressiva di espansione verso il sud, anche nei confronti delle popolazioni indigene. Nel 1860, un avventuriero francese Orelie-Antoine de Tounens si autoproclamò re del Regno di Araucania e Patagonia e del popolo Mapuche. Il capitano George Chaworth Musters, nel 1869 viaggiò nella regione con un gruppo di Tehuelche, dallo stretto di Magellano al Manzaneros nel nord-ovest, raccogliendo moltissime informazioni sulla gente e sul il loro modo di vivere. Nel 1870 la Conquista del Deserto fu una campagna discutibile condotta dal governo dell’Argentina, eseguita principalmente dal Generale Julio Argentino Roca, per sottomettere o per sterminare le popolazioni autoctone del sud. Dalla metà del 1880 gli obiettivi della campagna erano stati, in gran parte, realizzati.

Nel 1885 partì una spedizione volta all’estrazione mineraria condotta dall’avventuriero rumeno Julius Popper che, arrivato nella Patagonia del sud alla ricerca dell’oro, lo trovò nelle regioni della Tierra del Fuego. I missionari ed i coloni europei arrivarono nel XIX e nel XX secolo, insieme ad una comunità di lingua gallese che si insediò della valle di Chubut. Durante i primi anni del XX secolo, il confine fra le due nazioni, Argentina e Cile, nella Patagonia è stato stabilito tramite la mediazione britannica. Ma ha subito, da allora, molte modifiche e vi è ancora una linea (di 50 chilometri) dove il confine non è stato stabilito (Hielos Continentales).

Fino al 1902, la maggior parte di Patagonia è stata abitata da Chilotes che lavoravano nell’allevamento del bestiame. Prima e dopo il 1902, quando i confini sono stati stabiliti, molti Chilotes sono stati espulsi dal territorio dell’Argentina. Questi operai hanno fondato il primo insediamento cileno in quella che è ora la Regione di Aysén; Balmaceda. Mancando di buoni pascoli dal lato cileno, coperto dalla foresta, gli immigrati diedero fuoco alle foreste con incendi che durarono più di due anni.

La “conquista del deserto”

Fino agli ultimi decenni del secolo XIX gli indios della Patagonia e della Terra del Fuoco scorazzavano liberi dentro ai loro territori seguendo le tracce del guanaco che forniva la base della loro alimentazione, implementata poi con la raccolta di conchiglie di mare, frutti selvatici, uova di uccelli. I primi bianchi arrivarono in Terra del Fuoco al seguito di una spedizione militare comandata da Ramon Lista. Con la spedizione c’erano alcuni missionari salesiani. In breve, portarono le pecore dalle isole Faulkland e il governo argentino distribuì le terre. Arrivarono pure i cercatori d’oro e in particolare un ingegnere rumeno: Julius Popper. Ma l’oro in breve tempo esaurì e i cercatori d’oro, venuti perlopiù dall’isola di Brac’ in Croazia, si rigenerarono come cacciatori di indios. I proprietari terrieri, estancieros in prevalenza inglesi, pagavano una lira sterlina per ogni coppia di orecchie di indios consegnate dal cacciatore. Arrivarono i missionari che fondarono la prima missione a Rio Grande. Volevano difendere gli indios per evangelizzarli ma gli indios contraevano malattie contro le quali non avevano difese immunitarie. Mentre gli indios della Terra del Fuoco perivano come mosche, in Patagonia il governo faceva piazza pulita delle tribù di tehuelche e mapuche che “infestavano” gli insediamenti dei coloni attaccandoli con i loro malones. La conquista del deserto durò il giro di un anno.

La Conquista del deserto (in spagnolo: Conquista del desierto) fu una campagna militare portata avanti dal governo argentino, e guidata principalmente dal generale Julio Argentino Roca negli anni 1870, per strappare la Patagonia al controllo delle popolazioni indigene.

Recenti studi ritraggono la campagna come un vero e proprio genocidio perpetrato dall’Argentina contro le popolazioni indigene, mentre altre fonti vedono nella campagna la volontà di soggiogare quei gruppi che si rifiutavano di sottomettersi alla dominazione dei bianchi[2].

La questione, solitamente riassunta nella frase “Civilizzazione o genocidio?” è ancora oggi oggetto di dibattito.

All’alba del nuovo secolo gli indios della Patagonia e della Terra del Fuoco erano stati quasi completamente annientati.

L’arrivo dei colonizzatori spagnoli sulle rive del Río de la Plata e la fondazione della città di Buenos Aires, durante il XVI secolo, portarono direttamente ai primi confronti tra gli spagnoli e le locali tribù, principalmente i Pampas.

I dintorni di Buenos Aires vennero presi agli indigeni per essere utilizzati nell’allevamento del bestiame, il che provocò anche lo spostamento di molti degli animali cacciati dagli indigeni. Questi risposero liberando mucche e cavalli dalle fattorie e per rappresaglia i coloni europei costruirono fortezze e difesero le loro proprietà dagli attacchi degli indigeni.

La linea che divideva le fattorie coloniali e i territori liberi si spostò sempre più lontano da Buenos Aires; alla fine del XVIII secolo il fiume Salado divenne il confine tra le due civiltà. Molti indigeni vennero costretti ad abbandonare le proprie tribù per lavorare nelle fattorie e si mischiarono alla popolazione bianca; in questo modo nacquero i gauchos.

Dopo l’indipendenza dell’Argentina nel 1816 si ebbero molti conflitti politici interni tra le varie province, ma una volta appianati ci fu sicuramente una certa urgenza nell’occupare effettivamente i territori rivendicati dalla giovane repubblica, così come nell’incrementare la produzione nazionale e nell’incentivare l’immigrazione offrendo nuove terre.

Nel 1833, offensive coordinate di Juan Manuel de Rosas nella provincia di Buenos Aires e di altri capi militari nella regione del Cuyo, tentarono di sterminare le tribù resistenti, ma solo Rosas ottenne qualche successo.

La decisione di progettare ed eseguire la “conquista del deserto” venne probabilmente innescata nel 1872 dall’attacco di Cufulcurá e dei suoi 6.000 seguaci, alle città di General Alvear, Veinticinco de Mayo e Nueve de Julio, dove 300 criollos vennero uccisi e 200.000 capi di bestiame liberati.

La campagna di Adolfo Alsina

Nel 1875, Adolfo Alsina, ministro della guerra del presidente Nicolás Avellaneda, presentò al governo un piano che in seguito descrisse come avente l’obiettivo di popolare il deserto, e non di distruggere gli indiani.

Il primo passo fu quello di collegare Buenos Aires e i fortini (Fortines) con linee del telegrafo. Venne quindi firmato un trattato di pace con il cacique Juan José Catriel, che venne però rotto poco dopo, quando egli attaccò, assieme al cacique Namuncurá, le città di Tres Arroyos, Tandil, Azul, e altri villaggi e fattorie, in un attacco ancor più sanguinoso di quello del 1872.

Alsina rispose attaccando gli indigeni, costringendoli ad arretrare, e lasciando dei fortini sulla sua via verso sud per proteggere i territori conquistati. Fece costruire anche la trincea lunga 374 km chiamata Zanja de Alsina (“Trincea di Alsina”), che in teoria avrebbe dovuto servire come confine con i territori non conquistati. Con i suoi tre metri di larghezza e due di profondità, servì da ostacolo per il trasporto del bestiame rubato.

Gli indigeni continuarono la loro resistenza liberando il bestiame nella provincia di Buenos Aires e nel sud della provincia di Mendoza, ma trovarono difficile la fuga essendo rallentati nella marcia dagli animali, e dovendo affrontare le unità di pattuglia che li seguivano. Molti indigeni, che soffrirono non solo per la fame, ma anche per le rappresaglie dei bianchi, furono costretti ad unirsi alle fattorie per lavorare in cambio di cibo e riparo, ma altri resistettero. Dopo la morte di Alsina nel 1877, Julio Argentino Roca venne nominato nuovo ministro della guerra, e proseguì l’opera cominciata da Alsina.

La campagna di Julio Argentino Roca

Julio Argentino Roca, contrariamente ad Alsina, riteneva che l’unica soluzione contro la minaccia indigena fosse di “estinguerli, sottometterli o espellerli.

 

Territorio dell’Argentina prima della presidenza di Julio Argentino Roca

Alla fine del 1878 diede inizio alla prima ondata per ripulire l’area tra la trincea di Alsina e il Río Negro, con continui e sistematici attacchi agli insediamenti indigeni.

Nel 1879, con 6.000 uomini armati con i nuovi fucili Remington a retrocarica, forniti dagli USA, Roca iniziò la seconda ondata che raggiunse in due mesi Choele Choel, dove gli indigeni locali si arresero senza dare battaglia. Da altri punti, compagnie dirette verso sud si aprirono la strada verso il Rio Negro e il Neuquén, un emissario settentrionale del Rio Negro. Assieme, i due fiumi segnavano il confine naturale dalle Ande all’Oceano Atlantico.

Nel bacino di questi due fiumi vennero costruiti molti insediamenti, oltre a numerosi altri sul Colorado. Via mare vennero eretti alcuni insediamenti nel bacino meridionale del fiume Santa Cruz, principalmente da parte di coloni gallesi.

La campagna finale

Roca prese il posto di Nicolás Avellaneda come presidente. Egli riteneva imperativo conquistare al più presto i territori a sud del Río Negro, e ordinò la campagna del 1881 sotto il comando del colonnello Conrado Villegas.

Nel giro di un anno Villegas conquistò la provincia di Neuquén (arrivò fino al fiume Limay). La campagna continuò a spingere la resistenza indigena sempre più a sud, fino a combattere l’ultima battaglia il 18 ottobre 1884. L’ultimo gruppo ribelle di circa 3.000 uomini al comando dei caciques Inacayal e Foyel, si arrese due mesi dopo nell’odierna provincia di Chubut.

Letteratura

  • Di questi luoghi ha parlato Bruce Chatwin nel suo romanzo In Patagonia, punto di riferimento letterario per molti viaggiatori e turisti.
  • Anche Luis Sepúlveda ha scritto della Patagonia nel suo Patagonia express. Appunti dal sud del mondo.
  • Importante il contributo di E. Lucas Bridges, figlio di due tra primi coloni inglesi trasferitisi nella Terra del Fuoco che col suo ‘Ultimo confine del mondo’ ci lascia una testimoniaza storica unica e preziosa.

Bibliografia specifica

Popolo Mapuche

  • Aldunate, Carlos. 1997. Mapuche: gente de la tierra en Culturas de Chile. Santiago del Cile, Andrés Bello.
  • Bengoa, José. 1999. Historia del pueblo mapuche: siglo XIX y XX. Santiago del Cile, LOM.
  • Bengoa, José. 1999. Historia de un conflicto: los mapuches y el Estado en el siglo XX. Santiago del Cile, Planeta
  • Correa, Martín y otros. 2005. La Reforma agraria y las tierras mapuches. Chile 1962-1975. Santiago del Cile, LOM.
  • Federación Interancional de Derechos Humanos, Chile. La otra transición chilena, derechos del pueblos mapuche, política penaly protesta social en un estado democrático.
  • Hérnandez, Isabel. 2003. Autonomía o ciudadanía incompleta. El pueblo mapuche en Chile y Argentina. Santiago del Cile, Pehuén.
  • Human Rights Watch, Indebido Proceso: los juicios antiterroristas, los tribunales militares y los mapuche en el sur del Cile.
  • Ibarra, Mario. 2003. Algunas reflexiones y notas a propósito de algunos tratados, en éste momento, no reconocidos, firmados entre potencias coloniales o Estados actuales y pueblos indígenas. en Seminario de expertos sobre tratados, convenios y otros acuerdos constructivos entre los estados y los pueblos indígenas. Ginevra, Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.
  • Pinto, Jorge. 2001. De la inclusión a la exlusion: la formación del estado, la nación y el Pueblo Mapuche. Santiago del Cile, Instituto de Estudios Avanzados.
  • Saavedra Peléz, Alejandro. 2002. Los mapuche en la sociedad chilena actual. Santiago del Cile, LOM.
  • Verta, Ricardo, José Aywin, Andrea Coñuecar y Elicurá Chihauilaf. 2004. El despertar del pueblo mapuche. Nuevos conflictos, viejas demandas. Santiago del Cile. LOM.


Categorie:030- [LABORATORIO DI GEOGRAFIA VISUALE ], D03- XVI Secolo - Sixteenth Century

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