Le lingue turche
Generalmente quando si parla dí “turco” noi intendiamo il turco ‛osmànlï che è solo una varietà del gruppo meridionale della grande famiglia delle lingue turche, lingua che ha avuto però una speciale importanza letteraria e soprattutto politica per essere stata la lingua ufficiale dell’impero turco. Ma quando, invece, in linguistica, parliamo di lingue turche, intendiamo una famiglia di lingue genealogicamente affini, discendenti tutte da un’unica lingua, non esistente in nessun documento, ma sicuramente postulata: il prototurco. Questa famiglia viene chiamata anche, da alcuni studiosi, turco–tatara. La somiglianza fra le singole lingue turche è molto grande, talché non è stato difficile vedere la loro parentela genealogica. A causa peraltro della stessa grande somiglianza, specie nella struttura morfologica, e della scarsa conoscenza che abbiamo di molti dialetti, non possediamo ancora una perfetta classificazione delle lingue turche. La migliore classificazione proposta finora, e seguita anche per le singole voci riguardanti lingue turche nell’Enciclopedia Italiana, è quella di Giulio Németh, che divide le lingue turche in due sezioni secondo il trattamento di *j– iniziale prototurco. Avremmo così:
1. Lingue turche s– (e cioè quelle in cui il prototurco *j diviene s-); appartengono a questo gruppo due sole lingue moderne: il ciuvasso (v. ciuvasci, X, p. 509) e il jakuto (v. jakuti, XVIII, p. 648) e fra le lingue antiche il bulgaro-turco (v. bulgaria, VIII, p. 95), p. es., jak. sās “primavera”, ciuv. śur, ma osm (e altri dialetti j) jaz;
2. Lingue turche j– (quelle in cui il prototurco *j– rimane inalterato). Questo gruppo contiene tutte le altre lingue turche.
Questa bipartizione è migliore della seguente di A. Samoilovič:
I. Lingue turche r (quelle in cui il prototurco *-z– diviene r); apparterrebbe a questo gruppo fra le lingue moderne il solo ciuvasso e fra le lingue antiche estinte il bulgaro-turco: per es., ciuv. têxêr “9”, ma osm. doquz, ciuv. śara “anello” ‹ ant. bulg. turco *žürüy > ungherese gyürű), osm. jüzük. Parallelo al fenomeno del rotacismo bulgaro turco e ciuvasso è il lambdacismo per cui il prototurco*-š– dà, nel bulgaroturco e nel ciuvasso, l, mentre rimane in tutte le altre lingue turche, per es. ciuv. xêl “inverno”, ma osm. qyš, bulg. turco *dül ÷ ungh. dél “sud”, ma ciagh. tüš.
2. Lingue turche z che comprende tutte le altre, e anche il jakuto. Le lingue turche z, secondo il Samoilovičsi dividono in due sottogruppi: a) sottogruppo d, ḏ (p. es. adaq “piede”) e b) sottogruppo j (p. es. ajaq). Il primo sottogruppo si divide poi in tre sezioni: α) sezione t (jacuto ataq), β) sezione d (sojonico, karagassico, ecc., adaq) e γ) sezione z (koibalico, kamassino, ecc. azaq). Il secondo sottogruppo, che è il più vasto e che comprende anche l’‛osmānlï, si dividerebbe in due sezioni: α) sezione qalγan e β) sezione qalan, dalla forma del participio qal(γ)an “restato”. Alla sezione β apparterrebbe la lingua degli Oghuzi dell’XI sec. Ciascuna di queste sezioni si suddividerebbe poi in sottosezioni.
La classificazione del Samoilovič ha il difetto di separare il ciuvasso dal jakuto, lingue non certamente corrotte, come credeva il Radloff, ma di tipo arcaico e che hanno in comune non solo il caratteristico passaggio di *j– a s– (jakuto) o ś– (ciuvasso), ma anche molti altri importanti punti, come la riduzione a > ï (v. più oltre).
Sarà quindi preferibile seguire la bipartizione del Németh; bisognerà però addivenire a una classificazione delle numerose lingue turche j (per le lingue turche s ci basti rimandare alle voci ciuvasci, X, p. 509; jakuti, XVIII, p. 648).
Il Radloff (v. XXXVIII, 731-32) distingue, specialmente su basi geografiche, quattro grandi gruppi:
I. Dialetti orientali.
Le caratteristiche di questi dialetti sarebbero: una eccellente conservazione dell’armonia vocalica; la presenza di sole consonanti sorde in principio e in fine di parola e di sole consonanti sonore (ma questo secondo caso si limita di norma alle esplosive) in mezzo di parola. Il gruppo di dialetti orientali si divide in parecchi sottogruppi e varietà di cui nomineremo solo le principali: 1. il karagassico (qaraγas; v. karagassi, XX, p. 117) che è la varietà più orientale dei dialetti turchi della Siberia meridionale; il nome etnico significa “Kaśnero” e pare che i Karagassi siano il prodotto di una fusione dei Kacinzi con delle popolazioni samoiede. Lo Schiefner mise in evidenza alcuni rapporti fra karagassico e jakuto, ma rimane pur sempre una differenza considerevole nel trattamento di *j che qui è tj (con un elemento dentale fievolissimo), per es., tjête “7”, jak. sättä, osm. jedi. 2. e 3. il koibalico (qoibal) e il kacinzio, assai vicini al karagassico (cfr. *j > tj, per es., tjas “primavera”, cfr. jak. sās, ciuv. (śur, ma osm. jaz; 4. il sojonico o sojoto conosciuto anche col nome di urianχai o tannu–tuwin; 5. i dialetti küärük o čolym (čulymküerik) e infine 6. numerosi dialetti tatari; questi si dividono in: a) dialetti tatari dell’Altai propriamente detto (altaico, teleuto); b) dialetti dell’Altai settentrionale (dialetti lebed e šor); c) dialetti dei Tatari di Abakan (saγai e qysyl; cui il Radloff riunisce il koibalico e kacinzio, da noi avvicinati al karagassico per il trattamento di *j-) e dialetto baraba. Vanno forse qui anche i dialetti caraimici della Polonia, Lituania e Crimea. Probabilmente apparteneva a questo gruppo anche l’estinto uigurico che fu per molto tempo una lingua letteraria e per cui v. la voce uiehuri.
II. Dialetti occidentali.
In questi troviamo a formula iniziale generalmente le sorde, ma eccezionalmente anche le sonore b– e d-. Si notano poi le depalatalizzazioni š > s e č (tš) > ts. In questo gruppo possiamo distinguere; 1. i dialetti kirghisi, sulla cui divisione e sulle cui caratteristiche si è già scritto s. v. kirghisi: Lingua, XX, p. 211; 2. i dialetti dell’Irtyš con alcune varietà (turaly, kürdak, dialetto di Tobolsk e di Tümän); 3. i dialetti baškiri per cui v. baschiri, VI, p. 274; 4. i dialetti del Volga. Sotto questo nome si comprendono tutti i dialetti turchi parlati nella parte orientale della Russia; il loro carattere è molto affine a quello dei dialetti baskiri. Il Radloff distingue i dialetti di Mišä, della Kama, di Simbirsk, di Kazan′, di Kassimow e infine il dialetto Belebei.
III. Dialetti dell’Asia Centrale.
Questi dialetti hanno una grande ricchezza di suoni vocalici e un’armonia vocalica governata da leggi alquanto diverse da quelle di altri dialetti. L’area dove sono parlati è nota con la denominazione ampia di Turkestan ed è occupata dai Turchi da più di un millennio. I dialetti della regione più orientale, detta Turkestan Orientale o Cinese, sono stati studiati negli ultimi trent’anni specialmente dagli svedesi Raquette e Janning. Quest’ultimo li ha classificati in tre gruppi principali: dialetti meridionali (Kashgar, Jarkend, Khotan), settentrionali o dialetti taranči (Qulgia e Giarkend), nord-orientali (Turfan, Urumči, Qomul, Hami).
I dialetti più noti della regione occidentale, detta anche Turkestan russo, sono: l’özbeg (v. uzbeki), parlato da occidente di Kashgar fino a Khiva, con molte varietà (andigiani il più orientale, ai confini con il Turkestan Cinese) su una vasta zona che comprende anche il nord dell’Afghānistān; il sarto parlato dai Sarti (Iranici turchizzati, v.). In questo territorio nei secoli XIV-XVI si formò la lingua impropriamente detta ciagatai.
IV. Dialetti meridionali.
Questo gruppo è importante specialmente perché vi appartiene l’‛osmānlï (v. appresso). Fra i varî dialetti ricorderemo: 1. il turcomanno o turkmeno, parlato nella Repubblica Sovietica Socialista dei Turkmeni; 2. i dialetti turchi parlati nel Caucaso (Cumucchi [v. XII, p. 118], Karačai, Balcari, ecc.); 3. il turco azeri o azerbaiǧani, parlato nell’Azerbaigian; v. V, 292; 4. i dialetti dell’Anatolia; 5. i dialetti della Crimea; 6. i dialetti dei Gagausi di Bessarabia; 7. l’‛osmānlï (v. appresso).
Salvo il bulgaro-turco di cui non ci resta nulla, ma che può essere conosciuto attraverso gli elementi passati nell’ungherese, e che apparteneva, come si è detto, al gruppo s-, anche tutte le altre lingue turche antiche, di cui abbiamo monumenti, appartengono al gruppo j-. E in primo luogo ricorderemo il turco delle iscrizioni; i più antichi documenti risalgono al sec. VIII e sono delle iscrizioni su stele erette in onore dei principi delle dinastie turche dei secoli VI-VIII, trovate in Mongolia nel bacino dell’Orkhon; altri monumenti sono stati trovati nella stessa Mongolia, in Siberia e nel Turkestan occidentale. Dei manoscritti negli stessi caratteri sono stati scoperti recentemente nel Turkestan cinese. La scrittura in cui sono redatti è esteriormente simile alle rune, ma non ha storicamente nulla da fare con le rune nordiche (v. rune, XXX, p. 241); il nome di caratteri runici fu dato a questa scrittura da V. Thomsen che nel 1893 riuscì a decifrarla (v. thomsen, v.), mentre il nome di “Kök-Türkisch” proposto da W. Bang, è stato respinto giustamente dal Thomsen, dal Radloff, ecc. La maggior parte delle rune turche proviene dall’alfabeto sogdiano (v.) che a sua volta è di origine aramea; ma alcuni segni hanno evidente origine ideografica (freccia, luna, casa). La lingua delle iscrizioni runiche si distingue per gli arcaismi nella fonetica e nella morfologia e nel lessico. Una derivazione di questa scrittura è probabilmente la scrittura a tacche (ung. rovásírás), usata fino a pochi secoli fa dai Siculi (Székelyek) di Transilvania. Le altre lingue letterarie estinte sono l’uigurico (per cui v. uighuri) e il cumano (per cui v. cumani, XII, p. 116).
La classificazione del Radloff, da noi riportata con alcune riduzioni e mutamenti, non è esente da gravi pecche; piü semplice e chiara è la ripartizione proposta dal Németh (Magyar Nyelv, XII [1916], p. 117) per cui le lingue turche j– si dividerebbero in: a) dialetti siberiani (parlati dai Tatari dell’Altai, Teleuti, Karagassi, Tatari dell’Abakan); b) dialetti dell’Asia centrale (dei Kirghisi, Uzbeki, Turcomanni, Sarti, ecc.; qui sta l’antica lingua letteraria čaγataica); c) dialetti delle regioni del Mar Nero (‛osmānlï, dell’Azerbaigian, di Crimea, dialetti tatari del Caucaso); d) dialetti delle regioni del Volga (dialetti dei Tatari di Kazan′, Baškiro, Mišer e altri dialetti tatari). Ma anche questa è una classificazione prevalentemente geografica.
Nella fonetica delle lingue turche si nota, prima di tutto, la grande estensione dell’armonia vocalica (IV, v. armonia, pp. 527-28). Gli affissi compaiono per lo meno in doppia forma e si dispongono generalmente in tre gruppi: 1. a – ä; 2. ï – i; 3. u – ü rappresentando in ogni gruppo la prima vocale quella della serie posteriore (velare) e la seconda quella della serie anteriore (palatale). Già nell’antico turco delle iscrizioni runiformi dell’Orkhon abbiamo esempî di questa armonia vocalica, p. es. jolta “sulla strada” bašda “nel capo”, ma äbdä “nella casa”, közdä “nell’occhio”; e così nella seconda serie: altï “egli prese”, ma ölti “egli morì” e nella terza serie, nei participî in –duk: da bar– “andare” avremo barduk, ma da täg “raggiungere” tägdük. Nell’‛osmānlï, nel kirghiso e nel jakuto abbiamo una quadruplice corrispondenza: e precisamente a, ï–ï; ä (e), i-i; o, u–u ö, ü – ü, p. es. nell’osm. qač–tï “fuggì”; vär–di “dette”; ol–du “fu”; öl–dü “morì”. Nei dialetti turchi dell’Altai vi sono casi più complessi.
Anche qui, come nell’uralico, dato che le vocali di una parola dipendono armonicamente dalla tonica, con cui debbono accordarsi, l’unica vocale che si potrà studiare storicamente sarà la tonica. Ma mentre nelle lingue uraliche regna ancora molta incertezza nel vocalismo (v. ugrofinniche, lingue), nelle lingue turche il vocalismo tonico è abbastanza stabile e dalla comparazione delle lingue turche si può ricostruire con sufficiente esattezza il vocalismo del prototurco. Le vocali brevi del prototurco non subiscono variazioni importanti altro che nel ciuvasso e, in parte, nel jakuto. La più importante è la riduzione di *a ad ï (y) e più frequentemente a ų ed ê (î,) nel ciuvasso; la riduzione di *a > ï non può esser certo dovuta a effetto metafonetico di un –u, come credeva V. Grönbech. Bisogna distinguere due riduzioni avvenute in epoche diverse; la più antica è quella di a > ï in determinati casi (p. es., turco comune bar- “andare” > ciuv. pïr).
L’antichità di questo passaggio è dimostrata dal fatto che esso doveva già esistere nel bulgaro-turco perché si trova in alcuni degli elementi bulgaro-turchi dell’ungherese come ungh. ír “scrive” – bulg. turco *ïr cfr. ‛osm. jaz-; tinó “manzo di 2-3 anni” ‹ bulg. turco *tïnaγ, cfr. ‛osm. dana. Invece il passaggio del turco a nel ciuv. ÿ, ə, in casi come pÿrńa “dito”, cfr. tataro di Kazan′ barmak e simili, è recente perché gli elementi ciuvassi entrati nel ceremisso (v. ceremissi, IX, 803, e v. M. Räsänen, Die tschuwachischen Lehnwörter im Tscheremissischen, Helsinki 1920), mostrano ancora a (p. es., cerem. parńa dal cit. ciuv. pÿrńε) e perché in tali casi negli elementi bulgaro-turchi dell’ungherese troviamo solo a, á, p. es., sár “sterco” ‹ bulgaro-turco *šarï, cfr. ciuv. šÿrê, ‛osm. sarï. Secondo il Németh, Nyelvtudományi Közlemények, XLII, p. 75 segg. sarebbero esistiti nel prototurco-mongolico due a; un *a1 che avrebbe dato nel turco comune a, nel ciuvasso ï e nel mongolico a, e un *a2 che avrebbe dato nel turco comune a, nel ciuvasso a (e in un secondo tempo ÿ) e nel mongolico i, ü, e. Fra gli altri mutamenti vocalici ricorderemo solo che nei dialetti di Abakan *ä passa ad e come nel kirghiso; nei dialetti del Volga, di Tobolsk, nel Baschiro e Baraba passa ad i e nel ciuvasso ad a, p. es., är “uomo” (‛osm. ciag. azerb. alt., ecc.), ma kirgh. koib. kacinzio er; baschiro, tataro di Kazan′, dial. di Tobolsk ir, ciuv. ar. Accanto ad *ä nel prototurco probabilmente esisteva anche *e che si trova nelle iscrizioni del Jenissei (cfr. V. Thomsen, Une lettre méconnue des inscriptions de l’Iénissei, Helsinki 1915), ma che generalmente si è íuso con ä; i risultati però sono tenuti distinti dal jakuto che per il prototurco *ä risponde con ä o iä mentre per *e risponde con i. Alla citata voce är, il jakuto risponde con är, mentre p. es. all’‛osm. ciag. uig., äl – *el), kirg. el, dial. tataro di Kazan′, il, il jakuto risponde con il “buon accordo” (cfr. Németh, Nyelvtud. Közlemények, XLIII, pp. 298-99). L’ *y (ï) del prototurco generalmente si conserva in tutte le lingue turche (ma in ciuvasso passa spesso a ə). Anche *i prototurco si conserva bene, ma nel tataro di Kazan′ passa a ə e nel ciuvasso a ê in molti casi, p. es., ‛osm. ič, jakuto is “interno” ma ciuv. eš. L’*o del prototurco si conserva generalmente, ma nel baschiro, nei dial. del Volga e di Tobolsk passa ad u e nel ciuvasso ad ÿ, in alcuni casi nel jakuto troviamo uo invece di o, p. es., ‛osm. ol “essere”, jak. buol– tataro di Kazan bul-, ciuvasso pÿl-. Il prototurco *u si conserva quasi dappertutto, fuorché in ciuvasso dove abbiamo ê. Le vocali prototurche -*ö ed *ü rimangono anch’esse quasi sempre intatte; ma nei dialetti del Volga e nel baschiro *ö > ü, mentre *u > ö; nel ciuvasso *ü > ə ed *ö > ÿ. Interessanti sono i nessi di vocale breve seguita da g. Il g generalmente rimane nel turco antico delle iscrizioni runiformi dell’orkhon, nell’uigurico, nel taranci e nel koibalico; nell’‛ōsmānlï abbiamo γ e zero, altrove cade provocando un allungamento della vocale; avremo così:
a) prototurco *ag > ‛os. āγ (ā), kirgh. tat. di Kazan′ aw; dial. dell’Altai ū, jak. ïa, ecc., p. es., Iscr. dell’Orkhon e Koib. tag “monte”; taranči taγ; ‛osm. dāγ; kirgh. tau; alt. tū; jak. tïa; ciuv. tu (gen. təvən)i;
b) prototurco *og > ‛osm. oγ, ō; kirgh., tataro di Kazan′, dial. dell’Altai ū, jak. uo, Ciuv. əv., p. es., turco delle iscr. dell’Orkhon ogl-, “suo figlio”; ‛osm. oγul; kirgh. ūl; jak. uol.
E parimenti per gli altri nessi prototurchi *yg, *äg, *ig, *ög, *üg. Simili semplificazioni si trovano anche nei nessi prototurchi ab, ob, ub, äb, ib, ūb, p. es., ab > tar. koib. ō, kas. u; kirgh. alt. ū ciuv. yw, əw, così all‛osm. avuǧ “hohle Hand” corrispondono tat. ōč, kas. ūč; kirgh. ūs, alt. ūš, koib. ōs, ciuv. ïwəś.
Nelle lingue turche le vocali lunghe sarebbero, secondo alcuni studiosi, in rapporto con le consonanti vicine; nel prototurco però non dovevano esistere delle vere vocali lunghe; il Grönbech ha cercato di spiegare le lunghe del jakuto con la presenza di una consonante sonora seguente etimologica, p. es., all’‛osm. at “cavallo” corrisponde il jak. at (‹ prototurco *at), ma all’‛osm. ad “nome” corrisponde il jakuto āt. (‹ prototurco *ad-). Il Németh, Keleti Szemle, XV, p. 150 segg. ha spiegato le vocali lunghe del jakuto come dovute specialmente alla posizione dell’accento.
Il consonantismo del prototurco doveva essere abbastanza semplice. Generalmente a formula iniziale si ammettono solo le sorde *k, *t e la sonora *b, ma sembra ragionato ritenere che siano esistite anche le sonore, *g– *d-. Nella serie velare abbiamo solo *k– e se anche esisteva un *ag– questo, già in epoca prototurca, si è fuso col *k-. Probabilmente accanto al *k velare ne esisteva uno palatale (*k′; la ricostruzione di questo *k′ si può fare però solo attraverso il ciuvasso che in questo caso presenta j, mentre per k presenta χ, e attraverso la comparazione col mongolico e il tunguso. Nella serie dentale abbiamo *t– e, secondo il Németh, anche *d-. Nella serie labiale il prototurco possedeva la sonora *b che ben presto, in parte del dominio, passò a p (ciuvasso). Il prototurco poi possedeva un *j– sul cui trattamento (> jak. s-, ciuv. š-, altre lingue j) abbiamo appunto basata la bipartizione delle lingue turche (v. sopra anehe gli esempî). Lo *s– a formula iniziale si conserva generalmente bene, ma cade in jakuto, cfr. ‛osm. sal, ciuv. sÿ, ma jak. āl. Infine a formula iniziale il prototurco possedeva un’affricata č che generalmente rimane nella maggior parte dei dialetti, ma si muta in s in baschiro, in š in kirghiso e ś in ciuvasso (ma quest’ultimo mutamento non è così antico perché solo una parte degli elementi bulgaro-turchi dell’ungherese presenta cs = č, mentre un’altra parte presenta s = š). In mezzo di parola il prototurco possedeva solo tre esplosive sonore *d, *b e *g; in posizione intervocalica queste debbono esser passate già molto presto nelle spiranti corrispondenti δ, β e γ, mentre in posizione postconsonantica si debbono essere mantenute più a lungo. Secondo il Németh invece il prototurco avrebbe avuto anche *–k– e ben due *-t-. Ricorderemo qui solo il trattamento del prototurco –d– (δ) che rimane d nell’antico turco delle iscrizioni dell’Orkhon, nell’uigurico, nel sojonico; dà t nel jakuto, z nel tataro di Abakan, koibalico, kamassino, r nel ciuvasso e j in tutte le altre lingue, p. es. turco delle iscr. dello Orkhon adak “piede”; jakuto ataχ; sag. koib. kacinz. azak; ciuv. ÿra; ‛osm. alt. kirgh. ecc. ajak. Sul trattamento di –d– prototurco, ritenuto caratteristico, si basa una parte della divisione delle lingue turche del Samoilovič, già riportata in principio di questo articolo. Il prototurco č-z– rimane in tutte le lingue turche, a eccezione del ciuvasso che presenta il rotacismo (quindi –z– > r). Parallelamente il prototurco *-š– rimane in tutte le lingue turche, ma per il fenomeno del lambdacismo passa in l nel ciuvasso.
Gli esempî del rotacismo e del lambdacismo sono già stati addotti a proposito della classificazione dei dialetti turchi al principio di questo articolo; per maggiori particolari cfr. Gombocz, Nyelvt. Közlemények, XXXV, p. 241 segg.
Passiamo ora ad alcune osservazioni sulla morfologia e la sintassi delle lingue turche. Come prima caratteristica, per quanto non esclusiva e di scarso valore storico (cfr. XXI, 202-203) noteremo l’agglutinazione (v. I, 864). Ogni voce turca si può comporre di tre elementi: 1. radice; 2. uno o più suffissi di derivazione; 3. uno o più suffissi desinenziali. Si distinguono nettamente nelle lingue turche le radici nominali da quelle verbali. La differenza fra nome e verbo è, in queste lingue, molto maggiore che nelle indoeuropee. Ognuna di queste due categorie ha delle serie di suffissi che sono sue speciali e vere eccezioni formano i suffissi comuni ad ambedue le classi (p. es., il suff. del pl. –lar, –ler: ev–ler “le case”; sešer–ler “essi amano”); così, data una radice nominale, p. es. iš “lavoro” avremo nell’‛osmānlï: iš–či “lavoratore” iš–či–den “dal lavoratore”, e data una radice verbale, p. es., ver “da !(dare)” avremo ver–dir “fa dare!” ver–dir–dim “io ho fatto dare”. Il numero dei suffissi è teoricamente illimitato, ma forme chilometriche e complicate come, p. es., l’‛osmānlï il–iš–dir–il–eme–miš–mi–idi (“n’avait-il pu être rattaché?”) sono ben rare nella pratica e formano piuttosto la delizia dei grammatici. La differenza essenziale fra i suffissi delle lingue turche (e in genere delle uralo-altaiche) e quelli delle indoeuropee o delle semitiche, non sta tanto nel fatto che l’origine dei suffissi sia sempre perspicua, che si tratti cioè di un tema nominale passato a fungere da posposizione e poi divenuto semplice suffisso. Per quanto tali casi siano abbastanza frequenti (p. es., il –säm, –sam suffisso del plurale del ciuvasso), l’origine di molti suffissi non è ancora abbastanza chiara (p. es. quella del turco –lar, –ler). La massima differenza sta invece, come si vedrà meglio s. v. uralo-altaiche, lingue, nel fatto che ogni suffisso ha un’unica funzione; mentre l’-i di domin–i latino indica tanto il genitivo (caso), quanto il singolare (numero), nel turco e in tutte le altre lingue uralo-altaiche il suffisso indicante il caso è indipendente da quello indicante il numero e così avremo: ev “casa”, ev–de “nella casa”, ev–ler “le case”, ev–ler–de “nelle case”.
Nelle lingue turche non esiste la categoria del genere (come del resto in tutto l’uralo-altaico); esistono invece due numeri, singolare e plurale. Ma anche nella concezione del plurale le lingue turche (come gran parte delle uralo-altaiche) hanno un’idea diversa dalla nostra; nell’antico turco le forme di plurale sono molto più rare che nelle lingue turche moderne e anche oggi troviamo casi in cui il turco usa il singolare per indicare una pluralità, p. es. in unione con i numerali; così il turco osmanli dice on kitab “10 libri (lett. 10 libro)”; ma la stessa particolarità si trova nelle altre lingue altaiche (p. es., in Manciu) e perfino nelle uraliche, cfr. ungh. tíz könyv “10 libri (lett. 10 libro)”. La declinazione comprende generalmente cinque casi; il nominativo non è di regola distinto da nessun suffisso, p. es., ‛osm. at qoš-ar “il cavallo corre”. Il genitivo (caratterizzato in tutte le lingue turche da una nasale, p. es. nelle iscr. dell’Orkhon –yṅ, uigur. –nyñ, ecc.) precede il nominativo (ordine B-A) il quale è quasi sempre rafforzato da un suffisso possessivo, p. es. ?‛osm. čoban–yñ ev-i “del pastore la sua casa – la casa del pastore”; questo costrutto si trova anche nelle lingue uraliche, p. es. ungh. a pásztor[-nak a] ház–a.
La principale regola della sintassi delle lingue turche è che tutto ciò che è accessorio deve precedere quanto è principale; quindi i complementi (o le proposizioni dipendenti) debbono precedere il soggetto o il predicato cui si riferiscono; e così l’attributo precede il sostantivo cui si riferisce, p. es., ‛osm. kïrmïzï ev “rossa casa” (cfr. ungh. vörös ház), l’oggetto precede il predicato, p. es., ‛osm. bir eji peder evlādyny dā‘imā sever “un buon padre i suoi figli sempre ama”.
Quando un gruppo di parole riceve un suffisso, questo si pone solo alla fine del gruppo, senza che sia necessario ripeterlo dopo ogni parola nell’interno del gruppo; ma siccome l’ultima voce è la principale, ne consegue che solo la principale riceve il suffisso. Questa regola sintattica è completamente contraria a quella che vige, p. es., nell’italiano, ma si trova anche nelle altre lingue altaiche, p. es., in Manciu, dove abbiamo costrutti come: Toumen irgen–i oukheri ama inou be getouken–i sambi “omnium populorum communem patrem esse manifeste scimus”. Le principali caratteristiche morlologiche e sintattiche comuni alle lingue turche, mongoliche, manciu e tunguse e sovente anche alle lingue uraliche si troveranno, alla voce uralo-altaiche, lingue.
Bibliografia
Una grammatica comparata delle lingue turche non esiste; per la fonetica si cfr. W. Radloff, Phonetik der nördlichen Türksprachen, Lipsia 1882; Vilh. Grönbech, Forstudier til tyrkisk lydhistorie, Copenaghen 1902 (e ampio riassunto in ted. in Keleti Szemle, IV (1903), 114 segg., 229 segg.); Z. Gombocz, Az altaji nylvek hangtörténetéhez in Nyelvt. Közlemények, XXXV (1905), 241 segg.; Die bulgarisch-türkischen Lehnwörter in der ungarischen Sprache, Helsinki 1912; V. Thomsen, Sur le système des consonnes dans la langue ouigoure, in Keleti Szemle, II (1901), 241 segg.; Gy. Németh, Az ösjakut hangtan alapjai, in Nyelvt. Közl., XLIII (1914), 276 segg., 448 segg. – Per la classificazione dei dialetti turchi, oltre alla citata Phonetik del Radloff, cfr. A. Samoilovič, Nekotorye dopolnenija k klassifikacii turechik jazykov, Pietrogrado 1922 e K voprosu o klassifikacii tureckih jazykov, in Bull. Org. Komissii po sozyvu I Turkolog. S’iezda, 1926, n. 2, nonché l’articolo dello stesso autore Langues turkes nell’Enc. de l’Islam, IV, 956 segg. – Per la morfologia e la sintassi cfr. K. Grönbech, Der türkische Sprachbau, Copenaghen 1936. Quanto al lessico esiste un dizionario comparativo di H. Vambéry, Etymologisches Wörterbuch der Turko-tatarischen Sprachen, Lipsia 1878 (antiquato). Basato sui materiali di tale dizionario è anche il volume dello stesso Vambéry, Die primitive Kultur der turko-tatarischen Volkes, Lipsia 1879. Il migliore dizionario comparativo di gran parte dei dialetti turchi è: W. Radloff, Opyt slovarja tjurkskih narecij-Versuch eines Wörterbuchs der Türk-Dialecte, Pietroburgo 1888-1901 in 4 voll. (v. radloff, XXVIII, p. 732).
Bibliografia delle singole varietà. Per il ciuvasso si veda la bibl. a ciuvassi, X, 509 e si aggiunga N. I. Ašmarin, Thesaurus linguae Tschvaschorum, Kazan′ (e poi Čeboksary), 1928-30, 5 voll. Per il jakuto v. la bibl. data XVIII, 648. Per i varî dialetti turchi j si vedano in primo luogo i materiali raccolti da W. Radloff, Proben der Volkslitteratur der türkischen Stämme, Pietroburgo 1866-1907, in 10 voll. un elenco dettagliato dei quali si trova al vol. XXVIII, 762. Per i dialetti orientali v. la bibl. data s. v. karagassi, XX, p. 117 e cfr. Castrén’s Koibalisch-deutsches Wörterverzeichnis und Sprachproben neu transcribiert, in Mélanges Asiatiques, IX, 97 segg.; N. F. Katanov, Opšt izledovanija urjanchajskago jazyka s ukazaniem glavnejyih rodstevennyh otnošenji ego k drugim azykam tjurskago kornja, Kazan′ 1903. Per i dialetti del Turkestan Cinese e Orientale esistono lavori di Raquette, von Le Coq, M. Hartmann, G. Jarring. Per i dialetti occidentali cfr. la bibl. alla voce kirghisi, XX, p. 211 e baschiri, VI, p. 274. Per i dialetti tatari del Volga e regioni finitime cfr. l’antiquata grammatica di M. A. Kasem-Beg, Allgem. Grammatik der türkisch-tatarischen Sprache, trad. del russo di J. T. Zenker, Lipsia 1848; G. Bálint, Kazáni-tatár nyelvtanulmányok, Budapest 1875-77; M. Kurbangaliev i R. Gazivov, Sistematičeskaja grammatika tatarskogo jazyka, Kazan′ 1932; N. Ostroumov, Tatarsko-russkij slovar, Kazan′ 1892. Per i dialetti meridionali: A. P. Potselujevskij, Tyrkmen dilini evrenmäge ullanma, Ašxabad 1929; A. Alijiv ve B. Bøørijif, Oryscaturkmence søzlik, Ašxabad 1929. Per il cumucco v. XII, 118; W. Pröhle, Balkarische studien, in Keleti Szemle, XV (1915), 165 segg.; N. K. Dmitrijev, Morfol. d. lingua turca dei Cumucchi, in Riv. studi or., Roma, XV (1933-34); Szapszal, Próby liter. ludowej turków z Azerbajdzanu perskiego, Cracovia 1935; M. Räsänen, Türk. Sprachproben aus Mittelanatolien, Helsinki 1933. Per l’‛smānlï, v. appresso; per i dialetti dell’‛osmānlï v. le sintesi di T. Kowalski, nell’Enc. de l’Islam, IV, pp. 968-988.
Per le iscrizioni in caratteri runiformi: V. Thomsen, Inscriptions de l’Orkhon déchiffrées, Helsinki 1896; Turcica. Études concernant l’intérpretation des inscriptions turques de la Mongolie et de la Sibérie, Helsinki 1916; W. Radloff, Die alttürkische Inschriften der Mongolei, Pietroburgo 1894-99; Alttürkische Studien, Pietroburgo 1909-1911; W. Bang, Vom Köktürkischen zum Osmaniscnen, Berlino (Sitz. d. pruss. Akad. d. Wiss.), 1917-1920; W. Bang e A. v. Gabain, Türkische Turfan-Texte, Berlino 1929-30. Per l’uigurico v. uighuri.
La lingua ‛osmānlï.
La lingua turca detta ‛osmānlï appartiene al gruppo meridionale delle lingue turche (v. sopra). Questo gruppo comprende anche il turcomanno, l’‛āzerī dell’Azerbaigian caucasico, il turco di Crimea, il turco dei Gagausi della Bulgaria e della Romania. L’area linguistica del ‛osmānlï abbraccia tutto il ‛osmānlï , la quale si estende anche alle minoranze turche di Rodi e di Cipro. Nuclei di parlanti turco esistono in Albania e in Jugoslavia.
Il termine ‛osmānlï è ripudiato ufficialmente dal nuovo stato turco (la Repubblica di Turchia) e anche dagli scrittori della Turchia, i quali, parlando della loro lingua, dicono semplicemente “lingua turca” türkçe. Il termine “turco di Anatolia”, proposto in Europa e in Turchia, non ha avuto fortuna.
La lingua ‛osmānlï , così come è designata nell’uso comune europeo, è il prodotto dell’evoluzione propria avuta dalle parlate dei Turchi detti Oghuz (o Ghuzz, per molti riguardi confondibili con i Turkmeni) che passarono dal Khorāsān in Persia e in Anatolia e in tutta l’Asia minore dal secolo XI d. C. in poi, fondandovi gl’imperi dei Selgiuchidi e minori principati. I più antichi documenti linguistici turchi accostabili al ‛osmānlï odierno risalgono al sec. XIII; come primo scrittore ‛osmānlï in questo senso si potrebbe considerare Sulṭān Veled (morto nel 1312), figlio del grande poeta mistico Gelāl ud-Dīn Rūmī. C. Brockelmann in uno studio sul poemetto Qiṣṣah–i Yūsuf di un certo ‛Alī, composto nel 1233, tende a riconoscere in lui il più antico precursore della letteratura ‛osmānlï e ritiene che il suo poemetto sia stato composto in Asia Minore. Tra i secoli XIV e XVI si colloca un periodo di transizione dalla vecchia alla moderna lingua ‛osmānlï, che all’inizio del sec. XVII ci si presenta nei documenti scritti con forme non molto diverse da quelle odierne. Parlando di ‛osmānlï, intendiamo trattare della lingua letteraria, della lingua di cultura dei Turchi dell’Impero ottomano, senza tener conto delle varietà dialettali della Turchia europea e dell’Anatolia, le quali sono molto numerose e verranno brevemente ricordate.
Il dialetto che più si accosta a questa lingua di cultura è quello di Costantinopoli.
Le caratteristiche essenziali del “vecchio‛osmānlï” rispetto al moderno sono: uno sviluppo meno conseguente, a quanto pare, dell’armonia vocalica; mantenimento del suono velare ng (ñ) poi diventato n; maggiore aderenza all’origine pronominale delle desinenze personali dei verbi (seversiz per moderno seversiniz); mancanza del presente 1° in (i)-yor sviluppatosi dalla composizione di un gerundio con l’aoristo di un ausiliario yürümek o yorïmaq; l’aoristo durur “sta, è” di durmak non ancora fissatosi nella forma moderna della copula dir “è”; mantenimento di forme gerundive in –meýin, –igek, ecc., che appaiono già arcaiche nel sec. XVII; comparativo in –rek scomparso dal sec. XVII; minor uso di congiunzioni arabe e persiane, di iẓāfet persiana e di vocaboli arabi e persiani, che diventano predominanti dal sec. XVI in poi.
L’‛osmānlï moderno ha le seguenti vocali:
Questo è il quadro comunemente dato delle vocali, tenendo conto che la e è quasi sempre aperta; ma sì dovrebbe distinguere anche una e chiusa e una e (ä) aperta.
L’armonia vocalica, comune alle lingue turche, e particolarmente osservata nel ‛osmānlï‛osmānlï, vuole che in un vocabolo non si seguano che vocali prepalatali o pospalatali; le eccezioni alla regola si riscontrano solo in parole straniere. La successione delle vocali nei suffissi, per mezzo dei quali si effettuano le mutazioni di significato delle basi verbali e nominali (non esistono prefissi), è regolata da leggi di armonia vocalica in relazione con la vocale dell’ultima sillaba; esse si riassumono nei seguenti schemi:
1. suffissi a semplice alternanza
(ev “casa” fa il plurale a evler; at “cavallo”, fa il plurale atlar);
2. suffissi a doppia alternanza
(non ricorrono nei suffissi le vocali ö, o); praticamente si può dire che a e, i dell’ultima sillaba della base nominale o verbale seguirà i; ad a, ï seguirà ï; a ö, ü seguirà ü; a o, u seguirà u. Es.: ev fa al genitivo evin; at fa atïn; göz “occhio” fa göün; yzü “viso” fa yüzün; ciogiuq “bambino” fa ciogiuġun.
Le consonanti del ‛osmānlï, prescindendo da quelle che ricorrono più o meno bene conservate in parole straniere, sono rappresentate dal seguente schema (nel quale sono indicati tra parentesi i segni in uso dal 1928 nel nuovo alfabeto turco-latino):
Le sonore occlusive non possono stare in fine di parola o sono per lo meno notevolmente assordite; le gutturali prepalatali e pospalatali si accompagnano con vocali prepalatali e pospalatali; lo stesso si dica di l e ł.
Non possiamo qui esporre lo schema delle formazioni; basterà dire che i suffissi si succedono nei nomi in questo ordine: base nominale + suffissi del plurale + suffissi del possessivo + suffissi della declinazione. Nei verbi l’ordine di successione è: base verbale + suffisso modificante della base con significato causativo o riflessivo o reciproco, significato passivo, negazione o impossibilità + suffisso temporale + desinenza personale. Es.: in bildirilemiyor “non può essere fatto sapere” si succedono bil (base verbale) + dir (causativo) + l (passivo) + eme (impossibilità) + yor (presente). Queste sono peraltro caratteristiche comuni delle lingue turche, come la mancanza dell’articolo (del quale può solo ravvisarsi un antico uso nel dimostrativo), la mancanza di distinzione del genere, la mancanza di prefissì e di preposizioni. Il rapporto di annessione in ‛osmānlï, come in tutte le lingue turche, ha il seguente ordine: nome retto al genitivo + nome reggente con suffisso possessivo di 3a persona: es. “la porta della casa” in turco è evin qapïsï “della casa la sua porta”. Questa costruzione inversa rispetto al nostro uso si esplica in tutta la sintassi; l’ordine comune della frase turca è: complementi del soggetto (aggettivo, nome retto, frasi relative ecc.) + soggetto + complementi dell’oggetto diretto o indiretto + complementi del verbo + verbo o predicato. Es.: “Il mio amico, che sta a Costantinopoli, ha scritto che il tempo colà è molto bello” in turco si traduce Istanbulda bulunan dostum havanïn orada pek eyi olduġunu yazdï (letteralmente “a Costantinopoli trovantesi il mio amico del tempo colà molto buono il suo essere ha scritto”).
L’‛osmānlï, come le altre lingue turche, manca, si può dire, di pronome relativo e supplisce ad esso con participî e forme aggettivali; ha poche congiunzioni e vi supplisce con i molti gerundî (una decina, nell’uso comune).
Più precisamente va osservato che sono caratteristiche della lingua ‛osmānlï rispetto alle altre lingue turche la prevalenza delle sonore d, g iniziali (dil “lingua” lingue turche settentrionali til; göz “occhio”, lingue turche settentrionali köz), la mutazione v ‹ b, la caduta delle gutturali k e q intervocaliche (quindi participio in
invece del participio in
dei linguaggi turchi orientali, dativo in
invece del dativo in
ecc).
Va rilevato, d’altra parte, che le differenze fonetiche e morfologiche tra le lingue turche sonno lievi, fatta eccezione per le lingue dei Jakutì e dei Ciuvasci.
Alfabeto.
Fino al 1928 il turco ‛osmānlï è stato scritto con l’alfabeto arabo (anche in caratteri armeni tra gli Armeni di Costantinopoli e dell’Anatolia orientale e in caratteri greci tra i Greci ortodossi della Caramania). L’alfabeto arabo in realtà male si adattava, per la mancanza di segni vocalici alla trascrizione del turco e varî accorgimenti erano stati usati col tempo per rendere possibile una migliore riproduzione dei suoni. Per le consonanti p, č e j si erano usati tre segni modificati dell’alfabeto arabo già introdotti nella scrittura del persiano.
Una legge del 3 novembre 1928 stabilì la quasi immediata applicazione di un nuovo alfabeto (detto yeni türk alfabesi o yeni harfler), che diremo turco-latino, costituito dai 29 segni seguenti (8 vocalici e 21 consonanti): a, b, c, ç, d, e, f, g, ǧ, h, i, ı (i senza punto), j, k, l, m, n, o, ö, p, r, s, Ş, t, u, ü, v, y, z. Per la pronunzia si noti che c ha il suono italiano di g avanti i ed e; ç ha il suono italiano di c davanti i ed e; ǧ ha un duplice suono di gutturale continua sonora prepalatale (ẏ) o pospalatale (ġ), secondo che si trova eon vocali prepalatali o pospalatali; ı (i senza punto) è il suono (ï) pospalatale della i; j suona come in francese, Ş equivale a sc italiano, y è semivocale (j tedesco). Confrontando i 21 segni consonantici con lo schema sopra riferito delle consonanti turche, si vede che il nuovo alfabeto turco-latino, non tiene conto della distinzione tra k e q, k′ e k, g′ e g, ẏ e ġ, l e ł, distinzione che peraltro riesce agevole a chi abbia acquistato una certa familiarità con la pronunzia turca e con l’armonia vocalica.
Un’altra riforma, che si è cominciato a propugnare col sorgere del nazionalismo turco, è la purificazione del lessico da tutti o quasi i vocaboli stranieri. Si tratta specialmente di sostituire con vocaboli turchi ancor viventi nell’uso del popolo o riesumati da antichi libri i vocaboli arabi e persiani che nei secoli passati sono entrati nel turco scritto e parlato. Però sul finire dell’anno 1936 la campagna per il purismo lessicale s’allentò alquanto e rispuntarono anche nei giornali vocaboli già eliminati. Questo cambiamento di indirizzo è in relazione con una teoria ufficialmente sostenuta in Turchia e nota con il nome di GüneŞ–Dil “Lingua-Sole”, secondo la quale la lingua turca sarebbe alla base di tutte o quasi tutte le lingue del mondo; quindi, se ne deduce, non v’è più la necessità di eliminare vocaboli ritenuti stranieri, che per lo più sono in fondo d’origine turca.
Dialetti.
Non esiste ancora uno studio sistematico completo dei dialetti della Turchia europea e dell’Anatolia; vi sono però notevoli saggi (v. la bibliografia). Si può affermare in generale che i dialetti dell’Anatolia nord-orientale si accostano molto all’azerī, quelli dell’Anatolia sud-orientale risentono della vicinanza del curdo e dell’arabo. Alcuni fatti constatati sono: tendenza alla labializzazione della vocale dei suffissi nell’Anatolia orientale; mutamento di q in kh nell’Anatolia orientale; assenza del suono ng nella Turchia europea e nell’Anatolia occidentale e sua conservazione nell’Anatolia orientale; desinenza –k della prima persona plurale di alcune forme verbali nell’Anatolia orientale (invece di –iz che si ha nell’Anatolia occidentale e a Costantinopoli). Sono state rilevate le caratteristiche dei dialetti turchi di Trebisonda, Erzerum, Conia, Aydïn, MaraŞ in Anatolia, dei Gagausi della Bessarabia.
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Sulla teoria “Lingua-Sole”, v. Or. Mod., XVI, 1936, passim.
Fonte: Treccani
Categorie:010.02- Atlante storico-linguistico - Historical-linguistic Atlas, 010.06- Scritture di Lingue turche - Writings of Turkish Languages, G10.04- Cultura e letterature turche - Turkish Language and Literature
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