“Sei lezioni sulla storia”
di Edward Carr
Uno dei libri più importani sul metodo storico è quello di Edward Hallett Carr (1892-1982): What is History? del 1961. In italiano è stato tradotto copn il titolo Sei lezioni sulla storia (E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Einaudi, Torino, 2000). E’ un libro basato su una serie di conferenze che Carr tenne presso l’Università di Cambridge tra gennaio e marzo del 1961. In esse Carr presenta una via di mezzo tra la visione empirica della storia e la visione idealistica (come per esempio quella di R.G. Collingwood). Carr rifiuta quindi come un nonsenso l’idea che il lavoro dello storico sia vincolato ai “fatti” che ha a disposizione e afferma che “la fede in un nucleo duro di fatti storici che esistono obbiettivamente e indipendentemente dalle interpretazioni dello storico è un errore assurdo, ma si tratta di una credenza molto difficile da sradicare”. Carr sostiene infatti che lo storico (e principalmente lo storico che si occupa della contemporaneità) ha a disposizione una tale quantità di informazioni che è costretto sempre a scegliere quali “fatti” utilizzare.
È rimasto celebre l’esempio dei milioni di persone che hanno attraversato il Rubicone, ma solo il “fatto” del passaggio del fiume ad opera di Giulio Cesare (che lo attraversò nel 49 a.C.) è dichiarato dagli storici degno di nota. Carr divide quindi i fatti in due categorie: i “fatti del passato” cioè le informazioni che gli storici ritengono poco importanti e i “fatti storici” ossia le informazioni che gli storici hanno scelto come importanti. Carr sostiene che gli storici determinano in modo del tutto arbitrario quale tra i “fatti del passato” sia da ritenersi “fatto storico”, e questo secondo le loro inclinazioni e interessi.
Per questa ragione Carr critica il famoso detto di Leopold von Ranke secondo il quale la storia dovrebbe mostrare ciò che è veramente accaduto (“wie es eigentlich gewesen”) perché, al contrario, si presume che i fatti così come ci sono pervenuti siano sempre e comunque il risultato dell’interazione dei dati a disposizione dello storico che li ha riportati e della sua stessa visione. E tuttavia, ciò vuol dire anche che lo studio dei fatti può condurre lo storico a cambiare i propri punti di vista (cfr. la nozione di “circolo ermeneutico” – anche se, nello specifico, Carr preferisce utilizzare il termine “reciprocità”). In questo modo Carr conclude la prima lezione con l’affermazione che la storia è “un dialogo senza fine fra il passato e il presente”.
Inoltre Carr afferma che ogni individuo è sì condizionato dall’ambiente sociale in cui vive ma ritiene che tuttavia, all’interno di questa limitazione, rimane pur sempre uno spazio aperto per decisioni che possono avere impatto sulla storia. Carr distingue quindi Vladimir Lenin e Oliver Cromwell da Otto von Bismarck e Napoleone.
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