Chi sono i “Draghi ribelli”

 

 

Si fanno chiamare Draghi ribelli. Sono attivisti dei movimenti, precari, operai, studenti, professionisti e artisti, che hanno deciso di andare oltre le rispettive etichette per rivendicare, come un unico blocco, le stesse istanze. Una nuova prospettiva, dunque, rispetto alla generica etichetta di “indignati”, fortemente inflazionata in questo periodo e indicante – in qualche modo – una indistinta moltitudine. Volendo trovare un parallelo con il passato recente, lo stesso cambiamento che accadde poco prima del G8 di Genova, quando le anime diverse del movimento rientrarono sotto la definizione di “disobbedienti”.
“Draghi ribelli” è peraltro un nome non scelto a caso, ma con un preciso riferimento ai draghi orientali, gli stessi che secondo la leggenda controllano gli elementi, ergendosi a guardiani e difensori degli equilibri della Terra. Draghi che si ribellano contro i draghi occidentali, gli stessi che a loro dire hanno speculato sul popolo portando l’economia mondiale sull’orlo del precipizio. Non è un caso, infatti, che la prima grande azione di protesta abbia avuto come obiettivo la Banca d’Italia, simbolo del “governo delle banche e della finanza”. Un vero e proprio presidio il loro, iniziato due giorni fa e che sfocerà nella grande manifestazione di domani, quando centinaia di migliaia di persone sfileranno per le strade della Capitale. «Con l’occupazione della Banca d’Italia – hanno fatto sapere i loro portavoce – vogliamo dimostrare che la democrazia sta fuori da quel palazzo e noi da fuori la riconquistiamo. Faremo interventi, analisi, proposte, ci saranno bande musicali e artisti. Se ci cacciano, torneremo in molti di più». Un movimento che vuole “riprendersi” il Paese dal basso, facendo leva sul fatto che il potere «rappresenta solo l’1% della popolazione». Il punto di partenza è semplice: coinvolgere quante più persone possibili a scendere in piazza («Siamo il 99%») per dare scacco alla finanza e alla politica, incapace di dare risposte ad un Paese sempre più in difficoltà.

 (Nuova Società)

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Roma: i”draghi ribelli” occupano via Nazionale

Ha caricato a mezzanotte e dieci la polizia. Li hanno portati via uno per uno a braccia. Erano rimasti un centinaio, è stata un’operazione di pochi minuti mentre loro gridavano «Roma libera» e, seduti, aspettavano di essere trascinati via di peso. E’ finita così tra tensione e spintoni la protesta di ieri, otto ore di assedio alla Banca d’Italia.

A organizzarla un gruppo di studenti universitari, precari e attivisti sull’onda di quanto è accaduto a New York con il movimento «Occupy Wall Street». Il gruppo arriva in gran parte dalle aule dei collettivi della Sapienza, protagonisti in questi anni delle proteste studentesche contro le riforme gelminiane. Ma stavolta il nemico non sono Berlusconi e la politica ma l’economia. A essere presa di mira, la Banca d’Italia. Si danno il nome di «Draghi ribelli», aprono un blog battezzato «Occupiamo Bankitalia» e partono all’assalto di via Nazionale.

Ieri pomeriggio era il giorno ideale per scendere in piazza. In Banca d’Italia si tiene un convegno, sono presenti il governatore Mario Draghi, prossimo presidente della Banca Centrale Europea. E sono attesi anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e i massimi vertici delle banche italiane. I «Draghi Ribelli» arrivano poco dopo le quattro del pomeriggio, un’ora prima dell’inizio del convegno. La Banca d’Italia è blindata, gli agenti sono schierati a decine in tenuta antisommossa. I furgoni della polizia chiudono ogni accesso a palazzo Koch lasciando libero al passaggio di banchieri e personalità un largo tratto di via Nazionale. Il resto della strada è vietata al traffico, studenti e precari la occupano al grido di: «Liberiamo via Nazionale» e «Non abbiamo fretta».

L’obiettivo infatti è prendere possesso della strada per tre giorni e trasformare la protesta in una prova generale di sabato quando è prevista una grande mobilitazione nelle principali città europee. «La nostra è una sfida», ammette Francesco Raparelli, ricercatore universitario, da anni in prima linea nelle proteste – «Rimaniamo qui, dovranno assumersi la responsabilità di cacciarci. Ci stenderemo a terra, ci prenderemo per mano, la nostra sarà una resistenza non violenta, così come è successo per gli indignados di Brooklyn. Vedremo che cosa faranno».

Non c’è autorizzazione, e nemmeno uno di quegli accordi verbali che in questi anni hanno garantito ai manifestanti a Roma percorsi e iniziative spesso improvvisate. Ma la parola d’ordine in Questura è «flessibilità» e evitare il più possibile violenze. Quello delle forze dell’ordine «sarà un atteggiamento estremamente flessibile ma molto attento», spiega il sindaco di Roma, Gianni Alemanno.

Si crea una situazione surreale. Il centro di Roma è paralizzato dal traffico. Mentre via Nazionale si trasforma in un’isola serena dove si canta, si balla, si ascoltano interventi di esperti di economia e militanti dei centri sociali. Il messaggio è sempre lo stesso, un no netto «a chi vuole pagare i debiti con la nostra pelle e con il nostro futuro». Lo slogan è lo stesso degli ultimi due anni: «noi questa crisi non la paghiamo, non vogliamo pagare il debito delle banche».

In serata a via Nazionale si spostano artisti, annunciano la loro presenza personaggi come Sabina Guzzanti. Nel pomeriggio si vedono Giulietto Chiesa, Giovanni Russo Spena, Elio Lannutti, Giorgio Cremaschi. Nessuna bandiera di partito.

Una delegazione composta da tre studenti della Sapienza attraversa il blocco dei blindati per portare una lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al Quirinale. «Chiediamo al Presidente di prendere la parola contro i tagli e sulla reale condizione del Paese» spiega una di loro.

Alla fine sono circa due-trecento quelli che decidono di accamparsi. Alcuni si stendono sulle scale del Palazzo delle Esposizioni, altri sul selciato. Vengono montate una tenda e un gazebo, molti si sono portati un sacco a pelo. «Portate una tenda, portate un sacco a pelo, raggiungeteci!», urla al microfono Daniele De Meo. Nel frattempo i blindati della polizia hanno assunto un’aria meno minacciosa, tappezzati come sono di poster. Su uno c’è scritto: «Draghi, magari te… sbraghi».

Flavia Amabile

La Stampa 13-10-2001

Intervista a Elio Germano: «Dobbiamo risvegliare la politica»

 

Più “drago ribelle” che “indignato” («non mi piace l’idea di imitare qualcuno»). Comunque, dopo l’outing dal palco di Cannes («Dedico la Palma d’Oro agli italiani, che fanno di tutto per rendere l’Italia un paese migliore nonostante la loro classe dirigente»), Elio Germano, 31 anni, attore simbolo di una generazione che fin qui non ha trovato sbocco, ci si è buttato anima e corpo in questa «mobilitazione dal basso» contro la crisi che domani rimbalzerà da Wall Street a Roma. «Ci sarò anche io», dice Germano. E, a sorpresa, in queste ore, è spuntato anche tra gli accampati di via Nazionale.

Sei proprio un indignato doc?
«Mi dà fastidio questa espressione. La battaglia qui è pensare con le nostre teste, non abbiamo bisogno di bandiere o etichette».

Che ci facevi davanti a Bankitalia?
«Ci sono andato da cittadino, che non vede possibili soluzioni a questa situazione se non quelle che vengono dal basso, dalle persone, che vogliono riprendersi gli spazi e smetterla di subire le decisioni. È quello che stiamo facendo anche con l’occupazione del Teatro Valle: un esperimento di democrazia reale, esportabile anche per le scuole, i quartieri. Spero che sia l’inizio di una piccola rivoluzione copernicana per reimpadronirci della cosa pubblica e delle scelte che ci riguardano».

Che vuol dire: non vogliamo subire più le decisioni?
«Che siamo abituati a subire le scelte che riguardano la nostra vita di tutti i giorni: edifici pubblici che vengono svenduti ai privati, scuole che chiudono. Ma l’1% non può decidere per tutti: noi siamo il 99%, dobbiamo esigere di avere voce in capitolo. Non possiamo essere succubi della politica, che a sua volta è succube della finanza. E dimenticare il nostro diritto alla cittadinanza e alla partecipazione».

Quella dedica della Palma d’Oro ora sembra quasi un programma.
«Dopo aver cercare a lungo di farci ascoltare dai rappresentanti sindacali o partitici, è arrivato il momento di metterci non solo la faccia ma anche le braccia: le nostre competenze al servizio della collettività per cercare di cambiare le cose. Non è solo una questione economica. O di organizzazione dello Stato. Una persona che partecipa alle scelte della collettività è una persona più felice. Come ci si riunisce nei condomini, possiamo riunirci anche per decidere cosa succede delle nostre città, dei nostri teatri…»

E la politica?
«La politica, per noi, è questo: presa di consapevolezza che la cosa pubblica ci riguarda».

E ciò che accade in queste ore in Parlamento quanto c’entra con voi?
«Non molto. Berlusconi ha contribuito alla mutazione dei valori di questo Paese. Ma ora il problema non è tanto Berlusconi o no».

Però se cade una “ola” ci scappa…

«Sì ma le questioni che solleviamo sono trasversali e le porremmo anche a un altro qualsiasi governo. La manifestazione di sabato, l’avremmo fatta anche con Vendola presidente del consiglio».

Tu ci sarai?
«Certo, e spero ci sia più gente possibile, senza nessuna bandiera, pronta a brandire solo la propria faccia per rivendicare che è possibile un sistema alternativo a quello in cui privato è la parola d’ordine. Le nostre parole d’ordine sono “pubblico”, “bene comune”, “partecipazione”».

La paura però è che qualcuno voglia brandire altro che la faccia…
«Bisogna uscire da vecchie logiche. Sabato ci saranno tante persone che liberamente, con la propria individualità, scenderanno in piazza: nessuno sa che cosa succederà».

È questo che fa paura.
«A me però fa più paura quello che viene deciso dall’alto. Anche perché sono convinto che chi verrà a Roma non abbia nessuna voglia di distruggere la città. Non è che sfasciando si ottiene più visibilità. Certo, tanta gente non arriva alla fine del mese e forse sta covando rancore verso lo stato che considera responsabile della propria condizione. Ma il nostro obiettivo, cambiare quel milione di cose che riguardano la nostra vita quotidiana, lo raggiungeremo solo se faremo crescere il consenso attorno alla nostra protesta. La storia ci insegna che quando un movimento come questo comincia a far paura spunta sempre qualche violento di dubbia provenienza: dobbiamo essere noi a non subire queste armi di distrazione di massa».

Nel film “La nostra vita” interpreti un ex proletario rabbioso. Pensi che potrebbe scendere anche lui in piazza?
«Non penso, sono stati molto bravi a farci chiudere nelle nostre vite isolate. A quel personaggio che ho interpretato lì non gliene importa nulla della politica, però magari se si trovasse un’assemblea sotto casa avrebbe anche lui qualcosa da dire. Sabato scendiamo in piazza anche per risvegliare questo pezzo d’Italia».

 Mariagrazia Gerina

L’Unità, 14 ottobre 2011



Categorie:A00.28- Il linguaggio del conflitto

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