Giustino Fortunato e la questione meridionale
nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia
Ricerca collettiva e tesi della IV As del Liceo Scientifico Galilei di Potenza- Anno 2010-11
Metodo di lavoro:
Il lavoro consisterà in una prima fase che è quella di suddividere la classe in gruppi di lavoro. Ogni gruppo si incarica di portare avanti un argomento a partire dall’opera di Giustino Fortunato.
I passi per la preparazione della ricerca:
Passo Numero 1
Individuazione dei gruppi
Passo Numero 2
Individuazione delle tematiche
Facciamo un esempio: una caratteristica dell’opera di Fortunato è il suo impegno concreto per cercare di risolvere alcuni dei problemi più scottanti del meridione. Uno di questi era la malaria. Il gruppo di lavoro svolgerà una breve ricerca sulle azioni di Fortunato sul problema della malaria e poi preparerà una serie di slides in Power Point sulla situazione della malaria in Basilicata agli inizi del ‘900.
Fortunato si prodigò per aprire istituti tecnici nella sua zona. Un altro gruppo di lavoro partirà da questo dato per fare una breve ricerca sul problema dell’analfabetismo in Basilicata.
Un altro gruppo ancora prenderà in esame – per la necessaria contestualizzazione storica – anche argomenti non direttamente trattati da Fortunato, ma che erano rilevanti, come per esempio la condizione femminile.
Passo Numero 3
Analisi del materiale raccolto
Il materiale verrà vagliato in una serie di sedute separate, gruppo per gruppo.
Passo Numero 4
Una volta selezionato il materiale, bisognerà assemblarlo per renderlo coerente e visibile.
Giustino Fortunato (Rionero in Vulture, 4 settembre 1848 – Napoli, 23 luglio 1932) è stato uno scrittore, politico e storico italiano, uno dei più importanti rappresentanti del Meridionalismo. Studiò ed espose vari problemi riguardanti la crisi economica del sud Italia dopo l’unità nazionale, illustrando nelle sue opere e nella sua attività parlamentare una serie di interventi programmati per fronteggiare la cosiddetta questione meridionale. Fu un oppositore del regime fascista e figurò tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti.
Nato il 4 settembre 1848 a Rionero in Vulture da Pasquale e Antonia Rampolla, fu discendente di una nobile famiglia insignita del titolo di marchese. Suo prozio, Giustino Fortunato detto Senior, fu primo ministro del Regno delle Due Sicilie dal 1849 al 1852. Giustino compì i primi studi presso il collegio dei Gesuiti a Napoli e, dopo la laurea in giurisprudenza, decise di dedicarsi alla carriera politica.
Frattanto si appassionò all’arte, all’alpinismo e al giornalismo diventando redattore di due giornali del partito moderato: “Unità Nazionale” e “Patria”. Il suo intento politico fu di “cooperare alla ricostruzione civile della patria”, perciò non aderì “né alla Destra né alla Sinistra”. Insieme a Leopoldo Franchetti, fonda l’Associazione per gli interessi del Mezzogiorno.[2] e per questo si batte in Parlamento: una delle sue tante proposte fu quella di costruire le ferrovie ofantine che, secondo il progetto, dovevano passare anche per il suo paese natale, Rionero.
A causa però del suo carattere scettico, polemico e forse eccessivamente delicato, rifiuta diversi incarichi ministeriali.[3] Gli ultimi anni sono tristi: si allontana dal suo paese natio a causa dell’incomprensione dei concittadini e di due incidenti che gli mostrarono l’ingratitudine del popolo, come ad esempio nel 1917, quando venne accoltellato da un contadino di Rionero, che lo accusò di aver appoggiato la guerra. Morì il 23 luglio 1932 a Napoli. Fra le sue opere ricordiamo: Rionero Medievale, La badia di Monticchio, Pagine e ricordi Parlamentari, Il Mezzogiorno e lo Stato italiano.
Il pensiero
Le case dei Fortunato a Napoli, Rionero in Vulture e Gaudiano (frazione di Lavello) erano rinomati e ospitali luoghi d’incontro di intellettuali e di specialisti, politici, storici, agronomi. Giustino e il fratello Ernesto, l’uno da uomo politico, attivo ben oltre il mandato parlamentare, l’altro da imprenditore, coltivarono per tutta una vita, quasi simbioticamente, ambizioni egemoniche oltre i confini della Basilicata.
Ernesto praticamente provando la non ineluttabilità del carattere assistito dell’impresa agricola meridionale e la possibilità di diffondere, con gli spiriti imprenditoriali, un diverso sistema di relazioni sociali ed umane con il lavoro contadino e bracciantile; Giustino, mirando al problema di una riforma delle classi dirigenti del paese, come problema soprattutto delle sue campagne, dove solo una moderna capacità produttiva dei ceti agrari poteva garantire l’incivilimento delle masse contadine, e offrire un solido retroterra a qualunque ipotesi di sviluppo.
Di sentimenti politici moderati e conservativamente riformatori, Fortunato fu vicino agli intellettuali napoletani di Destra e per sempre ostile alla Sinistra. Il suo conservatorismo non era grettamente chiuso nella difesa dei più retrogradi rapporti sociali, ma si apriva ad una visione riformistica che non intendeva negare, bensì superare la “questione sociale”. Quindi un più incisivo intervento dello Stato, reso capace di fondarsi su un più ampio consenso delle masse essenzialmente contadine, e non ridotto al ruolo di semplice repressione.
Sforzo egemonico e oculate riforme, secondo il modello conservatore inglese; invece che mero dominio e conservazione dello status quo. Le conoscenze delle condizioni economico-sociali delle province meridionali, compiute attraverso continue esperienze “pedestri”, e il giudizio critico per certe forme dell’azione politica, maturato nella pratica giornalistica di parte, condurranno presto Fortunato ad una analisi spietata, ma realistica, delle responsabilità di una classe dominante priva delle necessarie qualità e attitudini per essere classe progressivamente dirigente.
Sul piano generale era un fervido assertore del parlamentarismo, contro le tentazioni autoritarie di rafforzare il potere esecutivo sul legislativo. Criticò le avventure coloniali del Regno d’Italia e l’intervento nella prima guerra mondiale; intuì subito la nefasta natura del fascismo, dissentendo in ciò da Benedetto Croce che in principio non ne percepiva la pericolosità. Per Fortunato il fascismo altro non era che la risultante delle deficienze morali e delle incapacità secolari della borghesia italiana. Autodefinitosi da sempre un moderato, in realtà spesso “bastian contrario” solitario e appartato, negli ultimi anni di vita Fortunato si chiedeva quale fosse in realtà la sua identità politica.
Un concreto impegno per risolvere il problema della malaria
Giustino Fortunato, nel 1898, a Roma, nei locali dell’Istituto Universitario di Igiene, insieme a Benedetto Croce e Leopoldo Franchetti e con il contributo finanziario anche delle Società Ferroviarie, adriatica, mediterranea, sicule della Banca d’Italia e della romana Società immobiliare, aveva fondato (e ne era stato eletto presidente), la Società per gli studi sulla malaria che si avvaleva soprattutto delle ricerche scientifiche di Angelo Celli, igienista, e di Giambattista Grassi, zoologo, ambedue professori dell’università di Roma.
Intorno all’attività di cura dei malarici, Fortunato mobilitò una schiera di medici di base. Fino al 1900, nella sola Basilicata, i morti per la malaria furono circa 1500 ogni anno. A Gaudiano, nella azienda agricola di Fortunato, la malaria era sotto controllo non solo per intensive opere di bonifica idraulica ed agraria, messe in opera dal fratello Ernesto, ma anche perché costui, già dal suo arrivo in azienda, comprava a sue spese dalla farmacia Kernot di Napoli il chinino che veniva somministrato ai contadini.
Fortunato, insieme a Leone Wollemborg, Angelo Celli, Leopoldo Franchetti e Francesco Guicciardini, riuscì a far approvare la legge 505 del 23-12-1900, che garantiva il Chinino a basso prezzo, ne prevedeva la vendita nei monopoli e nelle farmacie, apriva laboratori statali di profilassi antimalarica.
L’educatore
È storia nota l’impegno di Fortunato per la costruzione dell’Istituto Tecnico di Melfi che, dopo essere arrivato a quattro sezioni nel 1892, compresa la prestigiosa sezione fisico matematica, ottenne la “statalizzazione” nel 1904, nell’ambito della legge speciale per la Basilicata.
A sue spese, Fortunato volle aprire due asili costruiti da Marcello Piacentini: uno a Lavello, dedicato nel 1923 al fratello Ernesto; uno a Rionero in Vulture, dedicato alla madre Antonia Rampolla e nel 1924 inaugurato da Padre Semeria, amico e frequente suo ospite nella casa napoletana. Così scriveva Fortunato a Floriano Del Secolo a proposito delle traversie, finanziarie e costruttive degli asili da lui voluti, nel 1928: “Caccio nuovo denaro, per una nuova fabbrica dell’asilo infantile di Lavello: esecutore il Piacentini. Ebbene a costui è giunta lettera di un avv. Pinto, segretario federale fascista della nostra Provincia, ma residente – per la professione – qui a Napoli, dicendogli a lettere di scatola che…l’appaltatore deve indicarlo lui! E tu, primo fra tutti, anche tu mi davi del…pessimista”.
Lo storico
All’attività parlamentare, allo studio dei problemi sociali ed economici, volle e seppe trovar sollievo e ristoro nelle ricerche storiche. A conferma della sua passione di letterato e studioso, la sua casa di Napoli si trasformò, per molti anni, in “salotto letterario” frequentato da studiosi, politici, intellettuali del tempo. Si prefisse di svelare il passato di una terra emarginata, creduta priva di storia, fiaccata da secoli di dominazione straniera; non fu il cultore di piccole glorie da campanile, ma inquadrò i suoi resoconti nel più ampio contesto storico del tempo. Lo scopo ultimo è dichiarato: “Un regime di libertà, nel mondo moderno, non è assolutamente compatibile se non col benessere delle moltitudini.
Educhiamo l’uomo, tutti gli uomini della terra che ci vide nascere e ci nutre,- schiavi non più del peccato, della materia – e confidiamo nell’ avvenire.”. Il metodo di Fortunato fu di indagare negli archivi, confrontarsi con una nutrita bibliografia storica, analizzare documenti, dai quali si era proposto di cavare la veridica storia del brigantaggio nelle province meridionali.
Riservò grande attenzione anche al Medioevo, età cruciale per i destini delle province meridionali, e quindi al monachesimo bizantino e latino, all’avvento dei normanni, a Federico II, alle dominazioni angioina e aragonese. “Dopo tutto, ben altro è stato il mio intendimento: questo, cioè, che lo studio della storia valga un bel nulla, quale che sia il suo campo, se essa non serva a farci ritrovare nel passato e apprendervi la ragione del presente”. Vasto quadro che il Fortunato disegnò a grandi linee e a vivaci colori.
L’abilità sua di narratore erudito insieme e spigliato gli permise di congiungere agevolmente i grandi avvenimenti e le figure della storia generale con gli umili casi e gli umili personaggi. Lo stile fu di offrire tali dati al lettore e commentarli in forma più scorrevole, quasi in forma di romanzo. Il linguaggio, talvolta ostico e dotto anche per i suoi contemporanei, dopo il primo impatto risultava espressivo ed avvincente.
Il politico
Percorrendo la terra meridionale si rese conto di quanto poco fosse amica dell’uomo per motivi climatici e topografici, sfatando il luogo comune che vedeva il Meridione paradiso popolato da diavoli e da inetti. Il suo nome è legato alla questione meridionale, tanto che parlò per la prima volta alla Camera a favore dei contadini del Mezzogiorno e sulla questione demaniale. Sono degni di nota i discorsi contro la riduzione del numero delle preture (dannosa per il sud Italia); contro il reclutamento territoriale; contro la riforma delle forze armate in quanto era “meglio avere dieci corpi di esercito più solidi, ben equipaggiati che averne dodici imperfettamente addestrati”.
Poste in questi termini, le sue censure ai provvedimenti per l’esercito possono sembrare ispirate da quello che si suole chiamare pacifismo. Non del tutto esatto: se da un lato era a favore della neutralità dell’Italia, dall’altro era pronto a giustificare un’azione bellica nel caso fosse inevitabile, a questo proposito scrisse, congedandosi dagli elettori nel 1912: “L’Italia bisognerà che sia militarmente così forte da non subire nessuna imposizione, e tanto preparata alla guerra da evitarla con onore e, se provocata, ad accettarla con sicuro animo”. L’elenco dei temi più importanti e più ampiamente svolti nella Camera non darebbe notizia compiuta dell’ attività di Giustino Fortunato deputato.
Ne trattò molti anche quando se ne presentava l’occasione: il gioco del lotto, la condotta delle autorità dopo il terremoto di Casamicciola, dal quale egli era miracolosamente scampato, il bonificamento, la malaria. Fuori dalla Camera promosse la fondazione della Società per gli studi della malaria e ne fu presidente; dentro e fuori tanto fece affinché fosse votata la legge per la vendita del chinino, farmaco utile per la guarigione dalla malattia.
Dopo quasi un quarto di secolo di vita parlamentare, nel 1909 annunciò il suo congedo “con la coscienza di avere per ventinove anni consacrato al delicato ufficio quanto ebbe di intelletto e di volontà, e con l’orgoglio di lasciarlo moralmente sano ed amministrativamente libero come nessuno altro in Italia. Il 4 aprile di quell’anno fu nominato senatore e alcuni giudizi di Pasquale Villani gli diedero l’occasione di esporre le sue opinioni circa l’emigrazione meridionale.
Ma la sua salute non più sana non gli permise di essere assiduo alle sessioni del Senato. Nel 1915, 221 senatori approvarono la guerra così come Giustino Fortunato che inizialmente era per la neutralità assoluta ma in seguito alle parole di Antonio Salandra si convinse dell’intervento.
Opere fondamentali
Ricordi di Napoli, Milano, Treves, 1874.
Notizie storiche della Valle di Vitalba, 6 voll., Trani, V. Vecchi, 1898-1904.
Il Mezzogiorno e lo Stato italiano. Discorsi politici, 1880-1910, 2 voll., Bari, Laterza, 1911
Pagine e ricordi parlamentari, I, Bari, Laterza, 1920; II, Firenze, A. Vallecchi, 1927.
Riccardo da Venosa e il suo tempo, Trani, Vecchi e C., 1918.
Rileggendo Orazio, in “Nuova Antologia”, 16 agosto 1924.
Carteggio tra Giustino Fortunato e Umberto Zanotti-Bianco, Roma, Collezione meridionale editrice, 1972.
Carteggio, Roma-Bari, Laterza, 1978-1981.
Giustino Fortunato e il Senato. Carteggio, 1909-1930, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003.
Bibliografia
Gaetano Cingari, Giustino Fortunato, Roma; Bari, Laterza, 1984.
Gaetano Cingari, Il Mezzogiorno e Giustino Fortunato, Firenze, Parenti, 1954.
Maurizio Griffo, Profilo di Giustino Fortunato : la vita e il pensiero politico, Firenze, Centro editoriale toscano, 2000.
Giovanni Minozzi, Giustino Fortunato, Potenza, M. Armento & C, 1998.
« L’unità d’Italia è stata e sarà – ne ho fede invitta – la nostra redenzione morale. Ma è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, il 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali. »
Le piaghe della questione meridionale attraverso l’azione di Giustino Fortunato
1 Gruppo di lavoro
La condizione dei contadini
1 Gruppo di lavoro
La malaria
2 Gruppo di lavoro
Le strutture educative
4 Gruppo di lavoro
Giustino Fortunato e l’analisi del Fascismo
Nota: il gruppo che in un primo momento doveva analizzare le strutture ecclesiastiche ora farà il rapporto tra Fortunato e il fascismo
5 Gruppo di lavoro
La questione meridionale nel suo contesto socio-storico
La questione femminile
Nota: la vita di Giustino Fortunato è tratta da Wikipedia (per il momento), ma sarà passibile di trasformazioni e aggiornamenti via via che si approfondirà il tema.
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